Tra i celebri cantanti ritenuti romagnoli va annoverato anche il basso Ezio Pinza, nonostante abbia visto la luce il 18 maggio 1892 a Roma, proprio nel giorno in cui i genitori Cesare e Clelia vi si erano trasferiti da Ravenna, speranzosi di migliorare la loro condizione economica e sociale. Anche nella Città Eterna però la vita non fu facile e quando Ezio aveva appena tre anni, il 1 ottobre 1895, la coppia dovette rientrare a Ravenna, dove il padre aprì una bottega di falegname sul ponte del Borgo S. Biagio. L'Artista confida nell'autobiografia (R. Magidoff, New York, Toronto, Rinehart, 1958)che i suoi genitori avevano avuto in sette anni di matrimonio ben sei figli prima di lui, ma che nessuno di essi era vissuto abbastanza da poter ricevere un nome di battesimo. Col passare degli anni nacquero altri figli, Delfina nel 1895, che sopravvisse soltanto sette mesi in seguito a una malattia virale molto frequente ai quei tempi, Beniamina nel 1901 ed Alfonso nel 1903.
Per sfamare una famigliola di cinque persone, il babbo decise allora di dedicarsi al commercio del legname, ma purtroppo, non essendo portato per gli affari, nel 1905 ebbe un grave dissesto finanziario. Per sbarcare il lunario la mamma allora prese la risoluzione di trascorrere l'estate da suo fratello Eugenio che possedeva un podere a circa quindici chilometri da Ravenna, tra S. Pietro in Campiano e Ducenta nella vasta e fertile campagna ravennate; a casa degli zii i suoi figli potevano invero saziarsi senza problemi. Ezio ricorda nella sua autobiografia quel periodo dell'adolescenza come uno dei più felici della sua vita, perché «odiavo ritornare a Ravenna quando arrivava il tempo della scuola»e preferiva lavorare, accanto alla mamma, nei poderi della grande casa. Quando ritornava a Ravenna, frequentava svogliatamente un po' la scuola, un po' la bottega del padre, ma soprattutto trascorreva molto tempo nella strada dove se la spassava in compagnia degli amici sempre pronti allo scherzo e alle bravate.
In seguito al fallimento del padre, Ezio fu poi costretto ad abbandonare la scuola (aveva conseguito soltanto la licenza elementare) e a fare vari mestieri per dare una mano alla famiglia. Dopo aver lavorato come aiuto carpentiere, lavorò per vario tempo come garzone presso il fornaio ravennate Pilastrini e per consegnare il pane ai clienti e raggiungere anche le case più lontane, si serviva di una sgangherata bicicletta. A diciassette anni Ezio scoprì allora che gli piaceva moltissimo correre con la bici e, quando trovò unosponsor, ne acquistò una da corsa, una Pegeo, appassionandosi talmente al ciclismo da partecipare tra il 1910 e il 1912 a numerose gare organizzate in Romagna e piazzandosi tredicesimo in un giro dell'Emilia vinto da Pavesi.
Per fortuna il padre, grazie alla tradizionale passione per la musica della gente romagnola, seppe incanalare tutte quelle vigorose ed esuberanti energie verso lo studio del canto, dopo averlo sentito cantare nella sua bottega O sole mio di Di Capua. A costo di inauditi sacrifici decise di non perdere altro tempo poiché Ezio aveva già compiuto diciotto anni e lo condusse in treno a Bologna per un'audizione presso il M° Alessandro Vezzani (1864-1937), docente di canto stimato ma severo, che, dopo aver ascoltato il giovane nella nota aria Infelice!...e tuo credevi dall'Ernani, prese la drastica decisione di non accettarlo giudicando “bianca” la sua voce. Ezio fu allora costretto a rivolgersi ad un altro insegnante, il M° bolognese Ruzza, che dapprima lo convinse a tenere la voce a riposo per sei mesi, poi gli impartì le lezioni con tale impegno che l'allievo rivelò subito notevoli progressi. Quando però il maestro si ammalò così seriamente da non essere più in grado d'insegnare, Pinza si ripresentò per un'altra audizione da Vezzani che, costatati i progressi conseguiti, decise di accoglierlo al “Conservatorio G. B. Martini” di Bologna.
Per permettergli di seguire agevolmente le lezioni, il 9 dicembre 1912 il padre si trasferì con tutta la famiglia da Ravenna a Bologna. Dall'esame degli “Elenchi degli alunni iscritti alle scuole del Liceo Musicale dall'anno 1804 all'anno 1903 raccolti ed ordinati da Federico Vellani” emerge che il futuro basso fu iscritto al corso di canto del M° Vezzani per due anni, precisamente dal 1912 al 1914. Inoltre, da un registro dell'Archivio Storico del Conservatorio si evince che frequentò regolarmente le lezioni nel primo anno scolastico 1912-13 e che conseguì un profitto di 9 nella prima sessione e di 9 e mezzo nella seconda. Nel frattempo, il M° Vezzani aveva convinto il Sindaco di Ravenna a concedergli una borsa di studio e, anche di persona, provvide a dargli un assegno di 40 lire al mese; però soltanto in seguito rivelò di essere lui quell'ignoto benefattore.
Dopo soltanto un anno di studi al Conservatorio bolognese, il 4 ottobre 1913 Ezio si esibì al Teatro Vittorio Emanuele di Rimini in una Grande Serata Musicale a beneficio della “Società Corale Amintore Galli”, affiancato da Ida Acuti e da Ugo Grossi (G. Mengozzi, Storia di Rimini dal 1800 ai nostri giorni, Rimini, Ghigi Ed., 1980, p. 191).
Il suo debutto ufficiale avrà invece luogo il 16 aprile 1914 nella piccola cittadina di Soncino (CR), al Nuovo Teatro SocialeconNormadi Bellini dove fu però sfortunatamente vittima di uno spiacevole episodio verificatosi alle battute iniziali del primo atto.
Il basso che interpreta la parte di Orovesosta rispondendo al coro con la battuta: Sì, parlerà terribile da queste querce antiche [...] Nella foga dell'interpretazione il giovane basso investe con una spalla -la quercia d'Irminsul-, ai piedi della quale vi è la pietra che serve da altare. Il fragile scenario di cartone, insufficientemente sostenuto da un leggero telaio di legno, non regge all'urto e la pesante quercia cade di schianto al suolo. Il maestro Eleonori interrompe l'esecuzione dell'orchestra; Ezio Pinza si copre il volto con le mani e scoppia in lacrime. É allora giocoforza calare il sipario; dopo che il guasto è stato rimediato, una calorosa ovazione attende Pinza al suo ritorno sulle scene. L'applauso si ripete poi scrosciante ed a scena aperta subito dopo la stupenda interpretazione che Pinza ha saputo fare della romanza Guerrier a voi venirne(E.Rossi-S.G.Bertolazzi, La Banda Civica nella tradizione musicale, canora e teatrale di Soncino, Soncino, Ediz. Arti Grafiche Binda, 2002, p. 61).
Il giovane basso fu poi scritturato per cantare al Mariani di Ravenna nella Favorita nel congeniale ruolo di Frate Baldassare per ben sette rappresentazioni, dal 28 ottobre 1914 all'8 novembre; suoi compagni di scena il mezzosoprano Erminia Rubadi (fin dalla seconda recita Dolores Frau), il primo tenore Fulgenzio Abela, il baritonoLuigi Piazza, il 2° tenore Paolo Senesi, diretti dal M° Umberto Berrettoni. Dopo soltanto pochi mesi, il 14 dicembre 1914, ecco l'intraprendente cantante esibirsi di nuovo in un teatro vicino alla sua amata Ravenna, al Masini di Faenza, in un Concerto Vocale Istrumentale che lo vide interpretare arie dal Simon Boccanegra di Verdi e da Roberto il Diavolo di Meyerbeer.
Scoppiato il primo conflitto mondiale, Pinza dovette però interrompere la promettente carriera artistica perché fu impegnato per ben quattro anni nel corpo degli Alpini al fronte, come soldato semplice; sarà congedato però con il grado di tenente di artiglieria e con la fama di specialista in traino di cannoni. Di conseguenza furono sporadiche le sue esibizioni: nel 1915 aveva avuto tuttavia l'opportunità di cantare, durante una licenza, al Goldoni di Livorno e al Biondo di Palermo ne La Bohème e nell'anno seguente al Dal Verme di Milano inPoliuto e La forza del destino.
Terminata la guerra, ebbe inizio per il cantante una rapidissima ascesa nel mondo lirico in quanto passò da un teatro importante all'altro, dal Politeama di Firenze al Costanzi di Roma (si ricorda soltanto Manon di Massenet con Rosina Storchio e Giacomo Lauri Volpi) e al Verdidi Ferrara, dove s'impose all'attenzione del pubblico e della critica come uno dei bassi più dotati, in grado pure di ampliare con facilità il proprio repertorio. Si cimentò invero in opere di Puccini (Gianni Schicchi, La fanciulla del West), di Ponchielli (La Gioconda) di Wagner (La Walkiria eTristano e Isotta), di Verdi (Il Trovatore, Aida, Rigoletto), di Massenet (Manon, Thaïs) etc.
Nonostante i molteplici ed assidui impegni, il 13 e 14 settembre 1921 l'artista potè esibirsi nella Chiesa di S. Apollinare Nuovo di Ravenna, città a lui molto cara, in occasione del VI centenario dantesco, cantando nel poema sinfonico vocale Dantis Poetae Transitus di mons. L Recife.
La signorina Menazzi, Suor Beatrice, cantò con voce fresca e sicura, il basso Pinza, ravennate, interpretò magistralmente con la sua voce superba la parte di Dante. Delizioso il tenore Paganelli in quella di San Francesco. L'orchestra, composta di 70 professori, fu magnifica. All'organo suonò il Maestro Giuseppe Calamosca. Meraviglioso il coro di 140 voci, composto dalla Società Orfeonica di Ferrara (“Il VI centenario dantesco”, Bollettino bimestrale illustrato, fasc. V, sett.-ottobre 1921, p. 140).
Per evidenti motivi di spazio si darà ora la preminenza soltanto agli episodi più salienti della vita e della carriera del celebre basso. Nel 1921-'22 esordì alRegio di Torino sotto la preziosa guida del M° Tullio Serafin, poi passò alla Scala, diretto dal grande Toscanini; ad appena trent'anni il mondo gli si spalanca dunque davanti, ricco di allettanti lusinghe, che ben presto potrà cogliere. Nel massimo teatro milanese è infatti confermato per ben tre stagioni e alternerà ruoli classici a prime assolute (Débora e Jaele di Pizzetti, Nerone di Boito e Sakuntala di Alfano).
Pinza assolse il suo ultimo impegno con la Scala il 1° maggio 1924 esibendosi nelNerone di Boito, poi perentoriamente interruppe la collaborazione artistica per allacciare rapporti importanti con il Colón di Buenos Aires che lo vedrà splendido interprete nelle estati del 1925-26. Anche John B. Richard e J. P. Kenyon (Ezio Pinza in “The Record Collector”, agosto 1980, p. 55) presero in considerazioni le motivazioni che potevano aver indotto Pinza a chiudere i rapporti artistici col famoso teatro scaligero; probabilmente non gli era stata offerta la possibilità di cantare la parte diHans Sachs nell'operaI Maestri Cantori, nonostante gli fosse stata promessa da Toscanini ed inoltre egli si era reso perfettamente conto che poteva aspirare ad ambiti contratti anche con importanti teatri stranieri.
La fortuna giocò veramente a suo favore visto che «il successo immediato e caldissimo di questo giovane cantante giunse all'orecchio di Giulio Gatti-Casazza, manager del Metropolitan, il quale di voci se ne intendeva davvero e lo scritturò per quel teatro». Immediatamente, il 17 aprile 1926, gli si offrì l'occasione di esordire in uno dei soliti concerti che la Direzione di quel Teatro organizzava tutte le stagioni cantando l'aria dei Vespri Siciliani, O tu Palermo, terra adorata, ma il vero debutto newyorchese ebbe luogo il 1 novembre 1926 comeSommo Pontefice in La Vestale di Spontini a fianco di autentiche celebrità, quali Rosa Ponselle, Giacomo Lauri Volpi, Giuseppe De Luca, Margaret Matzenauer. In seguito nel celebre teatro nordamericano egli si affermò decisamente come un grande della lirica, il basso più amato di quegli anni in quanto dotato di una natural verve scenica, dell'intelligenza e della sensibilità del grande attore, in rivalità con Tancredi Pasero. Furono innumerevoli le esibizioni tenute al Met (cantò ben 48 opere) e nei tours portati nelle città di Filadelfia, San Francisco, Boston, Baltimora, etc. per ben ventidue stagioni consecutive (tournées comprese), poiché collaborò dal 1926 al 1948. Divenne uno dei beniamini degli americani interpretando numerosi ruoli e conseguendo uno straordinario successo soprattutto nel Don Giovanni di Mozart, perché la parte del guascone libertino spagnolo aderiva perfettamente alla sua personalità di cantante e di artista.
Nel 1949, però, a 57 anni, il basso ravennate prese la ferma decisione di abbandonare l'opera per dedicarsi appassionatamente al musical, perché era desideroso di cambiamenti ed anche perché non gli avevano concesso di cantare al Met il ruolo diFilippo IIdel Don Carlo («Lo attiravano le parti regali, specialmente quelle verdiane, nonostante l'avesse richiesto in più occasioni», confidò la figlia Claudia). Conseguirà un successo così strepitoso da conquistare del tutto gli americani portando una profonda rivoluzione nel loro costume. Pinza apparve come numero di centro accanto a Mary Martin nel fantasioso spettacolo South Pacific, che rimase in scena quasi due anni al Majestic Theatre di Broadway, a partire dal debutto del 7 aprile 1949; seguìpoi nel 1954Fanny, che non raggiunse però la popolarità di South Pacific.
Meno felici si rivelarono invece i rapporti con la moglie Augusta Cassinelli (Bologna, 1893-ivi 1949), soprano, sorella del basso Antonio Cassinelli, che aveva sposato nella città felsinea il 20 settembre 1919. La figlia Claudia nacque a Buenos Aires il 27 luglio 1925, mentre Pinza raccoglieva allori sulle scene del grande teatro argentino, il Colóndi Buenos Aires.Il valente direttore d'orchestra Serafin e il famoso soprano Muzio fecero rispettivamente da padrino e da madrina al battesimo e il basso, per onorarli, chiamò la neonata Claudia e Tullia. In seguito il rapporto con la moglie si deteriorò lentamente sia per le avventure galanti di Ezio, che era troppo spesso attratto dalle sue assidue ammiratrici e dalle colleghe cantanti, sia per le frequenti scenate di gelosie di Augusta, conscia del notevole fascino del coniuge e della sua esuberante vitalità. Ne seguì di conseguenza la pratica del divorzio ottenuto nel 1938, lo stesso anno in cui Ezio conobbe la futura moglie Doris Leak (1918-2003), molto più giovane di lui di ventisei anni, una splendida ragazza che faceva parte del corpo di ballo delMet. Nel 1940, dopo soli tre mesi di frequenza, si sposarono. Fu un legame in apparenza soddisfacente, ma consolidato dalla nascita di tre figli, Clelia (1941), Pietro (1944) e Gloria (1951).
Col trascorrere degli anni il celebre basso antepose agli ambienti mondani degli anni precedenti la sua piccola casa di campagna che aveva fatto costruire nei dintorni di New York, a Rye; passava il tempo libero in compagnia dei figli più piccoli e della giovane moglie e si rilassava coltivando ogni genere di verdura nell'orticello di casa o giocando con il cane Daddy.
In seguito cominciò ad avvertire alcuni seri problemi di salute che il 26 agosto 1956 lo costrinsero ad un ricovero urgente all'ospedale di Cervia (RA) per un improvviso attacco cardiaco e per una paresi al lato sinistro e che l'anno successivo lo condussero alla morte. Si spense il 9 maggio 1957 nella sua abitazione diStamford,nel Connecticut, nove giorni prima di compiere 65 anni. Riposa nel Putman Cemetery, a Greenwich, come ricorda affettuosamente la moglie Doris, che aggiunse alcuni capitoli all'autobiografia per concludere la narrazione di Ezio, interrotta dalla morte:
Ezio èseppellito a pochissime miglia dalla sua casa.Scelsi il piccolo pezzo di terra principalmente perché si trova vicino al cortile di un Liceo: le voci dei ragazzi, le loro grida, i canti e le risate erano da sempre per Ezio musica per le sue orecchie. Tre maestosi pini si ergono ai piedi della tomba ed esattamente sopra ad essa pendono i rami protettivi di un vecchio ciliegio. La sepoltura ebbe luogo in una giornata ventosa e l'albero che era allora in piena fioritura, faceva piovere i suoi fiori rosa su Ezio. Il monumento è di marmo bianco italiano, scolpito in Italia, raffigurante il volto di Cristo e il torace con le braccia distese.
Pinza, reputato una delle più belle voci del registro grave che il teatro lirico abbia mai avuto, ha lasciato una traccia luminosissima nell'arte lirica perchè possedeva una voce profonda, inconfondibile, bellissima, come attestano le sue incisioni, dapprima effettuate a Milano per la Gramophone, poi, dal 1927, negli Stati Uniti per la Victor; inoltre documentano la sua arte anche le numerose incisioni live, ricavate dalle trasmissioni radiofoniche americane, che vanno dal 1932 al ritiro dalle scene. Per dirla con il musicologo R. Celletti (“Musica”, anno X, 1986, n. 43, p. 25), il fascino dell colore della voce di Pinza erano accompagnati da una tecnica, da un'eleganza e da una sensibilità molto rare.
Basta ascoltare l'attacco di O tu Palermo, terra adorata, dei Vespri o di Infelice e tuo credevi(Ernani). Ci si accorge subito come il gioco impercettibile delle sfumature esalti il fraseggio, provochi un'immediata coincidenza accento-sonorità, enunci la melodia con una tornitura e un legato che le danno un sorprendente risalto. Questa è la morbidezza. Ma la morbidezza la dà la tecnica [...]. Come che sia tutti gli acuti di Pinza sono facili, lucenti, timbratissimi e nelle tessiture alte il legato resta impeccabile, a tutto vantaggio della melodia. Colpisce poi l'inimitabile nitidezza della dizione.
Roberta Paganelli
Ezio Pinza - Le nozze di Figato (W.A. Mozart) "Non più andrai" (1939)
Ezio Pinza - I vespri siciliani (G.Verdi) "O tu Palermo" (1927)
Ezio Pinza - di Ange Flégier canta "Le Cor"