Leonora | Elena Stikhina |
Preziosilla | Maria Barakova |
Don Alvaro | Brian Jagde |
Don Carlo | Igor Golovatenko |
Melitone | Patrick Carfizzi |
Marchese di Calatrava/Padre Guardiano | Soloman Howard |
Mastro Trabuco | Carlo Bosi |
Curra | Stephanie Luricella |
L'Alcade | Christopher Job |
Tre venditori | Patrick Miller, Jeremy Little, Ned Hanlon |
Un chirurgo | Paul Corona |
Direttore | Yannick Nézet-Séguin |
Regia | Mariusz Treliński |
Scene | Boris Kudlička |
Costumi | Moritz Junge |
Luci | Marc Heinz |
Video | Bartek Macias |
Coreografia | Maćko Prusak |
Maestro del coro | Donald Palumbo |
Orchestra e Coro del Teatro Metropolitan | |
Coproduzione del Metropolitan Opera e del Teatr Wielki-Polish National Opera |
Il Metropolitan ha presentato una fortunata produzione di Forza del destino di Giuseppe Verdi, con la nuova regia di Mariusz Treliński, in co-produzione con il Teatr Wielki dell’Opera nazionale polacca. In questa ripresa hanno brillato soprattutto il regista e il direttore Yannick Nézet-Séguin.
Treliński riporta la Forza nella contemporaneità, in un est Europa generico in cui soffiano potenti venti di guerra. L’opera stessa diventa un dramma di guerra, dove il destino è guidato dalle logiche dei soldi e del potere più che da un fato ineluttabile. Le inserzioni comiche tanto volute da Verdi sono lasciate solo alla sobria recitazione degli interpreti. Non serve sottolineare le affinità di questa produzione con la guerra russa-ucraina, l’atteggiamento autoritario del governo polacco e i traumi delle popolazioni dell’Est Europa.
La morte del generale Calatrava crea un’instabilità politica che genera la guerra, gli oligarchi festeggiano il conflitto con le soubrette-conigliette nei club e i soldati vendono i gioielli rubati nei saccheggi a meschini approfittatori. L’ultimo atto, invece che in un convento, si svolge nella metropolitana di New York (non a caso a “Trinity Avenue”) dove alcuni preti distribuiscono cibo alla popolazione ridotta alla fame a causa della guerra. Il pubblico era guidato attraverso la narrazione con video e titoli che spiegavano le nuove situazioni tra i cambi scena e che aiutavano a seguire una trama già ingarbugliata originariamente.
Le scene, disegnate da Boris Kudlička, facevano grande uso del palcosenico rotante e davano movimento e vivacità alle parti concitate dell’opera. D’altro canto, il regista Mariusz Treliński ha gestito le masse con abilità, soprattutto nella potentissima scena del giuramento dei monaci e l’aria del soprano che segue. Ottimi i costumi di Moritz Junge, che ha brillato soprattutto nella fattura dell’elegante abito da sera di Leonora del primo atto. Ogni tanto sulla scena scendeva uno schermo con dei video curati da Bartek Macias, alcuni dei quali potevano anche essere evocativi (come gli elicotteri per la guerra) ma altri erano superflui (come l’incidente di macchina di Leonora) o addirittura cringe (come la Madonna rappresentata come un fantasma durante “La Vergine degli angeli”). Nonostante la complessiva buona operazione, rimanevano alcuni elementi poco riusciti, come il citato incidente di macchina di Leonora prima di arrivare al convento – che era avulso dalla narrazione – e l’ambientazione dell’ultimo atto a New York dato che non si capisce bene quando tutti si sono trasferiti oltreoceano.
Il direttore Yannick Nézet-Séguin ha ridato alla Forza tutta la dignità di un’opera matura di Verdi, scoprendo colori inaspettati e mantenendo la tensione drammatica: questo direttore si conferma ogni volta come uno dei nomi più interessanti nel panorama direttoriale internazionale. L’orchestra stessa aveva uno smalto fuori dal comune e hanno brillato le parti soliste del primo violino e del clarinetto. Bravo anche il coro, diretto ancora una volta da Donald Palumbo, che era come al solito estremamente preciso (vedi il "Rataplan") e duttile nell’interpretare le diverse situazioni richieste dalla partitura (avventori di club, soldati, preti, poveracci e chi più ne ha più ne metta).
Leonora era interpretata dalla russa Elena Stikhina, con una bella grana di voce e un ottimo registro acuto. Il soprano ha brillato nella “Vergine degli angeli” e negli altri momenti lirici dell’opera, mentre mi è sembrata meno entusiasmante nelle parti più drammatiche, come nel primo atto. Alvaro era il newyorkese Brian Jagde, che aveva una voce molto proiettata, dotata di un bello squillo e con una linea di canto caratterizzata da un bel fraseggio, che sono le due qualità necessarie per questa parte. Fortunatissima e applauditissima è stata la sua interpretazione di “Oh, tu che in seno agli angeli” e soprattutto del recitativo che la precede. Pur non avendo le caratteristiche prettamente drammatiche necessarie a questo ruolo, il tenore ha dimostrato comunque un'ottima tenuta vocale, sfoderando acuti sfolgoranti per tutta la lunga durata dell'opera. A completare il trio dei personaggi principali il don Carlo del baritono russo Igor Golovatenko, che si è mostrato di buon livello anche se sembrava spingesse negli acuti.
Nella duplice veste del Padre Guardiano e del Marchese di Calatrava c’era il washingtoniano Solomon Howard, che avevo già sentito a dicembre nella parte, molto diversa, del “Leone” nel The lion, the unicorn, and me al WNO di Washington DC. In questa occasione si è confermato un basso molto sonoro dalla bella caratura vocale nei centri e nei bassi, ma la grande sala del Met lo ha forse portato a forzare nella zona più acuta dello spartito. La doppia parte Padre Guardiano-Calatrava ha portato anche qualche momento abbastanza bizzarro: il fantasma del padre spuntava di tanto in tanto in scena, il padre guardiano diventava cieco nell’ultimo atto e il terzetto finale vedeva Calatrava in sostituzione del prete.
Preziosilla era il mezzo-soprano russo Maria Barakova, che aveva un buon temperamento e che ha fornito una interpretazione molto cupa e disincantata alla parte. Molto bene il basso-baritono Patrick Carfizzi come Melitone, che si è confermato un ottimo buffo anche se in questa occasione ha preferito moderare lazzi e frizzi disponibili nel libretto. Carlo Bosi come Trabuco ha interpretato perfettamente l’atteggiamento piagnoculoso e pedante dell’approfittatore delle disgrazie altrui.
Tutti di buon livello anche gli altri membri del cast, tra cui Stephanie Lauricella come Curra, Christopher Job come Alcade, e i tre venditori Patrick Miller, Jeremy Little e Ned Hanlon. Tra tutti però ha spiccato Paul Corona che nella parte del chirurgo, ha mostrato una voce che poteva competere con quella di Don Carlo, cosa assolutamente non scontata per un ruolo minore.
Il teatro era pienissimo e fortunatamente la lunga serata è trascorsa senza incidenti di percorso. Dalla mia postazione non ho letto la traduzione in inglese dei sopratitoli e mi chiedo perché il pubblico ridesse nei momenti più inaspettati: cosa c’è da ridere quando Melitone dice a Leonora che probabilmente non può entrare perché è scomunicata? O quando Don Carlo scopre che Alvaro è sopravvissuto all’operazione?
Lunghi e abbondanti applausi per tutti alla fine, con la solita standing ovation del pubblico americano.
La recensione si riferisce alla recita del 29 marzo 2024.
Francesco Zanibellato