Una programma ‘carte blanche’ con András Schiff che si alterna nei ruoli di pianista e intrattenitore, una formula gradevole e utile da ripetere, sia per avvicinare nuovo pubblico sia per fornire spunti di riflessione non banali a chi fosse più navigato nella letteratura pianistica.
Sul palcoscenico sono schierati due strumenti, nella prima parte sceglie uno Steinway per darci il benvenuto che sgorga dal silenzio con l’aria dalle variazioni Goldberg, di purezza e melodia sopraffini nella sua lettura bilanciata fra silenzi e gioco di piano e pianissimo. Poi introduce la serata come sua esigenza di libertà, per non decidere mesi o anni prima cosa avrà piacere di suonare.
La prima parte è dedicata ad analogie e differenze tra il ‘dio’ Bach e il ‘genio’ Mozart: tra le prime riscontra il contrappunto e l’economia di note (a suo dire quest’ultima caratteristica imprescindibile di qualsiasi brano di grande musica), tra le seconde un approccio verticale del tedesco contrapposto a uno di cantabilità ‘operatica’ dell’austriaco. Più che dimostrare questi aspetti come in un Conservatorio, li illustra con calda e umana umiltà come se fossimo capitati quasi per caso nel suo salotto. Ecco quindi che predilige accostare a celebri capolavori come la Fantasia e fuga cromatica di Bach o la Fantasia in do minore di Mozart, brani brevi e giovanili come il Capriccio in si bemolle maggiore di Bach. Ciascun brano preparato dall’ascolto dei temi principali resi alla tastiera e descritti con immagini efficaci anche a un primo ascolto.
Dopo la pausa passa a un Bösendorfer gran coda, a suo avviso più adatto alla cantabilità e ai colori del repertorio viennese classico: Haydn, Mozart e Beethoven. Effettivamente le note su questo strumento sembrano fondersi senza stacco tra le precedenti e le successive, e le melodie sono effuse di un calore dorato alieno all’analiticitá apollinea del precedente. Qui ci presenta un capolavoro ciascuno per autore, a partire dall’ultima sonata di Mozart sublime nell’emozione delle armonie quanto impeccabilmente nobile nella linea lunga. Segue il ‘trattato di filosofia e retorica’ delle Variazioni in fa minore di Haydn, caratterizzate da simpatia umana dell’esecutore verso ‘il compositore più sottovalutato della storia’. Termine e culmine nelle meditazioni trascendentali, ma insieme stringate e con allusioni alla modernità quotidiana, delle ultime composizioni per tastiera di Beethoven, le Sei bagattelle Op. 126. Qui abbiamo tutto, dalla struttura geometrica di Bach alla profondità di pensiero di Haydn alla cantabilità di Mozart alla genialità profetica di Beethoven che anticipa capisaldi come il finale della Nona di Mahler o addirittura certe atmosfere jazz.
Al di là di autore e strumento, il programma ha avuto il filo conduttore dell’approccio alla musica di Schiff nella sua piena maturità. Respiro ampio senza scivolare nella retorica né nell’autocompiacimento, naturalezza sorgiva delle melodie, preziosità quasi giapponese nel dosare le dinamiche (ho contato quattro ‘forte’ in due ore di musica) che non si fa mai leziosa, umiltà di mettere sempre avanti il compositore facendosi strumento vigile ma mai debordante.
Concentrazione assoluta in sala, da parte di un pubblico prima convinto e infine avvinto.
La recensione si riferisce al concerto del 16 gennaio 2023.
Marco Peracchio