Orlando | Teresa Iervolino |
Angelica | Francesca Aspromonte |
Alcina | Lucia Cirillo |
Bradamante | Chiara Tirotta |
Medoro | Laura Polverelli |
Ruggiero | Sonia Prina |
Astolfo | Christian Senn |
Direttore | Giulio Prandi |
Regia | Fabio Ceresa |
ripresa da | Federico Bertolani |
Scene | Massimo Checchetto |
Assistente scenografo | Olimpia Russo |
Costumi | Giuseppe Palella |
Movimenti mimici | Silvia Giordano |
Luci | Fabio Barettin |
Maestro del Coro | Ulisse Trabacchin |
Orchestra, Coro e tecnici della Fondazione Arena di Verona |
In principio fu Antonio Vivaldi: il 6 gennaio 1732 il dramma pastorale La fida ninfa, su libretto di Scipione Maffei, inaugurò il Teatro Filarmonico di Verona. Qui Vivaldi compose altri tre drammi in musica negli anni successivi, Adelaide e Il Bajazet nel 1735 e Catone in Utica nel 1737. Dopo essere scomparso dai repertori dei teatri per i secoli successivi, il Prete rosso tornò a Verona nel 1978, a due anni dalla riapertura del Filarmonico ricostruito dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale: com’è noto, l’Orlando furioso firmato Scimone-Pizzi-Horne non solo pose le basi per la riscoperta del barocco in Italia, ma fu un tale successo che lo spettacolo fu replicato l’anno successivo nello stesso teatro e oltralpe. A quarantatré anni di distanza, l’opera torna a Verona quale quarto titolo della Stagione Lirica 2022.
Viene qui ripreso lo spettacolo di Fabio Ceresa (che si avvale delle scene di Massimo Checchetto, dei costumi di Giuseppe Palella, delle luci di Fabio Barettin e dei movimenti mimici di Silvia Giordano) nato a Martina Franca nel 2017 e coprodotto con Venezia. Per le considerazioni visive sull’opera rimando a quanto scritto da Bruno Tredicine e Vittorio Mascherpa, che hanno seguito rispettivamente il debutto pugliese e le recite al Teatro Malibran dell’anno successivo. Mi trovo comunque a concordare con il primo per l’indubbio appeal scenico dell’allestimento, che riesce a rendere giustizia allo spirito spettacolare e al tempo stesso auto-ironico della partitura, e con il secondo nel lamentare i numerosi tagli che inficiano la comprensione drammaturgica e l’equilibro musicale dell’ultimo atto, il più mutilato dei tre. La ripresa, curata da Federico Bertolani per la regia e con il supporto di Olimpia Russo alla scenografia, scorre comunque senza intoppi.
Il cartellone veronese vede impegnate alcune voci che avevano tenuto a battesimo la produzione a Martina Franca: Lucia Cirillo si riconferma come Alcina istrionica e divertita, nonostante un volume non sempre a fuoco, che comunque non inficia una prestazione positiva, soprattutto nell’introspettiva e malinconica aria “Così potessi anch’io”.
Dopo aver affrontato il ruolo del titolo sia a Martina Franca che a Venezia, Sonia Prina è qui impegnata come Ruggiero: il contralto affronta intelligentemente la celeberrima “Sol da te, mio dolce amore” grazie a un sapiente uso di un registro centrale corposo e di fiati suadenti, aiutata dal proficuo dialogo tra la sua voce brunita e le volate cristalline del flauto di Pier Filippo Barbano.
Già impegnata nel ruolo nelle sole recite veneziane, Francesca Aspromonte è un’Angelica magnetica e seducente. La voce è pulita, luminosa e ben proiettata, e le consente di disegnare un personaggio tanto affascinante quanto ambiguo.
Al debutto nel ruolo del titolo, Teresa Iervolino è un Orlando convincente e di grande spessore musicale, dallo strumento vocale duttile e variegato che le permette di tratteggiare un protagonista credibile sia nel suo orgoglio guerriero sia nei suoi tormenti amorosi.
Note positive anche dalla combattiva Bradamante di Chiara Tirotta, ormai di casa a Verona, che esibisce un’estensione vocale solida e granitica in acuto così come nei suoni centrali e gravi.
Laura Polverelli è un Medoro scanzonato e disinvolto scenicamente e vocalmente, più a fuoco nel secondo atto dello spettacolo, nell’aria “Quel candido fiore” e nel duetto con Angelica.
Nobile e professionale l’Astolfo di Christian Senn, unica presenza maschile della compagnia vocale.
Tiene saldamente le redini della serata Giulio Prandi, al suo terzo titolo veronese nel giro di un anno, che si dimostra ancora una volta capace di guidare benissimo l’Orchestra di Fondazione Arena in un repertorio da loro poco esplorato qual è quello barocco. Sia gli accompagnamenti ai singoli brani che i recitativi sono studiati con perizia e cura del dettaglio.
Positivi gli interventi del Coro, schierato in barcaccia e in buca d’orchestra (finalmente riaperta e non più posizionata a livello della platea!), preparato da Ulisse Trabacchin.
Nonostante la lunghezza dello spettacolo, si registrano poche defezioni tra un intervallo e l’altro del pubblico, che si dimostra invece cortese e plaudente alla fine di quasi tutti i numeri musicali. Al termine dell’opera (inaugurata da un breve ricordo dedicato al regista ed ex sovrintendente di Fondazione Arena Giancarlo De Bosio, scomparso il 2 maggio a Milano), caldo successo per tutti gli artisti coinvolti, con particolare entusiasmo per le cantanti impegnate nei ruoli femminili, la protagonista e il direttore.
La recensione si riferisce alla recita di domenica 8 maggio.
Martino Pinali