Direttore | Riccardo Muti |
Chicago Symphony Orchestra | |
Programma | |
Philipp Glass | The Triumph of the Octagon |
Felix Mendelssohn - Bartholdy | Sinfonia n. 4 un la magg. op. 90 Italiana |
Richard Strauss | Aus Italien, Fantasia sinfonica in sol magg. op. 16 |
Dopo tredici anni Riccardo Muti ha lasciato la direzione musicale della Chicago Symphony Orchestra. Un addio sereno e concordato da tempo, siglato dalla designazione a direttore emerito, che chiude formalmente la stagione del maestro nella città sulle rive del Michigan. Felicemente ottantaduenne, il direttore ha già annunciato che vorrà ora dedicarsi principalmente alla propria creatura artistica, l’orchestra Luigi Cherubini, prezioso luogo formativo per giovani strumentisti provenienti dai nostri conservatori. Sarà certamente il sedimentare del tempo che consentirà di cogliere nella sua pienezza la portata dell’impronta artistica impressa da Muti alla Chicago Symphony nell’ultimo decennio ma almeno due tratti sono già evidenti. Il primo, l’attenzione riservata dal maestro agli autori italiani: non unicamente con la programmazione di opere in forma di concerto (Aida, Otello, Falstaff, Cavalleria rusticana) ma anche al repertorio sinfonico dei compositori del nostro paese (in testa, ovviamente, Respighi, Martucci, Casella, Rota). Il secondo, l’interesse per artisti contemporanei, spesso giovani. Ci limitiamo a pochi nomi: oltre agli ormai classici Philipp Glass e Max Raimi, musicisti ancora in erba come Mason Bates e Anna Clayne.
Per il suo lungo “passo d’addio”, Muti ha portato l’orchestra in una tournée europea di undici tappe che in questo mese di Gennaio ha toccato il Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria e infine l’Italia. Gli appuntamenti nel nostro paese sono iniziati a Torino per proseguire poi a Milano e Roma dove si è concluso il farewuelltour. L’italianità, intrecciata anche con l’attenzione al contemporaneo, è stato il fil rougedel programma scelto per il concerto a Torino nell’ambito della stagione di Lingotto Musica. In apertura il maestro ha infatti presentato in prima esecuzione nazionale The triumph of the Octagon, il brano dedicato da Glass a Muti e alla Chicago Symphony Orchestra ed eseguito in prima mondiale lo scorso Settembre. Come ha spiegato lo stesso maestro al numerosissimo pubblico dell’auditorium “Giovanni Agnelli”, il lavoro è ispirato al Castel del Monte, la fortezza dalla singolare forma ottagonale fatta costruire in Puglia da Federico II di Svevia nel tredicesimo secolo. Con un organico per oboe, clarinetto, flauto, arpa e archi e con la sua caratteristica scrittura minimalista – basata quindi sulla ripetizione di un unico elemento musicale – Glass ha pensato ad un brano evocativo più che rappresentativo, nel quale continui arpeggi rimandano idealmente alle volute del maestoso maniero.
L’approccio di Muti si è distinto per la particolare espressività nella resa delle dinamiche e negli accenti ritmici: elementi che hanno impresso un dinamismo inarrestabile alla pagina sino alla conclusione improvvisa, richiamo ideale alla dimensione di apertura sull’infinito, associata secondo numerose culture al numero otto, elemento strutturale di Castel del Monte. Noto omaggio alle suggestioni paesaggistiche del nostro paese, la Quarta Sinfonia di Mendelssohn, l’Italiana appunto, ha completato la prima parte della serata. Maturata lungo un percorso nella pluridecennale carriera – testimoniato anche da una riuscita incisione discografica - oggi la lettura di Muti ha attenuato l’esuberanza di un tempo per favorire la chiarezza e gli intermezzi lirici.
Complice un alleggerimento numerico dell’organico orchestrale, il maestro ha rifinito con meticolosità la trasparenza della trama, soprattutto per quanto riguarda gli archi. E così anche il trascinante e celebre slancio d’attacco dell’Allegro vivace ha assunto toni inaspettati, meno baldanzosi forse ma sicuramente più accattivanti e incisivi nella pulsazione. Al sopraggiungere dai clarinetti e dai fagotti con il secondo tema – morbido e non privo di sensualità - Muti ha prestato particolare attenzione ad un’espressività distesa, ben dipanata nella successiva elaborazione contrappuntistica. Nel successivo Andante con moto – evocazione di un corteo al quale Mendelssohn assistette - alla limpidezza di suono già ascoltata si è aggiunta la meditata tenerezza della scansione ritmica sulla quale è sorretta la melodia, ineccepibile nella sua regolarità. Nel Con moto moderato, così rassicurante nell’inventiva del tema principale, abbiamo finalmente avuto modo di ammirare, precisamente nel Trio, tutta la proverbiale magnificenza degli ottoni della Chicago Symphony Orchestra: un suono potente, caldo e ricco nella sua rotondità. Nell’ultimo movimento – con il celebre saltarello – Muti non si è lasciato prendere la mano addolcendone la bruschezza della pulsazione ed enfatizzando invece l’apertura degli intermezzi lirici.
Nella seconda parte della serata, la rara e giovanile fantasia sinfonica Aus Italien di Richard Strauss, pagina sulla quale il direttore ama tornare con assiduità e in contesti diversi, consegnata anche al disco oltre trent’anni fa con i Berliner Philarmoniker. Fin dalle prime battute del primo numero (“Nella campagna romana”) ci ha colpito la lussureggiante ricchezza timbrica dell’orchestra, opportunamente valorizzata da un’esecuzione nella quale ogni dettaglio è stato evidentemente a lungo meditato, dalle sfumature dei pianissimi all’intervento inappuntabile dell’ottavino di Jennifer Guno. Il lavoro del maestro sulla finitura del suono è risultato particolarmente evidente nel secondo movimento (“Tra le rovine di Roma”) dove l’orchestra ha affrontato il vigoroso Allegro molto con brio con una soddisfazione percepibile anche allo sguardo e che si è tradotta in eccellenza sonora. Dopo l’episodio “Sulla spiaggia di Sorrento”, nelle quali abbiamo avvertito la fluidità del mare, la vitalità napoletana è sprizzata con pienezza nell’ultimo movimento in quel Funiculì funiculà sbalzato, con non celato compiacimento, da Muti. L’omaggio al nostro paese ha riguardato anche il bis con Intermezzo dalla Manon Lescaut di Puccini particolarmente riflessivo e contenuto.
La recensione si riferisce al concerto del 26 gennaio 2024
Lodovico Buscatti