Jess | Emily D'Angelo |
"also Jess" | Teresa Perrotta |
Comandante | Morris Robinson |
Trainer | Frederick Ballentine |
Eric | Joseph Dennis |
Sensor | Kyle Miller |
Sam | Willa Cook |
Kill Chain: Mission coordinator | Michael Butler |
Kill Chain: Ground control | Josha Dennis |
Kill Chain: Joint terminal attack controller | Rob McGinnes |
Kill Chain: Safety observer | Jonathan Patton |
Kill Chain: Judge Advocate general | Sergio Martinez |
Direttore | Daniela Candillari |
Regia | Michael Mayer |
Scene | Mimi Lien |
Costumi | Tom Broecker |
Video | Kaitlyn Pietras e Jason H. Thompson |
Tecnici 3D | Andrea Carver e Luke Raymaker |
Coreografie | David Neumann |
Sound designer | Palmer Hefferan |
Maestro del Coro | Steven Gathman |
Washington National Opera Orchestra | |
Washington National Opera Chorus | |
Commissioned by the Metropolitan Opera. Developed by the Metropolitan Opera/Lincoln Center Theater New Works Program. |
La nuova stagione della Washington National Opera (WNO) è partita con una interessante prima assoluta di Grounded, su libretto di George Brant e musica di Jeanine Tesori. Si tratta di una co-produzione tra il Metropolitan e il WNO, con un cast in cui spicca il giovane mezzosoprano Emily D’Angelo nei panni della protagonista. L’opera racconta la storia di una pilota di jet che viene tenuta a terra (“grounded”) in una base americana per pilotare a distanza une drone da guerra in Iraq; questa nuova posizione, apparantemente più tranquilla, le causa invece un acuto stress post-traumatico.
Grounded è la trasposizione operistica dell’omonima pièce teatrale di successo di George Brant del 2013. La pièce è un one-woman show che conta ormai 184 produzioni in 25 paesi ed interpreti del calibro di Anne Hathaway. Nel 2014, il Metropolitan, nella figura di Paul Cremo, aveva chiesto a George Brant di trasformare la pièce in un’opera e lo ha affiancato alla compositrice Jeanine Tesori. Il WNO ha poi sviluppato l’idea in co-produzione con il Met e ha strappato a New York il privilegio della prima assoluta. Il Met ha però annunciato che “Grounded” inaugurerà la stagione 2024 del Metropolitan. Abbiamo quindi la possibilità non solo di vedere quest’opera in prima assoluta, ma anche di pregustare quasi in anteprima l’inaugurazione della prossima stagione del Met.
L’informazione chiave per capire l’opera è che i piloti di droni da guerra, che controllano dall’America i velivoli a migliaia di chilometri di distanza, hanno simili livelli di stress post-traumatico rispetto ai loro colleghi che pilotano i jet sul campo di battaglia. Lo stress post-traumatico è causato dall’incapacità dei veterani di reinserirsi nella società civile dopo la guerra, perché sentono che la società come un organismo estraneo che non ha vissuto le esperienze estreme della guerra e che non potrà mai capirli. I piloti di droni, come la protagonista di Grounded, soffrono di acuto stress post-traumatico perché, dopo aver visto scene tremende negli schermi ad alta risoluzione delle cabine di comando, devono tornarsene a casa dalla famiglia e vivere una vita “normale”. Impossibilitati a condividere con nessun civile le proprie esperienze traumatiche top-secret, ed estraniati dalla apparente tranquillità della vita quotidiana, soffrono gravi conseguenze dal punto di vista psicologico e fisico. Citando un passo del libretto: “se Ulisse fosse tornato a casa ogni sera, l’Odissea sarebbe un libro molto diverso”.
Il libretto, ricavato da George Brant dalla sua pièce, ha mantenuto una forza dirompente. Nella trasformazione del one-woman show in un’opera completa, il librettista ha dovuto creare nuovi personaggi, dare loro spessore, aggiungere scene e situazioni coerenti con lo sviluppo della vicenda. Ci è riuscito in pieno. Nel libretto si alternano la guerra, il conflutto interiore, la sensualità e lo humor (quest’ultimo era la parte più sorprendente). Interessante anche l’idea di affiancare alla protagonista (Jess) un coro di uomini, che fanno la parte dell’interlocutore durante i dialoghi interiori, e un alter ego ( in locandina chiamato “also Jess”), che simboleggia lo sdoppiamento della protagonista tra la vita familiare e quella militare.C’erano però molte occasioni mancate nella musica, firmata dalla compositrice dell’opera Jeanine Tesori. La Tesori ha alle spalle due Tony Awards e ha scritto molti musical ed alcune opere, tra cui Blue, presentato al WNO l’anno scorso e anche a Seattle e ad Amsterdam.
La compositrice, in questa occasione, aveva il difficile compito di mettere in musica l’esperienza del volo dei jet e scene di guerra con bombardamenti veri e propri. Ha scelto quasi sempre un’interpretazione lirica ed intimistica, non sempre efficace. Infatti, le parti più riuscite erano quelle della vita domestica e quelle del dibattito interiore della protagonista e meno quelle drammatiche come le bombe e le scene militari (vedi la delicata musica corale della lettura della sentenza). Il problema principale, però, è che la musica non dà un ritmo all’opera, è frammentaria, ha molti tempi morti e momenti musicali superflui. Non aiuta la preferenza di Tesori per le forme chiuse e gli acuti alla fine dell’aria, con tanto di applausi “comandati” (fortunatamente rari nelle opere moderne). Gioverebbe un buon lavoro di forbici alla partitura.
A compensare i limiti della musica ci ha pensato una messa in scena strepitosa firmata dal regista Michael Mayer, la scenografa Mimi Lien con i video di Kaitlyn Pietras e Jason H. Thompson. Come la vita della protagonista, anche la scena era divisa in due, tra una parte superiore dedicata alla sfera militare e una inferiore dedicata alla sfera familiare. La parte superiore era completamente ricoperta di schermi LED ad alta definizione, che coprivano tutto il pavimento, il soffitto e il fondo, con un effetto immersivo davver spettacolare. Nella parte inferiore, invece prevalevano gli elementi naturali, come il legno del bar o gli interni domestici della casa di Jess.
L’uso degli schermi LED permettevano una trasformazione continua della scena, che includeva fondali iperrealistici per le scene, i video sgranati trasmessi dal drone, elementi toalmente astratti e la spettacolare evocazione visiva della bomba. Molto efficace anche il fondale in movimento mentre la protagonista guida la macchina, con un effetto simile a quello delle scene in macchina su fondo proiettato di alcuni vecchi film. Oltre alle scene, c’è stato un grande lavoro di regia con i cantanti, un efficace uso delle masse corali, e situazioni sempre cangianti.
La protagonista era il mezzosoprano Emily D’Angelo, già lanciatissima nei teatri lirici internazionali nonostante non abbia ancora compiuto i trent’anni. Rapata quasi a zero, quasi sempre in tuta militare, ha dato un’interpretazione fantastica del personaggio, sia dal punto di vista vocale che da quello della recitazione. Tramite la sua interpretazione abbiamo potuto vivere in modo realistico lo scivolare nella malattia mentale di una giovane pilota.Speriamo di rivederla nella parte l’anno prossimo al Met. Il tenore Joseph Dennis se l’è cavata bene nella parte del marito Eric nonostante la voce non fosse sempre timbrata negli acuti. Provvidenziale la sua nonchalance nel mettere da parte pezzi di scenografia caduti sul divano.
Molto bravo il basso Morris Robinson, nella parte del Commander, il capo della pilota. La sua voce da basso profondo ha un grande spessore nel registro grave e la figura imponente era perfetta per questa parte assertiva e distaccata. Bene anche l’alter ego di Jess (“also Jess”), il soprano Teresa Perrotta, che ha una bella voce lirico-leggera, ottimi legati, e ha sfoderato una messa di voce perfetta. Molto centrati erano Frederick Ballentine nella parte del “trainer” - giovane cantante ad inizio carriera, ma già dalla buona presenza scenica - e Kyle Miller nella parte del diciannovenne “sensor”, cioè dell’assistente al pilota. Brava anche Willa Cook, la bambina “Sam”, figlia della pilota, voce bianca intonata e a tempo. Interessante la “Kill Chain”, cioè le persone che danno gli ordini al pilota via radio, che erano sempre fuori scena e cantavano amplificati. Erano tutti cantanti del "Cafritz Young Artists Program", organizzato dal WNO per promuovere le nuove voci. Lodevole anche il lavoro del grande coro di soli uomini, che dovevano passare dalla parte di soldati, al super-ego interiore di Jess, a quella di passanti al centro commerciale (con tanto di coristi vestiti da donna). A dirigere tutti c’era Daniela Candillari, che è riuscita nel difficile compito di dare continuità ad una partitura frammentaria e a tenere insieme una grande orchestra in buca, strumenti fuori scena (persino dietro il pubblico) e masse artistiche dislocate sopra, sotto e dietro la scena.
L’opera aveva creato qualche polemica ad inizio del 2023 a causa della sponsorizzazione della stessa da parte di General Dynamics, l’azienda militare produttrice degli F-16. Le polemiche hanno coinvolto molti attori. Alcuni commentatori su Twitter hanno accusato la WNO di glorificare la guerra e l’esercito americano, un blog militarista ha definito trionfalmente il lavoro una “Killer drone opera”, una testata russa l'aveva dichiarata propaganda a favore della General Dynamics, il New York Magazine l’aveva classificata come “despicable”, e il New York times ha scritto un articolo per riassumere la vicenda. Il Met e il WNO, spaventati per questa reazione, hanno corretto il tiro. Peter Gelb, general manager del Metropolitan, ha dichiarato che Grounded è un’opera anti-militarista, ma molti non gli hanno creduto fino in fondo.
Il WNO ha cambiato nel proprio sito il ruolo della General Dynamics da “presenting sponsor” di Grounded a sponsor dell’intera stagione (ma nel biglietto che mi hanno consegnato, è rimasta la dicitura “presenting sponsor”). Hanno anche modificato in senso meno militarista alcuni passi della descrizione dell’opera, che in principio definiva la protagonista un “hot shot F-16 fighter pilot, an elite warrior trained for the sky”. In effetti General Dynamics è sponsor della WNO da anni, a causa del dichiarato amore per l'opera dell'amministatore delegato. Il WNO è però un’istituzione di Washington a due passi dal Pentagono, e tra il pubblico ci sono sempre militari e politici, quindi l’interesse della General Dynamics non è del tutto disinteressato.
A modesto parere di chi scrive, l’opera non è anti-militarista come vorrebbe il Met per girare la frittata. È un’opera che racconta i problemi mentali dei combattenti delle forze armate americane, in particolare lo stress post-traumatico di cui soffre la protagonista. I militari americani amano il proprio lavoro e interpretano la missione di “servire il proprio paese” come andare a combattere ed uccidere se necessario. Non tutti sono d’accordo con questa interpretazione dell’impegno pubblico, ma l’opera non celebra la guerra e non dice che “war is ok” (come l’ha letta il New York Times). L’atteggiamento mi sembra piuttosto quello di gran parte della società americana, che celebra tutti i propri veterani, ne rispetta il sacrificio, e vorrebbe dare loro un futuro migliore nella vita civile, al di là delle ragioni giuste o sbagliate per cui si mobilita l’esercito.
La recensione si riferisce alla prima del 3 novembre 2023.
Francesco Zanibellato