Kaiser Overall | Markus Werba |
Der Lautsprecher | Karl Huml |
Ein Soldat | Antonio Gares |
Harlekin/Tenore Requiem | Cameron Becker |
Bubikopf/Soprano Requiem | Lavinia Bini |
Der Tod/ Basso Requiem | Grigory Shkarupa |
Der Trommler/Mezzosoprano Requiem | Julia Rutigliano |
Direttore | Omer Meir Wellber |
Regia | Marco Gandini |
Scene | Gabriele Moreschi |
Assistente scene e video | Ludovico Gandellini |
Costumi | Johann Stegmeir |
Light designer | Francesco Vignati |
Video maker | Virginio Levrio |
Effetti speciali | Filippo Scortichini |
Coreografie | Marco Berriel, Jean-Sébastien Colau |
Assistente alla regia | Jesùs Noguera |
Maestro al pianoforte e al cembalo | Tohar Gill |
Maestro del Coro | Salvatore Punturo |
Direttore del Corpo di ballo | Jean-Sébastien Colau |
Orchestra, Coro e Corpo di ballo del Teatro Massimo di Palermo |
Contemporanea mise en abime, Kaiserrequiem, è il titolo fortemente voluto da Omer Meir Wellber per inaugurare la stagione 2022/2023 del Teatro Massimo. Nel corso del suo mandato palermitano il direttore musicale della fondazione lirica ha sempre indicato un cammino di sperimentazione e commistione. Ricordiamo Les Vepres Siciliens i cui ballabili furono distillati nel corso dell’intera messa in scena, o ancora il dittico Der Ewige Fremde – Messa in Do Maggiore nel quale il monodramma di Ella Milch – Sheriff trascolorava nella pagina beethoveniana.
Nel caso di questa apertura di stagione, riportata a cavallo fra due annualità invece che sviluppata lungo l’anno solare come si era soliti fare, Wellber ha scelto di accostare due opere che apparentemente non potrebbero essere più distanti l’una dall’altra. Der Kaiser von Atlantis di Viktor Ullmann e il Requiem di Mozart sembrano avere come unico elemento comune, o forse sarebbe meglio parlare di minimo comune denominatore, l’essere ultima creazione dei rispettivi autori.
Se nulla potremmo aggiungere alla infinita letteratura esistente sull’opera incompiuta del genio salisburghese, è utile tuttavia contestualizzare la figura del compositore ceco nato allo scadere del XIX secolo. Lo si potrebbe definire appartenente a quella che Gertrude Steiner aveva catalogato come “Generazione perduta”, applicando per astrazione tale epiteto a quella schiera di musicisti duramente colpiti dall’affermazione dirompente dell’ideologia nazionalista in Europa. Musicisti quali Gideon Klein, Erwin Schulhoff, Pavel Haas proprio come Ullmann morirono nei campi di concentramento, la loro voce ridotta al silenzio dalla furia nazista. Altri quali Alexander Zemlisky, del quale Ullmann era stato assistente a Praga, o Erich Wolfgang Korngold furono più fortunati riuscendo a fuggire negli Stati Uniti.
Non c’è dubbio però che Der Kaiser von Atlantis sia la composizione di maggiore valore artistico concepita in prigionia, all’ombra della fittizia realtà illusoria del campo di Theresienstadt nel quale il compositore era internato e all’interno del quale si scommetteva sul tempo facendo musica. Purtroppo l’opera non fu rappresentata in quanto ritenuta sovversiva per la feroce analogia tra il personaggio eponimo e Hitler, tant’è che l’autore, poco dopo averla completata, fu trasferito ad Auschwitz dove trovò la morte.
In breve la vicenda ruota intorno alla figura della Morte, qui personaggio quasi salvifico, che, rifutandosi di svolgere il suo compito, appare all’imperatore Overall, vero e fanatico signore della guerra, intimandogli di sacrificarsi per il suo popolo affinchè cessi il conflitto bellico, l’umanità possa riprendere il suo ciclo vitale e la Morte ricominci ad assolvere ai suoi doveri. La suggestione faustiana fa capolino, il Kaiser sigla il patto e così facendo l’ordine prestabilito sconfigge il caos generato dal tiranno.
Un’ora scarsa di partitura è sufficiente ad Ullmann per trattare a fondo tre temi di bruciante attualità allora come oggi: la natura del potere, la guerra e il male che tutto sembrano travolgere ma che pure lasciano il passo ad episodi di raffinato lirismo e di struggente languore. Sono sette infatti i personaggi, ognuno che identifica un volto dell’umanità, che si alternano nella successione di recitativi, arie, duetti e persino numeri di danza le cui suggestioni eclettiche ricreano atmosfere del teatro di Weill e sperimentazioni che risentono della lezione di Berg ma anche di Korngold. L’organico orchestrale, trattandosi di una composizione destinata ad essere rappresentata a Theresienstadt, è ovviamente ridotto e comprende strumenti della tradizione popolare quali il banjo o il sassofono, ma ciò non impedisce alla vena creativa di Omer Meir Wellber, vero deus ex machina dello spettacolo, di alternare il clima da cabaret alla Mahagonny alla ricerca della trascendenza che permea il Requiem di Mozart.
Certo la parcellizzazione dell’ultimo capolavoro mozartiano ha un effetto iniziale straniante nel momento in cui la compagine corale del Massimo, qui protagonista di una prova di grande compattezza grazie anche alle cure di Salvatore Punturo, si presenta in palcoscenico per il Requiem Aeternam dopo il prologo. Pur tuttavia lo spettacolo procede in perfetto accordo tra podio e regia, si nota ben chiaramente nel susseguirsi dei quattro quadri che compongono l’opera di Ullmann inframmezzati da Kyrie, Dies Irae, con il Tuba mirum che dispiega l’invenzione creativa più interessante caratterizzata dal pas des deux coreografato dal nuovo direttore del ballo Jean - Sébastien Colau, fino al Lacrimosa che scaccia il caos iniziale. Marco Gandini è dunque responsabile non solo della regia ma della confezione finale del prodotto che, alle scabre scene di Gabriele Moreschi, oppone un robusto uso di video proiezioni fatte di immagini di volti, mani che si intrecciano e dettagli del corpo umano a cura di Virginio Levrio e fasci di luce ed effetti speciali rispettivamente di Francesco Vignati e Filippo Scortichini.
Pur nel breve lasso di tempo di novanta minuti Kaiserrequiem assolve al compito di mettere in luce i gioielli di famiglia del teatro quali orchestra, coro e ballo, quest’ultimo sempre più coinvolto nella programmazione 2022/23, ma è soprattutto spettacolo celebrativo di Wellber. Non a caso il direttore sarà accolto da vere e proprie ovazioni alle chiamate finali a testimonianza della sua abilità nel leggere gusti e propensioni del pubblico di casa. Aggiungiamo inoltre la mano ferma nel padroneggiare le forze a disposizione e nel domare le intemperanze che talora altri direttori hanno stentato a disciplinare nella compagine orchestrale e la fascinazione che lo lega ai palermitani è presto spiegata.
Dal canto suo si apprezza l’equilibrio e la naturale affinità con il repertorio che affonda le radici nella ferita ancora aperta dell’olocausto e in una sorta di novella scuola nazionale aperta alla musica popolare di natura ebraica. Logico è dunque che con Kaiserrequiem Wellber non possa che ottenere successo pieno non solo per l’attenzione al Songspiel di Ullmann ma anche per la scabra lettura del Requiem. Emblematico è infatti il Lacrimosa risolto con cruda precisione, nel quale l’afflato finale non ha nulla di compassionevole né di tensione verso il divino.
In perfetto accordo con il podio agisce Markus Werba, Kaiser paludato in un lungo pastrano carico di decorazioni militari e importanti spalline dorate, pronto a spogliarsene nel momento dell’accettazione della morte, il cui peso vocale e la capacità di incarnare un personaggio tanto sgradevole quanto disposto ad abbandonare la follia distruttiva dopo il dialogo con la Morte e nella toccante aria finale inframmezzata dal Recordare sono ideali. Come d’abitudine il baritono austriaco dimostra infatti come si possa fondere senza sforzo tecnica vocale ed interpretazione seguendo l’innato istinto teatrale.
A questo proposito ottima è stata l’interazione proprio con la Morte incarnata da Grigory Shkarupa, basso dall’emissione morbida efficace anche nel Requiem, mentre la corda tenorile affidata a Cameron Becker si è ben esplicitata nella dolente e nostalgica parte di Harlekin. Vera e propria incarnazione della vita oltre che evocazione del Pierrot Lunaire nel canto alla luna del primo quadro, esso si dimostra figura chiave nella triade di personaggi depositari delle antiche emozioni terrene completata dalla coppia di innamorati Bubikopf e il Soldato ai quali prestano con grande partecipazione volto e voce Lavinia Bini e Antonio Gares.
Meno incisiva Julia Rutigliano, Trommler dalla vocalità aspra e vetrosa che ben rende la doppiezza del personaggio ma risulta poco sonora quando il peso orchestrale si fa più importante, mentre assertivo e di timbro scuro si dimostra der Lautsprecher di Karl Huml a completare la compagine solistica.
Dopo l’innovativo progetto iniziale la stagione del Massimo prosegue adesso con un calendario fatto di concerti e spettacoli di balletto. Curiosamente ci si rivedrà solo a Gennaio per la prossima produzione operistica, una rassicurante Traviata il cui allestimento è nei magazzini del Teatro.
La recensione si riferisce alla prima dell'8 Novembre 2022.
Caterina De Simone