Anna Calabresi torna a dare uno sguardo professionale - dal suo punto di vista - sull'opera lirica.
La mente in ostaggio: Otello, Iago e la guerra cognitiva
“Iago è onesto” dice Otello. E con questa idea ripetuta e interiorizzata, si apre il sipario sulla più sottile e insidiosa delle guerre: quella per la mente.
Viviamo in un tempo instabile, in cui la verità può essere smontata e ricomposta, sotto il peso di narrative concorrenti. I fatti si trasformano in opinioni, e la realtà diventa un terreno conteso. In questo scenario, la guerra non si combatte più solo con le armi, ma con le storie. È una guerra per l’immaginario. Una guerra cognitiva.
Oggi la polarizzazione delle idee sembra dettare le regole della comunicazione, trasformando ogni confronto in un campo di battaglia. Ogni evento, ogni conflitto, dalla guerra Russia-Ucraina a quella tra Hamas e Israele fino ai dibattiti sanitari e climatici, viene trasposto in narrazioni che non cercano la comprensione, ma il consenso emotivo. Si costruiscono identità in opposizione, alimentando una dinamica binaria che appiattisce la complessità. Basti pensare alla guerra Russia-Ucraina, dove la narrazione del conflitto viene proposta da entrambe le parti in chiave identitaria: “denazificazione” per i media russi, “resistenza democratica” per la versione ucraina. O al conflitto Hamas-Israele, dove un’immagine, che sia un bambino ferito o un missile che colpisce un ospedale, può scatenare un’indignazione globale, spesso separata dalla complessità geopolitica del contesto. La stessa dinamica ha alimentato la sfiducia durante la pandemia, con teorie del complotto che hanno trasformato i medici in persecutori e gli scienziati in pedine nelle mani di oscure élite.
I media e i social network partecipano a questa battaglia. Le emozioni, come indignazione, paura e rabbia, vengono strumentalizzate per orientare il comportamento, influenzare l’opinione pubblica, spegnere il pensiero critico. Perché non basta un’idea per muovere un essere umano all’azione. È l’emozione che determina il comportamento. Se si riesce a suscitare un’emozione, sarà quella a orientare la volontà verso una direzione precisa: mettere una croce su una scheda, acquistare un prodotto, aderire a un’ideologia. Laddove si interviene sistematicamente sull’emotività di una collettività, modulandone la paura, la speranza, l’indignazione o il senso di appartenenza, non parliamo più solo di influenza, ma di propaganda. È qui che la psicologia diventa strumento di potere. E il soggetto, spesso, non se ne accorge. Anzi, partecipa attivamente alla disinformazione, ricondividendo, amplificando, rafforzando la bolla in cui è immerso.
In questo paesaggio liquido, Otello, nell’adattamento verdiano del dramma shakespeariano, ci parla con un’urgenza inattesa. Non solo come tragedia di gelosia e amore, ma come archetipo di manipolazione psicologica. Ci mostra, con una precisione chirurgica, quanto basti una voce ben modulata per inquinare la verità, quanto sia sottile la linea che separa il sospetto dalla paranoia, la realtà dall’illusione. Sotto l’effetto della polarizzazione affettiva, Desdemona si trasforma, nella mente di Otello, da angelo a traditrice. Otello, insomma, siamo anche noi: esposti, suggestionabili, vulnerabili al racconto di altri.
Iago: il manipolatore strategico
Iago non alza mai la voce. Non ha bisogno di farlo. La sua è una guerra a bassa intensità ma ad alta penetrazione: insinuazioni, mezze frasi, silenzi strategici. Come quando dice, con finta esitazione: “Ciò m’accora”, e Otello, già agganciato: “Che parli?”. Costruisce con pazienza una realtà parallela che si insinua nei pensieri di Otello, fino a diventare l’unica possibile. È un sabotatore emotivo che non forza, ma orienta. È l’arte della manipolazione cognitiva, quella che oggi, nella nostra epoca digitale, si diffonde attraverso messaggi virali, influencer e operazioni psicologiche.
Iago non impone verità, è l’emblema dell’operatore di guerra psicologica: colpisce la fiducia e confonde i sensi disponendo indizi. Conosce le vulnerabilità del suo interlocutore e le sfrutta con sadica precisione. E Verdi descrive la discesa di Otello nella paranoia con tessiture drammatiche che non commentano semplicemente l’azione, ma la amplificano. Nel nostro mondo iperconnesso, le dinamiche messe in scena da Verdi non appartengono solo alla finzione. Sono oggi le tecniche dei conflitti ibridi, della radicalizzazione digitale, della polarizzazione sociale. Lo abbiamo visto nel caso di QAnon che, nato come teoria marginale, ha mostrato quanto basti un sistema narrativo coerente e virale per influenzare le menti e condurre persone a compiere atti estremi, convinte di “salvare il mondo”.
Otello non vede, crede: la percezione come arma
La tragedia non nasce da ciò che accade, ma da ciò che si crede stia accadendo. Otello vede, ma ciò che vede è ciò che Iago ha saputo indurlo a vedere. Questo è uno dei meccanismi più insidiosi della guerra cognitiva contemporanea. I fatti non spariscono, ma vengono selezionati e montati in modo da generare determinate risposte emotive. Un esempio emblematico è stato il video diffuso nel 2022 in cui sembrava che un gruppo di rifugiati attaccasse una donna in una stazione tedesca. Il filmato era decontestualizzato ed era stato montato ad arte per suscitare odio razziale. In poche ore, quel contenuto ha ispirato proteste e violenze.
Oggi questa dinamica si moltiplica all’infinito: un video estrapolato dal contesto, un tweet ricondiviso milioni di volte, un’immagine avulsa dal contesto possono bastare a orientare opinioni, influenzare decisioni politiche, scatenare reazioni collettive. Le emozioni diventano strumenti geopolitici. Gli algoritmi che governano il nostro tempo, da TikTok alle piattaforme di sorveglianza militare, non cercano la verità, ma l’adesione. Così come Otello si persuade della colpa di Desdemona non perché abbia prove, ma perché ogni elemento è stato ricondotto a un’unica lettura, anche noi viviamo immersi in bolle percettive che confermano e rafforzano ciò che già temiamo.
Ora e per sempre addio: Otello e la mente disgregata
Otello è una vittima letteraria del gaslighting: quella forma di violenza psicologica in cui una persona viene indotta a dubitare delle proprie sensazioni, ricordi, giudizi. Prima di sospettare di Desdemona, Otello ha già cominciato a sospettare di sé. Il suo io è disgregato, il suo senso di realtà eroso dall’interno: “Ora e per sempre addio sante memorie, addio, sublimi incanti del pensier!”. La musica di Verdi accompagna questo disfacimento interiore con un’acutezza devastante. E oggi questo disfacimento si riflette nei fenomeni di burnout ideologico, come anche nei pazienti clinicamente destabilizzati da ambienti digitali tossici. Basta leggere le testimonianze delle ragazze vittime dei canali incel, dove la realtà viene riscritta fino a far sentire ogni emozione, ogni rifiuto, ogni desiderio come colpa. È la stessa logica di Iago: non ti dico cosa vedere. Ti insegno come vedere. Le vittime interiorizzano la narrativa dominante e diventano loro stesse agenti della propria confusione. È gaslighting collettivo, dove la realtà viene demolita per rendere più facile imporre una visione unica, spesso distruttiva.
Otello si sente in colpa prima ancora di sapere perché. Questo senso di indegnità, l’ansia della perdita, la vergogna di non essere abbastanza, sono le crepe in cui si infiltra la manipolazione. Le stesse crepe che oggi vengono sfruttate nei processi di radicalizzazione online, nei circuiti dell’estremismo ideologico, nelle comunità polarizzate dove si offre una sola verità, assoluta e totalizzante. Una verità che annulla il soggetto invece di liberarlo.
Una tragedia che ci riguarda
In tempi di conflitti geopolitici, crisi identitarie e guerre simboliche, Otello ci costringe a una domanda scomoda: quanto di ciò che pensiamo è autentico, e quanto è stato suggerito, instillato da altri? Anche oggi, come allora, ci sono Iago. E non sono soltanto individui, ma interi dispositivi: strategie dell’informazione, media, reti di propaganda. La figura del traditore, del regista invisibile ritorna sotto nuove spoglie: deepfake e profili costruiti ad arte. L’obiettivo è minare l’identità dell’altro e confondere vittime e carnefici. È il caso delle fabbriche di troll in Russia, o dei deepfake diffusi durante le elezioni in Slovacchia, in cui il volto di un leader veniva manipolato per farlo sembrare complice di brogli. Sono Iago digitali, travestiti da interfacce amichevoli.
In questo paesaggio mentale, Otello non è solo un’opera tragica: è uno specchio inquietante del nostro tempo. È la storia di una fiducia avvelenata parola dopo parola, fino al crollo. Un meccanismo che riecheggia anche in certe distopie contemporanee, come quelle narrate nella serie televisiva britannica Black Mirror, dove la tecnologia non distrugge con la forza, ma seduce, amplifica l’inganno fino a renderlo indistinguibile dalla realtà. Non serve più un colpo di stato: basta un algoritmo ben addestrato per conquistare il cuore di chi si sente tradito.
La nostra vulnerabilità alla manipolazione affonda le radici nel funzionamento stesso della mente umana. Siamo creature relazionali, inclini alla fiducia: credere negli altri è una spinta evolutiva. Ma proprio questa disposizione ci espone all’inganno. Il nostro pensiero, poi, non è sempre lucido: spesso si affida a scorciatoie mentali, ovverosia euristiche e bias – per effetto del bias di conferma Otello vede solo ciò che conferma i suoi sospetti – che sì, semplificano la realtà, ma distorcono il giudizio. Inoltre, il cervello tende a risparmiare energia, privilegia risposte rapide, automatiche. Il pensiero critico e riflessivo, invece, è un esercizio faticoso: richiede tempo, sforzo, disponibilità a tollerare la complessità. E nella società della velocità, questo sforzo non è ben accetto.
Sappiamo che con le vittime della manipolazione, sia essa relazionale o ideologica, non basta spiegare “la verità”. Occorre ricostruire la fiducia nella propria percezione, decostruire le narrative tossiche, ritrovare un legame sicuro con la realtà. Otello non ha avuto questa possibilità, la consapevolezza è arrivata troppo tardi, e il danno è stato irreversibile: “Un bacio… un bacio ancora… un altro bacio…”. Ma oggi è possibile trovare uno spazio dove la mente possa tornare a sentirsi libera. Dove la realtà, pur complessa, non sia una trappola, ma un luogo in cui tornare a respirare.
Anna Calabresi
Psicologa psicoterapeuta. Esperta in psicologia digitale, trauma, terrorismo internazionale e manipolazione cognitiva