Floria Tosca | Valentina Boi |
Mario Cavaradossi | Alejandro Roy |
Il barone Scarpia | Dalibor Jenis |
Angelotti | Alessandro Abis |
Il Sagrestano | Andrea Concetti |
Spoletta | Luigi Morassi |
Sciarrone | Gianluca Failla |
Un carceriere | Alessandro Ceccarini |
Un pastorello | Alice Pellegrini |
Direttore | Daniele Callegari |
Regia, scene e costumi | Pier Luigi Pizzi |
Disegno luci | Massimo Gasparon |
Disegno video | Matteo Letizi |
Maestro del Coro | Roberto Ardigò |
Maestro del Coro delle voci bianche | Chiara Mariani |
Orchestra, Coro e Coro delle voci bìanche del Festival Puccini |
Cambio di protagonista nella terza rappresentazione di Tosca al Festival Puccini 2024, con Valentina Boi che ha interpretato il ruolo del titolo.
La prima recita è stata da noi recensita e in parte concordo con i pareri espressi da Fabrizio Moschini. Premetto che non vidi la Tosca del 2022, sempre con la regia di Pier Luigi Pizzi, e quindi le mie impressioni sulla serata di ieri sono vergini da qualsiasi memoria del passato.
Il titolo di cui parliamo è parte dell’ambizioso progetto che, nel corso della stagione commemorativa del centesimo anniversario della scomparsa di Puccini, ha portato sulla scena le opere teatrali del Maestro in ordine cronologico. La scelta di realizzarle secondo “la prima scrittura” è stata assai significativa: quando avremo occasione di rivedere Le Willis o “quell’Edgar”?
La ripresa di questa Tosca si inserisce perfettamente nel percorso visivo scelto da Pizzi e Gasparon che unisce tutte le opere programmate, con l’enorme ledwall che chiude il palcoscenico su cui proiettare immagini evocative del titolo rappresentato; facilmente riconoscibili, comunque, le differenti idee registiche. Che qui ci sia la mano essenziale ed elegante di Pizzi balza agli occhi; tolti orpelli e caratterizzazioni di tradizione, regna un bianco e nero ricco d’infinite sfumature. Una scalea porta prima all’altare di Sant’Andrea, poi al teatro della “povera cena interrotta” e infine all’ultimo luogo terreno per Tosca e Mario.
La chiesa è suggerita da uno scorcio di cupola e dalla prima Pietà di Michelangelo sull’altare: emblema del dolore materno e assieme significativa di quella Roma di cui si racconta nella storia. La stanza a Palazzo Farnese è dominata da un grande dipinto dietro la tavola imbandita; sugli spalti del castello troneggia l’angelo con la spada e dietro un cielo di nubi che si rincorrono velando la luna (intanto, da dietro, il palco si levava una luna reale e luminosa). Il colore è dato dall’abito di Cavaradossi, dalle vesti preziose e dai paramenti dei celebranti il Te Deum, dalle finiture oro degli abiti di Scarpia e dei soldati: tutti colori caldi e speziati. Rosse sono le tuniche dei bambini della cantoria.
“Dov’è il barocco romano?”, ho letto da qualche parte. Non serve rappresentarlo con eccessi di velluti e broccati quando basta ciò che ha scritto Puccini: quello che suggerisce la scena è più che sufficiente.
Tosca veste di bianco, due abiti molto belli, anzi bellissimo il secondo, quello della cantata alla Regina, in una foggia e tessuto tipicamente “pizziani”: morbido, scivolato, sensuale, completato da un manto rosa carico.
Ci sono momenti di grande eleganza scenica, come l’arrivo sul bastione del castello di un gruppo di soldati che fumano e parlano distrattamente tra loro; il giungere di Mario, pronto per l’esecuzione, quasi non li tocca. Con indolenza spengono le loro sigarette ed escono: è un momento, appunto, ma toglie di giro quella truculenta cialtroneria in cui spesso scade.
La regia è attentissima alla recitazione dei cantanti, minuziosa di piccoli gesti, mai sconfinanti nel macchiettismo; e qui veniamo al superbo Sagrestano di Andrea Concetti. Riteniamo inutile parlare delle grandi qualità di questo cantante, tanto si è detto, e a fronte di questa conoscenza non mi sarei dovuta stupire per quest’interpretazione di altissimo livello. Presumo sia merito delle attenzioni registiche, di cui ho detto, se il personaggio viene fuori privo di quelle incrostazioni a cui nel tempo ci siamo abituati; incrostazioni che portano alla facile risata, spesso tanto codificate da diventare prassi. A questo proposito ho trovato illuminante la recente lettura di La bacchetta spezzata di Gianandrea Gavazzeni, capitolo secondo: “La Tosca come campione esecutivo pucciniano”. Lo consiglio.
Forse sono state quelle pagine a farmi apprezzare ancora di più la pulizia del canto e dell’interpretazione di Concetti. Dispiace molto, invece, quando il sacrista, sul “Tradirmi egli non può” dell’affranta Tosca, esce di scena per poi non cantare più (e facendo un sorrisino complice al quadro che ritrae l’Attavanti).
Non conoscevo Alejando Roy e Dalibor Jenis (Mario Cavaradossi e Scarpia) e sui loro precedenti artistici rimando alla recensione di Moschini. Ieri sera ho trovato questi due cantanti, per certi versi, simili: generosi, forse non dotati di un timbro particolarmente affascinante ma corretti e soprattutto capaci di rendere vivi i rispettivi personaggi.
Mario è un uomo che non ha voglia di beghe femminili, è attratto dalla carnalità di Tosca e i suoi ideali politici appaiono piuttosto all’acqua di rose. Il “Vittoria, vittoria” e la seguente dichiarazione di intenti sull’alba che vindice appar (per altro bene eseguito), muovono a simpatia per questo giovanotto vittima di eventi più grandi di lui e che, sconfitto, alza la testa. Corretta “E lucevan le stelle”, anche se un po’ rozza; ma, ripeto, a questo Mario si perdona tutto.
Scarpia è un gradasso, iroso, sanguigno; si arrabbia e pare vicino al travaso di bile; non è un nobile da manuale ma è credibile.
La nuova entrata è Valentina Boi: decisamente buona la sua prova, grazie a una voce brunita, omogenea, estesa e ben emessa. Se c’è stata emozione “da prima”, non traspariva. Credo in una naturale passionalità della Boi, sì che la sua Tosca è stata caratterizzata da un impeto drammatico e popolaresco che sarebbe sbagliato trovare estraneo al personaggio. La trovo molto a suo agio nel “canto di conversazione”, come è anche il lungo confronto con Scarpia che mi è parso quasi un dialogo “da teatro di prosa” tra due attori che si scambiavano le battute. Presumo ci sia stata sintonia tra i cantanti, tutti e due veraci, sì che la scena è risultata affascinante e veritiera: lei sensuale e assieme scostante verso di lui che, incredulo di fronte ai dinieghi della donna, pare prossimo al colpo apoplettico. Credibile il pugnalamento di Scarpia e ancora di più il lasciarlo morto al proscenio, senza crocifisso e candelabri, per andarsene prima possibile.
Voglio ricordare il “Vissi d’arte”, ben eseguito, cantato dalla Boi mentre scende la scalea verso il proscenio. Non so se sia stata una scelta o il gesto sia nato dal caso, fatto sta che Tosca si è comportata da diva: canta rivolta al suo pubblico, dice di sé, dei suoi drammi, della sua generosità verso i poveri, della sua bravura, mettendo in mostra un ego smisurato e si prostra solo alla fine dell’aria, con un risultato d’effetto.
Insomma, una spontaneità che è parsa istintiva ha caratterizzato, con esiti canori più o meno buoni, i tre interpreti che hanno saputo tenere la scena in un modo talora brutalmente affascinante.
Se tutto risulta così legato, credibile e soddisfacente, grande merito va a Daniele Callegari con una direzione equilibratissima tra palco e buca, attenta a far risaltare il dettaglio, trasparente o sanguigna, senza scadere in verismi di sorta. L’Orchestra risponde molto bene, ci sono particolari preziosi che spesso non riusciamo a sentire all’aperto. Callegari mi è parso attentissimo alle esigenze dei cantanti, l’orchestra sempre ben presente ma mai soverchiante. Bene il Coro e il Coro delle voci bianche (in evidente crescendo dalle prime rappresentazioni e già ottimo in Turandot, ascoltata la sera prima di Tosca).
Sugli altri nomi faccio miei i giudizi espressi da Moschini.
Successo incondizionato, teatro gremito nonostante le pessime previsioni meteo e la pioggia caduta fino al tardo pomeriggio (non si può mai stare tranquilli...).
La recensione si riferisce alla recita del 18 agosto 2024.
Marilisa Lazzari