Violetta Valéry | Anna Netrebko |
Flora Bervoix | Sofia Koberidze |
Annina | Yao Bohui |
Alfredo Germont | Freddie De Tommaso |
Giorgio Germont | Luca Salsi |
Gastone di Letorières | Matteo Mezzaro |
Barone Douphol | Nicolò Ceriani |
Marchese d'Obigny | Jan Antem |
Dottor Grenvil | Giorgi Manoshvili |
Giuseppe | Francesco Cuccia |
Domestico di Flora / Commissionario | Stefano Rinaldi Miliani |
Primi ballerini | Nicoletta Manni |
Timofej Andrijashenko | |
Direttore | Marco Armiliato |
Regia e scene | Franco Zeffirelli |
Costumi | Maurizio Millenotti |
Coreografia | Giuseppe Picone |
Luci | Paolo Mazzon |
Maestro del Coro | Roberto Gabbiani |
Orchestra, Coro e Corpo di ballo dell'Arena di Verona |
Serata di chiusura del 100° Festival areniano esaurita da settimane. Per l’occasione sono stati messi in vendita anche biglietti delle ali laterali che personalmente non avevo più viste occupate da molto tempo. Il motivo principale di tanto interesse e altrettanta curiosità era senz’altro l’annuncio che in questa unica recita Anna Netrebko avrebbe dato l’addio al ruolo di Violetta, affrontato per la prima volta a San Pietroburgo nel 1998 a 27 anni e a 4 anni dal debutto su un palcoscenico. Interesse perché ogni nuova prova dell’artista russa, in grande forma, nonostante i quasi trent’anni di carriera, richiama giustamente l’attenzione di un vasto pubblico. Curiosità perché molti dei presenti si chiedevano come sarebbe stata la resa di Netrebko in questo personaggio così sfaccettato e bisognoso di nuances, delicatezza, agilità vocale, a sei anni dalla sua ultima Traviata (Scala 2017), sei anni passati ad espugnare un repertorio oltremodo oneroso con numerose recite di Aida, Turandot e Macbeth espugnate con pienezza di mezzi vocali e senza risparmio. Nel febbraio 2018 in realtà era già stato annunciato il congedo da Traviata con tre recite all’Opéra Bastille, la cui rinuncia per motivi di salute provocò non pochi malumori nel pubblico. Per la cronaca tre giorni prima della recita veronese Anna Netrebko è stata ancora Violetta al Konzerthaus di Vienna. Ma siamo sicuri che le voci sul suo addio a Violetta, visto il successo ottenuto, siano attendibili? O che comunque non ci saranno ulteriori ripensamenti? In ogni caso lasciare la parte a questo punto della carriera sarebbe una scelta saggia.
Venendo alla serata areniana del 9 settembre scorso, se qualche timore preventivo poteva apparire giustificato ascoltando le prime frasi, prive della necessaria leggerezza di emissione e del tono salottiero richiesti, già dal brindisi la voce appariva più libera con fiorettature impeccabili e con la consueta espansione. Certo l’estensione non è più quella di un tempo (i due re bemolle 5 di “Gioir!” del primo atto sono un po’ stentati ed è evitato il mi bemolle sopracuto finale), ma “Ah forse è lui” (eseguito solo nella prima strofa) aveva un’incantata purezza ed era concluso con una cadenza che portava la voce ad un immacolato do 5 in piano che strappava le prime vere ovazioni. “Sempre libera” era corretto anche se non aveva la frenesia auspicabile ed era funestato da uno dei non infrequenti malori tra il pubblico che creava un po’ di scompiglio col pronto intervento dei soccorritori. Nel secondo atto la Violetta di Netrebko, fragile e disperata, era toccante. La voce riempiva l’Arena, ma era generosa in nuances e il fraseggio era più ricercato del solito (commovente e inedito il suo “Non ci vedrem più forse”). Qua e là le si poteva rimproverare qualche leggero slittamento di intonazione, ma si trattava di peccati veniali. Il terzo atto, poi, era da antologia, ad eccezione di una lettura della lettera piuttosto enfatica, ma con un’”Addio del passato”, eseguito integralmente, straordinario dal punto di vista vocale, con una progressione drammatica estremamente coinvolgente e una ricerca coloristica quasi sorprendente. Fino a un finale emozionante per tenuta vocale e carisma attoriale. Perché Anna Netrebko ha una capacità di dominare il palcoscenico che è solo sua e che inchioda l’attenzione degli spettatori, nonostante una direzione di attori pressoché inesistente. Per lei successo travolgente.
Alfredo era il non ancora trentenne Freddie De Tommaso, vocalità piuttosto ampia e buona estensione (eseguiva con spavalderia il do 4 al termine della cabaletta del secondo atto, a prezzo però del tacet di quanto immediatamente precedente). Non sempre accurato nell’esecuzione (un po’ abborracciati i parchi melismi della parte) si lasciava talvolta prendere dalla foga espressiva, ma si dimostrava capace di belle smorzature. In definitiva un giovane tenore dalle notevoli potenzialità ancora da disciplinare.
Papà Germont era Luca Salsi, in buona forma vocale e attentissimo al fraseggio. Anche troppo in qualche momento. Nella ricerca quasi ossessiva di sottolineare ogni frase, ogni parola, quasi ogni sillaba, c’era il rischio di spezzare la linea melodica. Nel complesso comunque si trattava di una prova di tutto rispetto, accolta con entusiasmo dal pubblico. Autorevole la presenza scenica.
Scelte con cura in linea di massima le parti minori. Se Sofia Koberidze era una Flora del tutto efficace come attrice, con una vocalità corretta ma non adattissima agli spazi areniani, viceversa di Nicolò Ceriani (Barone Douphol) di voce ne aveva anche troppa, aggredendo le sue frasi con fin troppa irruenza.
Lodevole Matteo Mezzaro (Gastone) per voce e portamento scenico e gradevole il Marchese d’Obigny di Jan Antem.
Ben caratterizzati e vocalmente solidi l’Annina di Yao Bohui e il Dottor Grenvil di Giorgi Manoshvili.
Completavano il cast con proprietà Francesco Cuccia (Giuseppe) e Stefano Rinaldi Miliani (Un domestico di Flora e Un commissionario).
Il tutto sotto la guida esperta, ma fin troppo accondiscendente nei confronti del cast, di Marco Armiliato. Tempi generalmente rilassati, buona tenuta degli assiemi e generose libertà concesse soprattutto a tenore e soprano, mentre Salsi si dimostrava il più rigoroso dal punto di vista musicale. Buona la prestazione dell’Orchestra e del Coro dell’Arena, quest’ultimo diretto da Roberto Gabbiani.
Quanto alla messa in scena non so quanta sia la responsabilità riguardo alla regia di Franco Zeffirelli, venuto a mancare durante le prove della “prima” del 2019, per di più in una ripresa di quattro anni più tardi. Le scene, concepite dal regista fiorentino, si rifanno in parte agli allestimenti newyorkese (soprattutto per la struttura a due piani) e fiorentino. Del tutto superfluo il funerale che impedisce durante il preludio del primo atto un decente ascolto dell’orchestra a causa dello zampettare dei cavalli. Tipico di Zeffirelli (soprattutto dell’ultimo Zeffirelli) è senz’altro l’horror vacui, il fasto fine a se stesso, le legioni di comparse, i fuochi d’artificio, coriandoli e stellone filanti alla fine delle danze nella festa a casa (castello?) di Flora (come già al Comunale di Firenze). Non è zeffirelliano invece il disordine dei movimenti delle masse e la mancanza di accuratezza tecnica con i protagonisti spesso dispersi tra la folla che impedisce loro di emergere. Belli i costumi di Maurizio Millenotti, ma Anna Netrebko sostituiva al primo atto il vestito cilestrino originario, un po’ miserello, in tanto fasto, diciamocelo, con un bel vestitone bianco più in tono col resto. Belle le luci di Paolo Mazzon, poco fedeli nelle riprese televisive del 2019 (recensione di Silvia Campana) e del 2022 (recensione di Martino Pinali).
Convenzionali le coreografie di Giuseppe Picone e dunque sprecate le due étoiles Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko, freschi sposi.
Un’Arena di Verona impressionante nella sua pienezza come non vedevo da tempo non lesinava consensi e ovazioni a tutti, ma in particolar modo ad Anna Netrebko.
La recensione si riferisce alla recita del 9 settembre 2023.
Silvano Capecchi