Per ridargli la meritata visibilità, alquanto offuscata dal trascorrere impietoso del tempo, si ricorda un grande artista romagnolo, il tenore cesenate Alessandro Bonci, che si distinse egregiamente nell'arte del canto. Siaffermò sulle scene liriche quando il celebre Angelo Masini si avviava lentamente verso il crepuscolo; entrambi, accomunati dalle modeste origini (anche Bonci, giovinetto, aveva lavorato come ciabattino), incontrarono notevoli difficoltà nel proseguimento degli studi musicali. A favore di Masini intervenne il soprano forlivese Gilda Minguzzi, che lo amò come un figlio e che gli impartì anche solide nozioni di cultura generale, per Bonci,invece, fu decisivo l'appoggio dei suoi concittadini che, partecipando in grandissimo numero ad un'Accademia di canto vocale e strumentale, in cui il giovane esordì il 29 agosto 1891 cantando due romanze e un duetto, gli procurarono una notevole somma di denaro. Il valente cantante riuscì così a coprire in parte le spese necessarie per sostenere la frequenza dal 1890 al 1896 presso il Liceo Musicale di Pesaro (scuola del M° Felice Coen). Furono anni di immensi sacrifici per il giovane appena ventenne (era nato a Cesena il 10 febbraio 1870), perché, non avendo possibilità economiche, dovette risiedere a Fano nella casa di una zia e percorrere a piedi la distanza di dodici chilometri che lo separava da Pesaro. Tuttavia, sorretto da un impegno tenace, conseguì progressi così rapidi e soddisfacenti nell'apprendimento da vincere nel settembre 1892 il concorso per il posto di primo tenore della Cappella Musicale di Loreto; poté allora godere di un assegno annuo sino al 30 giugno 1896. “Quel vivere a stretto contatto con la musica sacra, il quotidiano elevarsi nella preghiera per dovere d'ufficio, quel continuo tendere a un'espressione "divina" in senso diretto, fuor di metafora, avranno la loro parte nella formazione del suo stile, dopo, in teatro” (E. Gara, “Discoteca”, n. 106, dicembre 1970, pubblicato nel centenario della nascita di Bonci).
Finalmente il 20 gennaio 1896 giunse per il giovane tenore ventiseienne l'attesa sera del debutto come FentonnelFalstaff al Regio di Parma; passò poi al Dal Verme di Milano e al Carlo Felice di Genova con buon esito nei Puritani e nella Sonnambula, opere che poco dopo ripropose alla Scala. Tuttavia, nell'importante teatro milanese, forse condizionato da una forte emozione, la prima sera (18 febbraio1897)Bonci nonconvinse il pubblico al punto che alla seconda recita fu sostituito dal grande Francesco Marconi, uno specialista dei Puritani, per poi riscuotere pieno apprezzamento invece alla terza recita del 27 febbraio, come riporta “La Perseveranza”:
La terza rappresentazione dei Puritani chiamò ieri sera alla Scala una folla straordinaria, fors'anco attratta dall'annunzio della ricomparsa del tenore Bonci, il quale questa volta ottenne un successo completo, veramente meritato [...] Il Bonci non ha mezzi poderosi, tonanti; ma non si avverte il bisogno di una maggiore intensità perché il timbro è veramente omogeneo, d'un equilibrio, d'una impostazione veramente singolari. Di queste qualità egli si vale per ottenere le migliori modulazioni, trovando nella misura ottimi effetti improntati alla maggiore aristocrazia di intenti. Cantò squisitamente “A te, o cara”, la canzone, il duetto col soprano, e seppe affrontare il terribile scoglio del finale con completa sicurezza di voce.
Ebbe così inizio una carriera intensa e prodigiosa, costellata di entusiastici successi conseguiti non solo in Italia, ma pure all'estero, nei maggiori teatri europei, il Real di Madrid, il Liceo di Barcellona, il Covent Garden di Londra, il San Carlo di Lisbona, il Reale dell'Opera di Berlino, il Conservatorio diPietroburgo dove si esibì in un repertorio esteso che comprendeva principalmente Rigoletto, L'Elisir d'amore, Il Barbiere, Don Pasquale, I Pescatori di perle, Mignon, Werthere Bohème. Il critico Giovanni Borelli illustrò con notevole maestria la celere ed entusiastica affermazione di Bonci nel mondo lirico chiarendo le condizioni favorevoli di quel periodo, in cui “R. Stagno tramontava, F. Tamagno al meriggio già si ritraeva insidiato dal male assassino, F. Marconi si risparmiava, A. Masini non dava più che riverberi, G. Gayarre era morto, I. Campanini era esule in una sua villa solitaria del parmense” e la “strategia” messa in atto da Bonci (“Il Teatro Illustrato”, 5 novembre 1908):
Egli comprese mirabilmente che sarebbe stato vano ed infantile correre su qualcuna delle orme gigantesche precedenti, bisognava farsi un'individualità e uno stile. Impresa alta e ardua fra quante mai egli ebbe, ma la compì. Accortosi del lento e continuo degenerare della grande tradizione, volle e seppe quella riprendere senza perdere alcun carattere di freschezza interpretativa e di modernità. Così fu Elvinoimpareggiabile, Fernandoin cui la virtuosità trascendentale del Gayarre seppe fondersi nella passione di Angelo Masini senza batter né l'una, né l'altra via, Duca di Mantovacon gli splendori vocali che fan risovvenire Francesco Marconi, ma tanto più castigati, squisiti, cesellati.
Era infatti riuscito ad imporsi all'attenzione del pubblico e della critica perché non si era affidato ai suoni forzati e gridati del nuovo stile,ma aveva difeso scrupolosamente il bel canto romantico prediligendo i toni carezzevoli ed armoniosi. Fu davvero il “miniaturista magico della melodia”, come ci conferma una trentina d'anni dopo il tenore Manfredi Polverosi (Ricordo di Alessandro Bonci in “Lo Spettacolo”, 15 agosto 1940):
Purissimo negli attacchi, conservava anche nelle note più acute una dolcezza infinita, sviluppandole a suo talento con effetti veramente mirabili. Mai sdolcinato, mai volgare, abilissimo nel “rubato”, il Bonci cantava veramente “con gusto e in tempo”, come dice Falstaff, per quanto tendesse, specie negli adagi, ad allargare, e spesso coronare, la nota puntata sul tempo debole della battuta; ma il suo canto era sempre animato da un sentimento sincero e, quando occorreva, da un accoramento così profondo che prendeva veramente il cuore.
Anche il critico musicale Gino Monaldi documentò l'effetto delizioso prodotto dalla voce e dal modo di cantare di questo artista narrando un aneddoto relativo alla prima volta in cui ascoltò il celebre tenore romagnolo che interpretava il ruolo di Nemorino nell'Elisir d'amore alla Pergola di Firenze (si tratta invece del Teatro Verdi, 30 novembre 1901, “Gazzetta dei Teatri”, NdR): “Mi trovavo in poltrona presso al suo maestro Felice Coen, quando il pubblico plaudente dopo la celestiale romanza una furtiva lacrima, volle salutare al proscenio il delizioso cantore. In quel momento di gaudio mi volsi a guardare il mio vicino e lo vidi asciugarsi una lagrima (“Nuova Antologia”, 1906). Inoltre Bonci sapeva trascinare la folla a grande entusiasmo quando variava a suo piacimento fiorettature e cadenze, con grande estro e squisita musicalità̀, replicando più̀ volte di seguito uno stesso pezzo (di preferenza, Una furtiva lacrima).
Ci si soffermerà ora, in particolare, sulle tournèe in America, a partire dalla prima, che condusse Bonci a Buenos Aires nel 1899. Faceva parte della stessa “Grande Compagnia Italiana” anche Enrico Caruso che, come si evince dal volume di R. Celletti (Voce di tenore, Milano, Idealibri 1989, p. 190), dovette alla fine amaramente costatare che l'ingaggio di Bonci era nettamente superiore al suo perché ammontava a 40.000 lire mensili pagate dal Teatro de la Òpera, mentre egli avrebbe percepito soltanto 12.000 lire, pari circa a 27 milioni di Lire italiane. Il 13 maggio 1899 Bonci raggiunse neiPuritani così alti livelli di gradimento che “La Patria degli italiani” il 15 maggio 1899 lo paragonò addirittura al tenore Fernando De Lucia. Il recensore de “La “Gazzetta Musicale di Milano” scrisse inoltre che “Bonci è piaciuto subito per la dolcezza vellutata del suo organo e per il metodo che ricorda quello di Masini. Egli eccelle nei semitoni, nei passaggi teneri e il suo andante dell'insieme del primo atto ha avuto gli onori del bis”.
Ancora, tuttavia, non si può parlare di vera rivalità tra i due tenori, perché la sfida ravvicinata tra Bonci e Caruso avrà occasione di verificarsi soltanto nel 1906 quando l'artista cesenate raggiunse per la prima volta New York, scritturato dal fortunato e scaltro impresario Oscar Hammerstein per cantare al Manhattan Opera House. Il 3 dicembre 1906Boncidebuttò con I puritani conseguendo un successo così strepitoso da mettere in forse la popolarità di Enrico Caruso che cantava nel teatro concorrente, il Metropolitan. A riguardo l’autorevole critico Henry Krehbiel scrisse:
In quasi tutti gli aspetti della tecnica vocale è infinitamente superiore al suo rivale al Metropolitan Opera House (Enrico Caruso, n.d.r.). Il timbro è impeccabilmente puro, il controllo dei fiati perfetto, la dizione superiore a quella di qualsiasi altro cantante attualmente attivo a New York, per non parlare del suo fraseggio, del suo senso dell’architettura e delle proporzioni delle frasi e la squisita simmetria e la serenità del suo canto.
Allora il Metropolitan prese l'accorta decisione di scritturare il tenore Bonci, che il 22 novembre 1907 debuttò nel Rigoletto conseguendo un successo immenso; trionfò pure nelle opere successive, quali La Bohéme, Il Barbiere di Siviglia, Don Giovanni dove fu affiancato dalle più famose cantanti d'agilità dell'epoca, quali Marcella Sembrich, Lina Cavalieri, Geraldine Farrar.
Di tre anni più vecchio del cantante napoletano, Bonci, piccolo di statura, denominato dai newyorkesi al Met “puss in boots” (gatto con gli stivali), nonostante la diversità del repertorio, contese accanitamente a Caruso il favore delle platee riuscendo talvolta a prevalere sotto il profilo tecnico ed estetico. La rivalità fu soprattutto alimentata dai fanatici dell'uno e dell'altro tenore che si schierarono animosamente in due fazioni opposte, i Boncisti e i Carusiani e costruita ampiamente dai giornalisti.
Il critico Andrea della Corte ne trattò in un articolo pubblicato su “La Stampasera” il 10 agosto 1940, all'indomani della scomparsa di Bonci. Se ne riportano in sintesi alcuni significativi stralci.
Bonci e Caruso rappresentarono insieme, tra il 1895 e il 1905, la forma eccellente del canto italiano, in due diverse tendenze. Entrambi coltivarono il teatro del primo Ottocento e quello dei successori di Verdi, incontrandosi talvolta, ma raramente, nelle medesime preferenze e possibilità. Poiché il napoletano traeva dalle favorevoli condizioni fisiche (capacità toracica, timbro oscuro, vellutato e dolce, e pronto allo scatto energico), la capacità alla potente drammatizzazione, mentre il cesenate, mirabilmente si giovava della voce, che aveva spiccata la nitidezza del timbro argenteo, per le più delicate sfumature del così detto tipo lirico. Si spartirono così il campo teatrale per più di un ventennio. Più fortunato, il Caruso acquistò fama universale; egli possedeva, in fatto, mezzi più impressionanti; e la ricordanza che serbiamo di lui è legata sì alla bellezza dei doni naturali, ma è anche connessa alle impressioni fortemente drammatiche consentite dal suo temperamento; nè mai ebbe bisogno di vezzi e di arzigogoli per riuscire affascinante. Il Bonci invece attraeva soprattutto per il nitore della purissima voce, l'eleganza della tecnica, e anche per quella delicata sfumatura di malinconia che rendeva squisitamente suggestivo il suo canto.
Fino al 1927, anno del suo ritiro dalle scene, il celebre tenore percorse l'Europa e gli Stati Uniti d'America interpretando opere del repertorio classico del tenore lirico-leggero, ma in seguito affrontò, con soddisfacenti esiti, anche ruoli più forti esibendosi in Un ballo in maschera di Verdi, dove inserì la nota risatina nell'aria È scherzo od è follia”.
Tra l'altro, sia Bonci sia Caruso intuirono subitamente le potenzialità commerciali delle incisioni discografiche, anche se furono ben consapevoli che i mezzi di riproduzione della voce erano imperfetti e, di conseguenza, non sempre soddisfacenti.Bonci, però, era stato conteso dalle più importanti case discografiche del tempo italiane e d'oltreoceano; aveva iniziato ad incidere con la Fonotipia nel 1905, poi nel 1913 passò all'Edison e alla Columbia, infine nel 1926 poté avvalersi del procedimento elettrico della Columbia (registrò passi salienti del Ballo in Maschera el'aria de Le Villi).
Scoppiata la Prima guerra mondiale,l'artista cesenatefu richiamato alle armi e rimase in servizio fino alla fine del conflitto. Immediatamente dopo tornò negli Stati Uniti d'America per un tour di tre stagioni, che lo riportarono sul palco del Metropolitan ed a Chicago (nel 1920-21 e infine nel 1924). Dopo il 1925 Bonci cominciò a diradare i suoi impegni e a privilegiare la sua attività di insegnante prima a New York, poi a Milano e negli ultimi anni a Viserba, vicino a Rimini, dove aveva acquistato una bella villa. Qui si spense il 9 agosto 1940.
Fin dal 18 settembre del 1927 la città nativa gli aveva dedicato il Teatro Comunale quando volle offrire al celebre concittadino una serata d'eccezione per consentirgli di congedarsi egregiamente dal suo pubblico; Bonci cantò nellaMessa da Requiem di Verdi e nel 2° atto del Ballo in maschera in un Teatro Comunale affollatissimo e plaudente. Quella sera stessa il Podestà salì sul palcoscenico e lesse all'artista la delibera con cui si intitolava a lui il teatro. In seguito, Cesena intestò a suo nome una via cittadina e nel 1982 fu costituito un coro lirico che si fa ancora apprezzare per il vasto repertorio.
Fra i tanti suoi ammiratori illustri Bonci annoverò anche Giosuè Carducci, come si evince da un raro libro fortunatamente rintracciato (Da un carteggio inedito di Giosue Carducci e la Romagna, Rocca San Casciano, Zanichelli-Cappelli, 1907, pp. 65-66) e da una bella fotografia ripresa il 21 settembre 1904 a Lizzano, località vicino a Cesena, dove il poeta era ospite della contessa Silvia Pasolini.
Roberta Paganelli