Gasparina | Bianca Tognocchi |
Dona Cate Panciana | Leonardo Cortellazzi |
Lucieta | Sara Cortolezzis |
Dona Pasqua Polegana | Saverio Fiore |
Gnese | Lara Lagni |
Orsola | Paola Gardina |
Zorzeto | Matteo Roma |
Anzoleto | Gabriele Sagona |
Il Cavaliere Astolfi | Biagio Pizzuti |
Fabrizio dei Ritorti | Guido Loconsolo |
Direttore | Francesco Ommassini |
Regia | Federico Bertolani |
Assistente alla regia | Barbara Pessina |
Scene | Giulio Magnetto |
Costumi | Manuel Pedretti |
Luci | Claudio Schmid |
Maestro del Coro | Roberto Gabbiani |
Orchestra,Coro e Tecnici della Fondazione Arena di Verona |
Ottantasette anni dopo la sua unica apparizione veronese (avvenuta nel 1937, un anno dopo il suo debutto alla Scala), il Teatro Filarmonico ospita la prima rappresentazione in tempi moderni de Il campiello di Ermanno Wolf-Ferrari.
“L’azione […] è semplicissima, l’intreccio è di poco impegno, e la peripezia non è interessante”: nonostante la severa autocritica dello stesso Goldoni, Wolf-Ferrari ha dimostrato di credere molto nelle potenzialità del Campiello rielaborato da Mario Ghisalberti, tratteggiando con garbo e sagacia le vicende di questa commedia “di piazza”.
Federico Bertolani (assistito da Barbara Pessina) coglie in pieno lo spirito dell’opera creando uno spettacolo poetico, sospeso tra la popolarità del soggetto e la decadenza di una Venezia sul viale del tramonto. Gli abitanti del campiello passano la loro vita bisticciando in continuazione senza accorgersi che il tempo nella città lagunare scorre impietoso e veloce: dalla contemporaneità di Goldoni si passa al trattato di Campoformio che depone la Serenissima Repubblica, poi dal Risorgimento al Ventennio fascista, e ancora dalla Resistenza alla nostra contemporaneità dove le minacce delle maree e del turismo di massa sono evocati rispettivamente dalle paratie del MOSE e da una gigantesca nave da crociera che irrompe sul fondale durante il commiato di Gasparina.
Ben delineate sia le scene di Giulio Magnetto che i costumi di Manuel Pedretti. Il disegno luci di Claudio Schmid pecca solo di fissità nelle scene d’insieme ad onta di alcune atmosfere davvero suggestive.
Molto ispirata anche la direzione di Francesco Ommassini che riesce a ricavare dall’Orchestra dell’Arena di Verona sfumature crepuscolari, impreziosite dall’ottimo lavoro condotto sull’intero insieme e sulle singole sezioni, archi in primis. A parte qualche saltuaria sonorità “areniana”, l’equilibro tra buca e palcoscenico non si scolla mai, e le voci sono dirette con precisione e sicurezza.
Certosino il duplice lavoro musicale e drammaturgico sull’affiatata compagnia di canto che affronta i rispettivi ruoli senza mai eccedere la misura o scadere nel comico fine a sé stesso: ne sono un esempio le due “done”, la Cate di Leonardo Cortellazzi e la Pasqua di Saverio Fiore, eredi dirette delle nutrici barocche. I due tenori, forti di una bella proiezione dei suoni, donano autorevolezza, persino dignità alle caricaturali parti delle due matriarche del campiello, rendendole personaggi veri e a tutto tondo.
Di spessore anche la prova delle “pute”: Bianca Tognocchi è una Gasparina al tempo stesso affettata e ingenua, capace di ammantare di dolce nostalgia il finale “Bondì, cara Venezia”; Sara Cortolezzis è una Luçieta volitiva, che sfoggia una sorprendente facilità nella salita all’acuto esibita senza mai forzare i suoni svettando in più d’un’occasione nei brani d’insieme; suo contraltare la ben centrata Gnese di Lara Lagni, ritrosa e innamorata al punto giusto.
Sugli scudi i loro tre corteggiatori: Biagio Pizzuti è un Cavalier Astolfi adeguatamente sonoro, piacione e sdegnoso, così come sono ben tratteggiati il rissoso e tonitruante Anzoleto di Gabriele Sagona e il tenero Zorzeto di Matteo Roma, il quale riconferma qui le buone impressioni destate nella recente Rondine sciorinando virate all’acuto più sicure e disinvolte.
Spassosa la petulante e precisa sior’Orsola di Paola Gardina che non si lascia mettere in ombra nel gruppo delle comari, mentre Guido Loconsolo fa risaltare i brevi ma imperiosi interventi del “zior barba” Fabrizio con un robusto strumento vocale.
Puntuale e prezioso il breve contributo del Coro nel finale dell’opera.
La diligente prestazione dei mimi, che animano le scene di vita del campiello, contribuisce alla buona riuscita dell’allestimento.
Pubblico eterogeneo di cui una gran parte era costituita da scolaresche, chiacchierone, sì, ma anche interessate e divertite. Al termine, applausi soddisfatti e calorosi verso tutti gli interpreti e il direttore, con picchi di apprezzamento verso Fiore, Cortellazzi, Cortolezzis, Pizzuti e Tognocchi.
La recensione si riferisce alla recita di venerdì 22 marzo 2023.
Martino Pinali