Rodolfo | Celso Albelo |
Marcello | Alessio Arduini |
Schaunard | Armando Gabba |
Colline | Adolfo Corrado |
Benoit/Alcindoro | Matteo Ferrara |
Mimì | Claudia Pavone |
Musetta | Mariam Battistelli |
Parpignol | Dionigi D’Ostuni |
Un venditore ambulante | Alessandro Vannucci |
Un sergente dei doganieri | Salvatore Giacalone |
Un doganiere | Emanuele Pedrini |
Direttore | Stefano Ranzani |
Regia | Francesco Micheli |
Scene | Edoardo Sanchi |
Costumi | Silvia Aymonino |
Luci | Fabio Barettin |
Maestro del coro | Alfonso Caiani |
Coro voci bianche Piccoli Cantori Veneziani | |
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice |
Sono passati ormai tredici anni dalla prima alzata di sipario sulla Bohème firmata da Francesco Micheli, allora tenuta a battesimo da un giovane e quasi sconosciuto Juraj Valčuha e quindi entrata stabilmente nel repertorio del Teatro La Fenice, che dal Carnevale del 2011 a oggi l’ha riproposta almeno mezza dozzina di volte. E in effetti lo spettacolo di Micheli è in tal senso ideale, con la sua freschezza cartoonesca che rispolvera la tradizione senza dimenticarsene, legato sì ai luoghi e al “clima” di una Parigi da Belle Époque - più idealizzata che realistica - ma con venature pop che alleggeriscono i toni più cupi dell’opera, ben camuffati per balzare fuori al punto giusto come un pugno nello stomaco.
Sullo sfondo di una Parigi da cartolina, pronta per essere venduta ai turisti, la produzione di Micheli coglie e ben espone uno snodo essenziale dell’opera, quel passaggio spartiacque nell’esperienza di ciascun essere umano in cui la vita presenta il conto: “Così presto? Chi l'ha richiesto?” si domandano i protagonisti poco prima che il sipario si abbassi su Mimì pugnalata dal gelo, in un Quartiere Latino che sembra farsi improvvisamente deserto, a dispetto di banda e folla festante.
È uno spettacolo che non soffre il peso dell’età insomma, qualità tutt'altro che trascurabile in tempi in cui il mondo del teatro corre alla velocità della luce, sia nel gusto, sia nella dimensione prettamente tecnica, con una fluidità degli elementi scenici che gli anni sembrano non avere imbolsito. Le poche riserve sull’allestimento non sono nuove e riguardano grossomodo il primo quadro in cui il boccascena è delimitato da una sorta di cornice a luminarie velata che frappone un’inutile barriera tra palco e sala.
Stefano Ranzani, che già nelle stagioni passate aveva diretto il titolo a Venezia, concerta sapientemente e sgrezza con finezza gli equilibri interni di un’orchestra in ottima serata, ma sceglie tempi tendenzialmente distesi che non aiutano molto i cantanti i quali sì, li reggono, ma con una certa cautela che non riescono sempre a dissimulare.
La sensazione di fondo, a termine di una serata comunque soddisfacente, è che la produzione si sarebbe giovata di qualche prova in più. Discorso che vale per la comunicazione tra buca e palcoscenico, che non è mai sfasata ma nemmeno perfettamente bilanciata, e soprattutto per il protagonista maschile, Celso Albelo, al debutto come Rodolfo. Albelo, la cui voce è fondamentalmente rimasta quella da tenore leggero degli esordi, ha ottime intenzioni d’interprete - ad esempio nel rispettare le indicazioni dinamico-espressive nella Gelida manina, cosa non così comune - ma ancora non ha interiorizzato completamente la parte e di tanto in tanto perde l’orientamento musicale.
È invece una conferma Claudia Pavone, Mimì dallo strumento ampio e di bel colore omogeneo, che - come si direbbe in loggione - galleggia sorretto da una sana colonna di fiato, per altro ben adoperato per assecondare le sfumature richieste dal personaggio. È stata accolta trionfalmente dal pubblico la Musetta, una Mariam Battistelli che convince tanto nel canto, per l’elasticità e proiezione della voce, quanto nel dominare la scena. Suo perfetto contraltare, Alessio Arduini ha la baldanza fisica e vocale ideali per impersonare Marcello.
Adolfo Corrado, Colline, è un basso che farà parlare di sé. Nonostante la giovane età, ha una cavata naturalmente ampia e pastosa, che non dà mai l’impressione d’essere artatamente gonfiata. Armando Gabba, lo Schaunard “storico” della produzione, rispetto al passato ha perso un po’ di brillantezza, eppure la differenza di età tra lui e i compagni bohémien crea una suggestiva e inedita alchimia teatrale. È ineccepibile il contributo delle parti di fianco, a partire da Matteo Ferrara che dà voce e corpo a Benoit e Alcindoro. Positiva anche la prova del coro di casa, diretto da Alfonso Caiani, e dei Piccoli Cantori Veneziani preparati da Diana D’Alessio.
Successo molto caloroso per tutta la compagnia a fine recita.
La recensione si riferisce alla prima di venerdì 2 febbraio 2024.
Paolo Locatelli