Pianista | Angela Hewitt |
Orchestra Leonore | |
Sestetto di Fiati dell'Orchestra Leonore | |
Ludwig van Beethoven | |
Sestetto per fiati in mi bemolle magg. op. 71 | |
Wolfgang Amadeus Mozart | |
Concerto per pianoforte e orchestra n. 23 in la magg. op. 488 | |
Igor Stravinsky | |
Concerto in re per archi | |
Johann Sebastian Bach | |
Concerto per clavicembalo e orchestra n. 1 in re minore BWV 1052 |
La stagione sinfonica della Fondazione Promusica di Pistoia prosegue con un concerto dal programma che ad una prima occhiata può sembrare quasi sconclusionato: in realtà appare volto a mettere in evidenza separatamente alcuni settori dell'Orchestra Leonore ed in particolare i fiati (nel Sestetto per fiati di Beethoven) e gli archi (nel Concerto in re di Stravinsky), mentre le sezioni orchestrali riunite fanno da accompagnamento nei due concerti di Mozart e di Bach. O, se si vuole, potremmo dire più semplicemente che affianca in locandina due pagine notissime come quelle di Mozart e Bach ad altre assai meno note, quelle di Beethoven e Stravinsky.
Suonare senza direttore, non tanto nel Sestetto per fiati dal carattere di intrattenimento quasi mozartiano (poco più che una curiosità, Beethoven afferma di averlo composto in una sola notte) ma soprattutto in Stravinsky, può essere pericoloso; l'esperienza e la bravura dei musicisti dell'orchestra a cominciare dal primo violino Meesun Hong Coleman hanno reso il Concerto in re piuttosto pulito e sufficientemente attendibile.
Ma la curiosità della serata era certamente data dalla presenza di Angela Hewitt impegnata in due pagine della grande letteratura per strumento e orchestra.
Mozart scrisse il notissimo Concerto K 488 all'inizio del 1786 e lo tenne a battesimo in qualità di solista a Vienna nell'aprile dello stesso anno. Si tratta di una composizione ove la vena inventiva poetica ed intimista si associa ad una brillantezza virtuosistica straordinariamente misurata, raggiungendo nel complesso un grande e prezioso equilibrio.
La Hewitt, forse anche per il surplus di lavoro dovendo anche dirigere l'orchestra stando seduta al pianoforte posto di tre quarti, è apparsa un po' sottotono sia come idee interpretative sia come rilievo fonico (a questo accennerò nel finale della recensione). Si è meglio comportata nel'Adagio, più efficace nel dialogo con il flauto o con il colore notturno e vellutato del clarinetto.
Non è che nel Concerto n. 1 di Bach le cose siano cambiate molto (neppure vogliamo sfiorare i problemi filologici sull'uso di strumenti moderni), l'atteggiamento un po' troppo rinunciatario della pianista ed il suo quasi farsi strumento “concertante” anziché solista ha nuociuto all'insieme della pagina, e forse è parsa anche accentuarsi la preoccupazione della Hewitt di dover dirigere oltre che suonare.
Piccola notazione finale: tutti gli strumentisti - escluso ovviamente gli archi gravi - suonavano in piedi, cosa che personalmente trovo abbastanza censurabile, con il conseguente agitar di chiome e di vestiti (e muovere di gambe) delle orchestrali e inevitabile fonte di disturbo per gli ascoltatori.
La cosa mi sembra che dia anche un senso generale di trascuratezza; sarà anche (come dicono alcuni) un “ritorno all'antico”, ma la stazione eretta è parsa anche in parte modificare gli equilibri dell'orchestra. Inoltre il suono del pianoforte cui la solista aveva fatto togliere il coperchio (che ovviamente raccoglie il suono e lo riverbera verso la sala) dalla mia postazione di platea era, nonostante la camera acustica del Teatro Manzoni, abbastanza poco udibile.
Pubblico non troppo folto ma caloroso in applausi; per la cronaca si segnala qualche cellulare lasciato acceso e qualche applauso intempestivo.
La recensione si riferisce al concerto del 15 febbraio 2020.
Fabio Bardelli