Norma | Martina Gresia |
Adalgisa | Veta Pilipenko |
Pollione | Antonio Corianò |
Oroveso | Alessandro Spina |
Clotilde | Benedetta Mazzetto |
Flavio | Raffaele Feo |
Direttore | Alessandro Bonato |
Regia | Elena Barbalich |
Scene e costumi | Tommaso Lagattolla |
Luci | Marco Giusti |
Maestro del Coro | Massimo Fiocchi Malaspina |
Orchestra I Pomeriggi Musicali | |
Coro OperaLombardia | |
Nuovo allestimento del Teatro di Pisa e Circuito OperaLombardia |
Dopo qualche vicissitudine legata alle interpreti del ruolo del titolo e con la giovanissima Martina Gresia diventata il soprano titolare nel primo cast, è approdato anche al Teatro di Pisa, che lo ha coprodotto, l'allestimento di Norma che ha debuttato nel circuito lombardo lo scorso settembre.
La locandina della recita del sabato sera, prima delle due previste è quasi identico - eccezion fatta per l'interprete di Adalgisa - a quello bresciano qui recensito da Simone Manfredini, alle cui note si rimanda, in particolare per l'analisi della direzione e della parte scenica. Quest'ultima porta la firma della regista Elena Barbalich, che opta per una Norma simbolista, di ambientazione atemporale, nella quale la maternità della protagonista è enfatizzata dalla presenza in scena insistita dei due figli, per lungo tempo adagiati in un giaciglio dalla forma non realistica, che richiama in modo inquietante quella di un braciere, la cui immagine è restituita al pubblico da uno specchio. I bimbi appaiono anche nella scena conclusiva, prima dell'immolazione di Norma sul rogo, portati in spalla, forse morti o forse tenuti ancora addormentati per non assistere alla tragica fine della madre, con un finale aperto che pare (nella più tragica ipotesi) accostare la protagonista a Medea.
Le scene sono geometriche, astratte, giocate su toni dark, accentuati da costumi dalle fogge bizzarre e un po' stranianti (tutto a firma di Tommaso Lagattolla) e dal disegno luci di Marco Giusti, che risolve il fuoco del finale con un rosso acceso che riempie la scena fino a quel punto quasi costantemente nera.
Norma è opera particolarmente ostica da risolvere per un regista, teatralmente statica, quasi oratoriale, ormai improponibile in una versione oleografica quanto a rischio di cliché nei tentativi di attualizzazione. E da qualche cliché da teatro di regia, oltre che in una certa genericità nel lavoro su masse e singoli non è immune la realizzazione della Barbalich, che ha però il pregio di proporre un impianto scenico abbastanza caratterizzato. Non meno personale la direzione del giovane Alessandro Bonato che propone sin dalla Ouverture sonorità a dir poco roboanti (accentuate dalla generosa acustica del Teatro Verdi) e un passo spedito che mantiene sostanzialmente per tutta l'esecuzione, salvo poi placarsi nelle ampie oasi liriche quali “Casta diva”, accompagnata con ieratica compostezza, e i duetti tra Norma e Adalgisa. Tale contrasto, a suo modo affascinante, lascia un filo sbigottiti e a tratti perplessi, ma non si può negare a Bonato piglio, senso del teatro, cura dei rapporti tra buca e palcoscenico (che non viene mai soverchiato dal pur generoso volume orchestrale) e capacità di gestire l'impegnativa partitura, lodevolmente eseguita nella sua integralità.
L'Orchestra I Pomeriggi Musicali è più che discreta, al netto di piccole imperfezioni, e buono è il Coro OperaLombardia, prodigo di volume e di suoni compatti.
Il soprano Martina Gresia, appena venticinquenne, costituisce uno degli elementi di maggior interesse dell'esecuzione. La voce dal colore ambrato screziato da un leggero vibrato stretto è sonora e timbrata, estesa (specialmente nella seconda ottava) e sufficientemente duttile da consentire buone variazioni dinamiche e un'adeguata gestione dei passi di agilità. Considerando la giovanissima età appaiono notevoli sia la gestione degli accenti, sia la tenuta (in un ruolo-monstre come questo, eseguito nella sua integralità) che le consente di arrivare ancora fresca alle ultime battute dell'opera. Il personaggio, come è ovvio, potrà essere ulteriormente rifinito col tempo, auspicando una gestione oculata dei suoi mezzi naturali già piuttosto importanti a un'età per la quale un debutto in una parte come Norma (che peraltro, a differenza di molte altre, non richiede necessariamente una figura tanto giovane) poteva apparire temeraria.
In evidenza anche l'Adalgisa di Veta Pilipenko, dal gradevole timbro mezzosopranile non troppo differenziato da quello della Gresia nei duetti (correttamente eseguiti), interprete un filo algida, ma anche raffinata.
Antonio Corianò è un Pollione dalla voce robusta e di colore scuro, capace di evocare l'ormai rara figura del baritenore anche nella facilità con cui canta nella prima ottava, discretamente sfogato in acuto (ma avrebbe potuto esimersi dal do su “Eran rapiti i sensi”, appena accennato), che paga un'emissione un poco fibrosa e un'interpretazione per lo più limitata a toni stentorei.
Più che dignitoso e autorevole l’Oroveso di Alessandro Spina, maggiormente incisivo nella scena finale rispetto a un inizio dove si avverte qualche lieve affanno e ben distribuite le parti di fianco sia per quanto riguarda il Flavio di Raffaele Feo, sia per la Clotilde di Benedetta Mazzetto.
Teatro di Pisa pressoché esaurito come non si vedeva da tempo, con pubblico assai rumoroso, anche durante l'esecuzione e non solo quando premia con caldi applausi interpreti e direttore, tributando un bel successo personale alla Gresia.
La recensione si riferisce alla recita del 29 ottobre 2022.
Fabrizio Moschini