Turandot | Ekaterina Semenchuk |
Altoum | Carlo Bosi |
Timur | Riccardo Fassi |
Calaf | Yusif Eyvazov |
Liù | Mariangela Sicilia |
Ping | Youngjun Park |
Pang | Riccardo Rados |
Pong | Matteo Macchioni |
Mandarino | Hao Tian |
Principe di Persia | Eder Vincenzi |
Ancelle di Turandot | Grazia Montanari, Mirca Molinari |
Direttore | Michele Spotti |
Regia e Scene | Franco Zeffirelli |
Costumi | Emi Wada |
Movimenti coreografici | Maria Grazia Garofoli |
Maestro del Coro | Roberto Gabbiani |
Maestro del Coro di Voci bianche | Elisabetta Zucca |
Coordinatore del Ballo | Gaetano Petrosino |
Orchestra, Coro, Ballo e Tecnici della Fondazione Arena di Verona | |
Coro di Voci Bianche A.d'A.Mus. |
Festeggiate le sue prime cento edizioni, l’Arena Opera Festival 2024 invece di proiettarsi verso il futuro, tiene ancora uno sguardo fisso al glorioso passato, comune non solo all’ambito veronese ma anche a quello italiano: mentre infatti la Turandot inaugurale di questo festival rientra nel solco delle celebrazioni pucciniane, il concerto eseguito la sera prima con le maestranze di tutte le fondazioni lirico-sinfoniche della penisola, alla presenza delle più alte cariche dello Stato, è stata la kermesse in onore dell’iscrizione del “patrimonio del canto lirico in Italia” nella lista del beni immateriali tutelati dall’Unesco.
Questa nostalgia del passato permea tutto il 101° cartellone: la maggior parte dei titoli sono allestimenti già rodati, persino storici (torna a cinque anni dall’ultima proposta l’Aida “1913/De Bosio”), e gli artisti scritturati, gira che ti rigira, con qualche lieve variazione sono voci e bacchette note e riascoltate in più occasioni.
Se è comunque vero che in Arena l’usato sicuro ha (quasi) sempre funzionato, non può non destare perplessità, persino rammarico, questa scarsa fiducia nel tornare a osare come un tempo: ciò è evidente sia nell’aver affidato a un personaggio televisivo come Alfonso Signorini il nuovo allestimento della Bohème che debutterà a luglio (l’analogo esperimento dell’anno scorso del Rigoletto di Antonio Albanese non ha dato i risultati sperati anche a livello di partecipazione di pubblico), sia nel riconfermare Stefano Poda come regista del Nabucco inaugurale della prossima stagione estiva.
Venendo alla prima della presente edizione, dell’allestimento di Franco Zeffirelli dell’incompiuta pucciniana (giunto qui alla sua sesta ripresa) se n’è parlato in abbondanza, e mi limiterò solo a sottolinearne ancora il carattere sovraccarico che tende ad annichilire il tessuto musicale, schiacciato com’è dall’opulenza degli ori e delle rumorose masse schierate. L’impatto sul pubblico è comunque sempre più che positivo.
La vera novità di quest’anno viene però dal direttore in buca, Michele Spotti, debuttante in Arena. Contrariamente ai suoi predecessori che hanno sempre pestato sul pedale dei fortissimi per far risaltare ancora di più la musica, Spotti non cede a questa tentazione e opta per dinamiche controllate, forte di un lavoro certosino condotto con l’Orchestra e il Coro di Fondazione Arena (quest’ultimo preparato da Roberto Gabbiani). Tanto il dialogo sulle masse è stato proficuo, quanto, di contro, quello sui solisti è stato meno curato (cosa imputabile agli impegni degli stessi, dato che l’interprete di Calaf è attualmente in cartellone nel medesimo titolo e ruolo alla Scala) come risulta evidente da qualche attacco non proprio preciso. Fa storcere un po’ il naso anche la scelta di avallare i consueti e incomprensibili tagli alla scena delle maschere (che in alcune edizioni erano stati invece reintegrati) soprattutto considerando la concomitanza dell’anniversario pucciniano. I conti comunque tornano tutti, e l’esordio del giovane direttore lombardo a Verona è incoraggiante e lo testimoniano i festeggiamenti che gli orchestrali gli rivolgono agli applausi.
Affidare il ruolo del titolo a un mezzosoprano non è una novità, ma il precedente areniano più immediato, quello di Grace Bumbry nel 1991, non era stato accolto a suo tempo con favore né di pubblico né di critica. Ekaterina Semenchuk, che ha già debuttato in Turandot al Liceu, possiede uno strumento vocale che non mostra segni di cedimento per tutta l’ampiezza del registro, rivelandosi tanto perentoria nella scena degli enigmi quanto turbata nella sua resa al Principe Ignoto. Ad onta di qualche lieve asperità nella pronuncia italiana e di qualche suono non sempre a fuoco, le carte in regola per essere una credibile e personale interprete del ruolo ci sono tutte.
Impegnato ancora una volta nei panni di Calaf, Yusif Eyvazov sfoggia con facilità e generosità fiati sostenuti, acuti e sovracuti che infiammano l’audience e gli fanno ritagliare un successo tutt’altro che immeritato (anche se, incredibilmente, il bis di “Nessun dorma” non viene concesso!), ma l’adesione al personaggio rimane sempre generica e superficiale.
Sempre di grande spessore la Liù di Mariangela Sicilia, tutt’altro che succube e passiva, ma fiera del suo amore impossibile conservato gelosamente e esibito con dovizia di tecnica e un timbro suadente nella scena della sua morte.
Note positive anche per il collaudato e granitico Timur di Riccardo Fassi e per l’Imperatore areniano per antonomasia, Carlo Bosi, sostituto last minute dell’annunciato Piero Giuliacci.
Nel terzetto delle maschere, più che il Ping di Youngjun Park dotato sì di un bel vocione ma piuttosto monocorde come interprete, emergono il preciso Pong di Matteo Macchioni e l’autorevole Pang di Riccardo Rados, dal timbro piacevolmente screziato, quasi baritenorile.
Hao Tian (Mandarino), Eder Vincenzi (Principe di Persia), Grazia Montanari e Mirca Molinari (ancelle di Turandot) svolgono con zelo i loro brevi interventi.
Precisi e ben cantati gli interventi del Coro di voci bianche A.d’A.Mus preparato da Elisabetta Zucca.
Arena gremita di un pubblico vivace che si scioglie in fragorosi consensi all’indirizzo degli interpreti principali e del direttore. Decisamente un buon avvio di stagione.
La recensione si riferisce alla recita di sabato 8 giugno 2024.
Martino Pinali