Tristan | Stuart Skelton |
Re Marke di Cornovaglia | René Pape |
Isolde | Catherine Foster |
Kurwenal | Brian Mulligan |
Brangäne | Okka von der Damerau |
Melot/Timoniere | Gabriele Ribis |
Un pastore e voce del marinaio | Klodjan Kaçani |
Direttore | Constantin Trinks |
Regia | Lluìs Pasqual |
Scene | Ezio Frigerio |
Costumi | Franca Squarciapino |
Luci | Cesare Accetta |
Maestro del Coro | José Luis Basso |
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo | |
Produzione del Teatro di San Carlo |
È la seconda volta che il San Carlo recupera l’allestimento creato nel 2004 per Tristano e Isotta da Lluís Pasqual, visto anche nel 2015. Questo potrebbe fare pensare ad una certa familiarità del pubblico di casa con questa grande opera, ed è stato confortante trovare il teatro gremito di mercoledì in orario pomeridiano. Meno confortante vedere quanti posti si sono svuotati nei due intervalli, cosa che non ricordavamo nelle edizioni precedenti, sarà colpa dei napoletani poco disponibili a farsi rapire dalla poetica wagneriana? In effetti quello a cui abbiamo assistito è stato un Tristano ben eseguito e curato anche nella parte visiva (sebbene l’allestimento cominci a rivelare qualche cedimento). Ma è mancato il senso profondo del capolavoro, quello che lo ha segnato come punto di svolta nella storia del dramma in musica, che fece affermare allo stesso Wagner che solo un’esecuzione mediocre avrebbe potuto evitare che il pubblico impazzisse assistendovi.
Qui l’esecuzione non è stata mediocre, sicuramente. La direzione di Costantin Trinks è stata attenta, pur essendo partita col piede sbagliato con un Vorspiel fiacco e privo di nucleo vitale. Poi anche grazie ad un’Orchestra del San Carlo dal suono nitido e pronta a sfoggiare belle dinamiche (con complimenti non scontati ma dovuti al bellissimo corno inglese di Andrea Marotta nel Preludio al terzo atto), si è ripresa con una lettura dal carattere anche teatrale, il che non è mai male trattandosi - appunto - di teatro in musica. Però l’esecuzione è stata più incline all’abbandono lirico che non a esprimere l’essenza di questa partitura, l’ansia febbrile espressa dal cromatismo, dal significato degli accordi sottesi alla melodia, la spirale di tensione che si scioglie con l’ultima nota. Mancando questo è venuta meno l’espressione della genialità di Wagner, e analoghe riflessioni possiamo farle per il canto.
Catherine Foster ha cantato al posto dell’attesissima Nina Stemme, indisposta fino dall’inizio di questo ciclo di repliche. La Foster ha una grande voce, imponente per volume ed estensione, impressionante nel furore orgoglioso del primo atto, dove trova sottigliezze penetranti nel dialogo con Brangania man mano che nella sua mente prende corpo il piano della vendetta attraverso il filtro della morte. L’interprete c’è ma i toni restano gli stessi anche nel fondamentale secondo atto, quando alla passione dovrebbe lentamente sostituirsi l’abbandono ad un desiderio di morte ancora incosciente ma febbrile. Quello fra Tristano e Isotta non può essere un normale duetto d’amore come fra Otello e Desdemona ad esempio, e invece qui proprio la sua eccezionalità era assente. Più in stile l’intervento della Foster nel terzo atto, con un Liebestod nitido e quasi immateriale, di un’Isotta che è già in altre dimensioni, un’ottima chiusura per una performance da applaudire ma non di riferimento.
Stuart Skelton non regge vocalmente il confronto con la partner. Il timbro ha le sue morbidezze e tinte calde, ma la voce non ha la potenza e il volume per esprimere appieno Tristano. Anche per lui il terzo atto è stato il momento migliore, dove lo si è visto più coinvolto scenicamente nell’agitazione quasi incontrollata che non nei primi due atti dove era più rigido.
Un po’ sottotono Okka von der Damerau. Il mezzosoprano c’è con tutte le carte in regola per essere una Brangania ideale, con voce potente e ricca di armonici, ma a tratti velata, soprattutto negli acuti non sempre rilucenti. Resta comunque forte il suo contraltare a Isotta nell’animato primo atto e il fascino misterioso degli interventi fuori scena del secondo.
Un Re Marke di lusso René Pape, al suo debutto al San Carlo così come tutti gli altri interpreti principali. L’autorevolezza vocale del basso è ben nota, la sua lettura del personaggio è stata allo stesso tempo regale e autorevole ma umana negli accenti sbalzati, al riparo dal pericolo della monotonia in agguato nel suo lungo monologo.
Ottimo il Kurwenal di Brian Mulligan, forte nel carattere espresso con voce salda e sonora.
A completare il cast Gabriele Ribis (Melot e il Timoniere) e Klodjan Kaçani che ha dato voce al marinaio fuori scena e al Pastore.
Molto bene, nei piccoli interventi che gli sono riservati durante il tempestoso primo atto, l’apporto del Coro maschile del San Carlo diretto da José Luis Basso.
Dello spettacolo di Lluís Pasqual (v. qui per la descrizione) abbiamo già accennato. Alla immutata bellezza delle scene di Ezio Frigerio (perplessità solo sul terzo atto, in ambiente ospedaliero con improbabili medico e infermieri) e dei costumi di Franca Squarciapino, fa riscontro qualche smagliatura nella resa del fondamentale gioco di luci creato da Cesare Accetta. Qualche imprecisione c’è anche nella realizzazione scenica, come il movimento degli alberi nel secondo atto realizzato con un po’ di disordine (detto brutalmente si muovevano in modo troppo veloce con un effetto da cartone animato). Ma soprattutto è mancato l’approfondimento registico sulla recitazione, restata su una gestualità e posizioni molto generiche. Diciamo che è difficile credere all’ebbrezza dei due amanti e al loro elevarsi al di sopra di loro stessi, o comunque la si voglia intendere, quando si esibiscono ognuno su un lato del proscenio o al centro tenendosi per mano e cantando rivolgendosi alla platea.
Con questo Tristano si è conclusa la stagione 2021-2022 del San Carlo, prossimo appuntamento wagneriano nel nuovo cartellone, la Valchiria nell’edizione di Federico Tiezzi anch’essa già apprezzata più volte. Speriamo che il teatro si ricordi presto degli altri capolavori targati Bayreuth, alcuni dei quali mancano veramente da tempo immemore.
La recensione si riferisce alla rappresentazione del 2 novembre 2022.
Bruno Tredicine