Gustavo III | Charles Castronovo |
Renato Anckastrom | Quinn Kelsey |
Amelia | Angela Meade |
Ulrica | Olesya Petrova |
Oscar | Marielle Murphy |
Cristiano | Jeongcheol Cha |
Conte Horn | Christopher Job |
Conte Ribbing | Kevin Short |
Un Giudice | Thomas Capobianco |
Un servo di Amelia | Tony Stevenson |
Direttore | Carlo Rizzi |
Regia | David Alden |
Scene | Paul Steinberg |
Costumi | Brigitte Reiffenstuel |
Luci | Adam Silverman |
Coreografie | Maxine Brahan |
Maestro del coro | Donald Palumbo |
Orchestra e coro del Metropolitan Opera House
Tra le produzioni di maggior interesse di questo autunno del Metropolitan Opera vi è la ripresa di Un ballo in maschera che il regista David Alden creò a New York nel 2012. A distanza di undici anni cambia radicalmente, come prevedibile, il cast, ma non l'impostazione per così dire “generale” dello stesso, con una locandina che di italiano presenta solo il direttore d'orchestra, allora Marco Armiliato e in questa occasione Carlo Rizzi. Giusto una curiosità e un dato statistico, giacché anche nelle edizioni storiche degli anni '50 al vecchio Met affidate a Mitropoulos, ad esempio, questo titolo verdiano veniva allestito senza voci italiane.
Nessuna conseguenza sull'idiomaticità dell'esecuzione, a differenza con quanto ascoltato nella Bohème di pochi giorni dopo, grazie alla preparazione dei componenti di un cast di alto livello, con molti nomi noti anche oltreoceano, che dimostrano dimestichezza con il fraseggio verdiano e con la pronuncia italiana.
Lo spettacolo di Alden rientra in quel filone piuttosto diffuso negli ultimi lustri che potrebbe definirsi in termini semplificativi di “modernizzazione soft” o anche “non disturbante”. Nel dubbio tra l'ambientazione svedese della trama originale prevista da Somma e quella americana nella stesura del libretto dopo le imposizioni della censura (che non tollerava che si vedesse in scena un regicidio) il regista sceglie una scena asettica che non richiama né la Svezia, né le colonie americane dell'Impero britannico, né alcun altro paese, ancorché la versione eseguita sia quella che ripristina i nomi svedesi dei protagonisti. Dominano i toni di grigio in ambienti racchiusi in varie scatole sceniche, anche quando la vicenda si immagina all'aperto (l'orrido campo), sottolineando il senso di oppressione degli stessi sentimenti provato dai personaggi.
Le scene di Paul Steinberg, atemporali al pari dei costumi di Brigitte Reiffenstuel, definiscono una produzione che pare esaurire la sua carica nell'impatto visuale, con approfondimenti dei rapporti tra i personaggi lasciati per lo più alle capacità attoriali dei protagonisti. Uno spettacolo sobrio, bello da vedere nella sua algida linearità, insomma, con una scena del ballo indubbiamente elegante, di gusto moderno e con le masse gestite con perizia, che non strizza l'occhio al gusto americano amante dello sfarzo spettacolare, però anche spettacolo un filo freddo.
Carlo Rizzi guida l'eccellente Orchestra del Metropolitan Opera con ordine e mestiere, tempi coerenti, attenzione ai dettagli e soprattutto con un'ammirevole, direi anzi esemplare cura degli equilibri sonori tra buca e palcoscenico. La narrazione è fluida e le atmosfere delle diverse scene sono centrate. La sua non è forse una lettura direttoriale particolarmente personale, ma sicuramente di grande professionalità e in grado di far percepire la lunga esperienza nell'affrontare il grande repertorio e quello verdiano in particolare.
Cast con voci solide e qualche punta di eccellenza tra le interpreti femminili. Angela Meade, prima di tutto, si conferma tra le vere grandi voci di oggi, possedendo un formidabile strumento, potente e sicuro tanto nelle discese nel registro grave quanto nelle veementi salite a quello acuto, alquanto sollecitato dalla parte di Amelia. Giusto un po' meno rotonda al centro, forse, ma son quisquilie a fronte a una prestazione vocale così vigorosa, arricchita da fiati lunghissimi e capacità di smorzare i suoni (a parte un veniale attimo di incertezza su un pianissimo) che le deriva dalla lunga frequentazione del belcanto. Un'interpretazione solida ma fondamentalmente nel solco della tradizione e la presenza in scena un po' impacciata la pongono in un certo contrasto con il tenore Charles Castronovo, Gustavo III dalla figura molto giovanile e baldanzosa, che risolve la parte più con lo stile, la bravura nella recitazione e con il fraseggio molto rifinito che con le pur buone doti vocali. Tenore lirico dal timbro non sgradevole, ma un poco secco e con un registro acuto in cui, quanto meno in questa parte, si avverte un minimo di tensione, nel complesso riesce a tratteggiare un personaggio molto coinvolgente e cantato con gusto.
Renato è Quinn Kelsey, baritono hawaiano dalla voce robusta e penetrante, di colore non proprio smaltato. Il ruolo gli si addice dal punto di vista interpretativo, grazie alla ricchezza di accenti, un po' messi in cornice ma comunque efficaci, e la cesellatura della cadenza nell'aria di entrata gli fa conquistare la prima ovazione della serata.
Notevole Olesya Petrova, evidentemente a suo agio nella tessitura contraltile di Ulrica, che analogamente alla Meade è tanto sonora e sicura in basso come in alto, senza mai forzare l'emissione. Da tanta dovizia vocale scaturisce un personaggio di forte impatto senza dover ricorrere alle sguaiataggini della vecchia tradizione.
Molto precisa e musicale la giovane Marielle Murphy, al suo positivo debutto al Met come Oscar, ancorché inevitabilmente ancora da maturare quanto a personalità.
Coro molto buono e complessivamente più che discrete le parti di fianco, con Jeongcheol Cha che è un Cristiano dalla pronuncia un po' esotica ma dalle apprezzabili intenzioni, Christopher Job solido come Conte Horn, Kevin Short valido Conte Ribbing, e Thomas Capobianco (Un Giudice) e Tony Stevenson (Un servo di Amelia) che completano molto dignitosamente la locandina.
Matinée cui ho assistito accolta in stile molto tipico del Met, con applausi festosi per tutta la compagnia e standing ovation finale.
La recensione si riferisce alla matinée dell'11 novembre 2023.
Fabrizio Moschini