Faust / Pater Seraphicus / Doctor Marianus | Christian Gerhaher |
Gretchen / Büßerin / Una Poenitentium | Christiane Karg |
Mephistopheles / Böser Geist | Falk Struckmann |
Marthe / Sorge / Jüngerer Engel / Büßerin / Magna Peccatrix | Johanna Wallroth |
Mangel / Jüngerer Engel / Büßerin / Maria Aegyptiaca / Mater Gloriosa | Rebecka Wallroth |
Ariel / Pater Ecstaticus / Vollendeterer Engel / Jüngerer Engel | Andrew Staples |
Pater Profundus / Vollendeterer Engel / Jüngerer Engel | Alexander Roslavets |
Schuld / Mulier Samaritana | Annelie Sophie Müller |
Büßerin Soprano II | Natalia Paula Quiroga Romero |
Tenore II | Jesús Hernández Tijera |
Noth / Büßerin Soprano IV | Patricia Westley |
Direttore | Daniel Harding |
Maestro del coro | Andrea Secchi |
Maestro del coro di Vochi Bianche | Claudia Morelli |
Orchestra, Coro e Voci Bianche dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia |
Delle Scene dal Faust di Goethe, precedute da una Ouverture che è l’ultimo brano sinfonico di Robert Schumann, la parte più splendente rimane, a giudizio di chi scrive, la Terza, ossia la Trasfigurazione di Faust.
Il romanticismo panico del musicista, nel lavoro composto tra il 1844 e il 1853, evidente nelle prime due parti con le scene di Margherita sedotta e della morte di Faust, nebulose e chiare al contempo, calme e agitate, si carica di un momento estatico crescente che dal dramma delle precedenti sezioni si stacca verso una dimensione onirica o spirituale di intensità tipicamente schumanniana, ossia complessa, granulosa, ma qui assolutamente lieve, fino a trovare una estasi pacificante in cui l’orchestra che certo non dimentica il Beethoven della Nona (terzo movimento) – assume finezze rare di un incantesimo lunare, trasparente, forse prewagneriano che chiude in un pianissimo di una bellezza senza parole, musica pura.
L’esecuzione, davvero coinvolgente, deve molto alla capacità dei complessi ceciliani di saper mutare tono e colore a seconda dei momenti narrativi, insieme ai cori - stupende per luce le Voci Bianche – di una intonazione perfetta, di una “tinta” bellissima che rimanda a Bach ma anche con sensibilità”italiana”, che vuol dire linea dolcissima del canto.
Daniel Harding ha diretto con la misura e la precisione consuete l’orchestra, i cori, i solisti, ed è doveroso ammettere che la sintonia fra lui e i complessi si fa facendo sempre più chiara, perché il gesto esplicito perfetto ottiene subito risultati di timbri e colori che in qualche momento sono addirittura sofisticati (mi riferisco alla conclusione eterea).
La schiera dei numerosi solisti era di voci preparate e spesso belle, in particolare il baritono Christian Gerhaher, uno specialista dei Lieder del musicista, patetico e forte quando serviva, anche se talora con un filo di retorica.
Esecuzione da ricordare e successo grande.
La recensione si riferisce all'esecuzione del 12 aprile 2025.
Mario Dal Bello