Gustav Mahler/Alfred Schnittke | Proximity or Closeness Quartetto per pianoforte e archi in la minore |
Violino | Vincenzo Bolognese |
Viola | Leonoardo Li Vecchi |
Violoncello | Andrea Noferini |
Pianoforte | Omer Meir Wellber |
Ballerini | Eleonora Abbagnato e Sergio Bernal |
Coreografia | Ermanno Sbezzo |
Direttore | Omer Meir Wellber |
Wolfgang Amadeus Mozart | Requiem in re minore per soli coro e orchestra K626 |
Soprano | Hila Baggio |
Mezzosoprano | José Maria Lo Monaco |
Tenore | Luis Gomes |
Basso | Giorgi Maonshvili |
Maestro del coro | Ciro Visco |
Direttore | Omer Meir Wellber |
Orchestra e Coro del Teatro dell'Opera di Roma |
Omer Meir Wellber torna all’Opera di Roma con un programma pensato e dall’esito riuscitissimo.
Il concerto è aperto dal direttore al pianoforte e tre prime parti dell’Orchestra dell’Opera di Roma che accompagnano la danza di Eleonora Abbagnato e Sergio Bernal nel Quartetto per archi e pianoforte in La minore di Mahler, completato da Alfred Schnittke nel secondo movimento. I due compositori hanno in comune una concezione profondissima e quasi sacrale della musica, e mentre l’uno rende evidente nel primo movimento la sua predilezione per la cantabilità dell’opera, il secondo appare qui finanche più libero da condizionamenti formali. Nel procedere delle battute il brano passa da luminoso a malinconico e, infine, a meditazione sulle cose ultime. La favolosa Abbagnato si presenta in abito nero con top e pantalone largo che lascia scoperti solo spalle, braccia e piedi, traducendo in eleganza abbacinante l’essenzialitá introspettiva del brano. Nel finale i riflettori calano verso il buio, lei è appoggiata sul corpo del compagno in un abbandono visivo in cui si stagliano solo piedi, braccia e viso di espressività totale. Una prova maiuscola, favorita dalla bella intesa tra Wellber, che sfrutta con bel mestiere le sonorità calde di un gran coda Fazioli, il violino carismatico di Vincenzo Bolognese e gli impeccabili viola e violoncello di Leonardo Li Vecchi e Andrea Noferini.
Nella seconda parte un Requiem di Mozart in cui il direttore israeliano ha riconfermato la fase felicissima del suo far musica, come apparso nel concerto wagneriano dello scorso ottobre. La sua concezione del genio salisburghese non appare né tradizionale né filologica: fa tesoro degli esiti migliori di entrambe le correnti, senza schierarsi in modo manicheo. Il suono è bruno e ampio, l’agogica liberissima e profondamente espressiva. D’altra parte il vibrato degli archi è ridotto al minimo, i timpani del bravissimo Gabriele Cappelletto suonano netti, il coro pronuncia in modo tagliente e senza effusioni. I numeri si susseguono caratterizzando il testo in modo netto, in parallelo è evidente una linea lunga di unità nell’espressione, quasi una pittura a forti contrasti tra chiari e scuri. Per chiudere in introflessione, Wellber sceglie di porre il ‘Lacrimosa’ dopo ‘Lux aeterna’: la narrazione impetuosa che ha dominato fino a quel momento si interrompe, e la musica langue in onde desolate che sembrano rimandare a passi del "Qohelet".
L’orchestra asseconda questa lettura quasi virtuosistica con precisione, e bravura insolita nella gamma del piano. Molto bene il coro specialmente nelle sezioni maschili, che si conferma trasfigurato con la guida di Ciro Visco. Bene i solisti: delicata Hila Baggio, intensa e dal timbro interessante José Maria Lo Monaco, brillante Luis Gomes, Giorgi Manoshvili semplicemente ideale.
Al termine successo convinto per tutti gli artisti.
La recensione si riferisce al concerto del 10 febbraio 2024.
Marco Peracchio