Soprano | Giulia Semenzato |
Mezzosoprano | Sara Mingardo |
Tenore | Julian Prégardien |
Basso | Nahuel Di Pierro |
Voce bianca | César Badault del Münchner Knabenchor |
Direttore | Raphaël Pichon |
Regia, Scene, Costumi e Luci | Romeo Castellucci |
Dramaturg | Piersandra di Matteo |
Coreografia | Evelin Facchini |
Orchestra e Balletto del Teatro di San Carlo | |
Coro dell'Ensemble Pygmalion |
Imponente coproduzione, in cui rientrano i teatri di Bruxelles e Basilea, le Wiener Festwochen e i Festival di Adelaide e Aix-en-Provence, nonchè il Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia, approda anche a Napoli il Requiem di Mozart firmato da Romeo Castellucci, responsabile anche di luci, impianto scenico e costumi. Molti spettatori sono rimasti interdetti scoprendo che non si trattava di una semplice esecuzione dell’estremo capolavoro mozartiano come si poteva pensare dalla locaninda, magari con l'aggiunta di coreografie, ma che questo era interpolato con altre pagine del salisburghese e canti gregoriani. Le prime note del Requiem infatti sono state precedute da Christus factus est (Canto gregoriano), la Meistermusik KV477B e il Salmo Miserere mei KV90 di Mozart. Era a tutti gli effetti un'opera teatrale di Romeo Castellucci, una tra le figure più rappresentative del panorama del teatro contemporaneo, di cui le musiche erano solo un elemento ma non il fine ultimo. Castellucci non sembra interessato a rappresentare il Requiem come rito per i defunti o riflessione sulla morte, la sua è quasi una celebrazione della vita, che procede inesorabile verso la sua stessa fine ma che allo stesso tempo si rigenera, tanto è vero che il ciclo vitale ci viene mostrato all'inverso, un “controritmo”, come ricorda Piersandra Di Matteo responsabile della drammaturgia.
Infatti all'inizio vediamo una donna che in una stanza anonima sparisce letteralmente nel suo letto prima che tutto si faccia buio in una scena di cordoglio generale, ma con l'andare avanti emergono luci e colori in un'azione corale. Costumi folcloristici arricchiscono danze vivaci non a tempo con la musica: un vortice di immagini che si conclude nel silenzio di un palcoscenico grigio e vuoto. Tutto quello che avevamo visto si è polverizzato, e resta un neonato posto al centro della scena col suo pianto disperato (che ha turbato molti).
Alla prova dei fatti, per qualcuno la realizzazione è stata coinvolgente ed emozionante, per altri molto meno. Di Castellucci avevamo visto e recensito pochi anni fa un’opera nei Barocktage di Berlino che nonostante qualche perplessità ci era sembrata più potente nell’interfacciarsi con la poetica dell’opera originale.
Al di là di qualche immagine “forte” come la bambina-capro espiatorio, coperta di colori densi come vernice, di piume, poi chiusa in un mantello e fissata alla parete per diversi lunghi minuti o del bambino che gioca a calcio con un teschio poco prima di intonare, con voce poco celestiale, il Solfeggio K393, i simboli non sono sempre chiari. Le danze (coreografie a cura di Evelin Facchini) sono quasi sempre giocate sul tema della circolarità e sconfinano nella monotonia, l'emozione non è condivisa da tutti gli spettatori.
In coincidenza c’è la continua proiezione sullo sfondo di un catalogo di animali, popoli, strutture architettoniche scomparsi dalla faccia della terra (l’Atlante delle grandi estinzioni), che gradualmente si avvicina al presente fino a coinvolgere noi stessi e i luoghi della nostra quotidianità ricordandoci che non siamo estranei al totale dissolvimento. Questo crea una subdola inquietudine, ma ha un impatto tutto suo e non va in comunione con l’azione sul palcoscenico, lo si immagina a sé stante, in proiezione continua, in un centro di arte contemporanea.
Ma soprattutto era inevitabile il disagio sentendo il Requiem così com'è universalmente riconosciuto, smembrato e intersecato da altre pagine, un mosaico solo funzionale alla performance e dove la musica resta inevitabilmente in secondo piano.
Il quartetto dei solisti era coinvolto anche fisicamente nella realizzazione scenica, e a volte ne ha risentito la resa vocale. Il basso Nahuel Di Pierro, dalla bella linea vocale, non superava sempre l’ordito orchestrale, mentre il tenore Julian Prégardien ha un timbro piacevole e chiaro; inizialmente ha mostrato delle incertezze da cui si è ripreso presto. Sara Mingardo è artista di classe, si è inserita bene nel contesto ma non ha mai perso di vista la giusta proprietà stilistica. In evidenza anche Giulia Semenzato, soprano dal timbo limpido e luminoso.
L’emozione ha giocato qualche scherzo ed è una giusta attenuante per il pur bravo César Badault, voce bianca del Münchner Knabenchor che nella ripresa a cappella del Salmo Miserere mei, verso il finale, non ha messo in mostra la solita perfezione a cui ci hanno abituato i cori di bambini di area germanica.
Esemplare da tutti i punti di vista il Coro dell’Ensemble Pygmalion, pressocchè perfetto per intonazione, armonizzazione, tensione interpretativa.
Il coro era impegnato anche nell’azione insieme ad elementi del Balletto del San Carlo diretto da Clotilde Vayer, e la differenza di preparazione, sicuramente calcolata, era visibile.
Raphaël Pichon si è dimostrato in linea con lo spirito dello spettacolo, che ha diretto anche altrove. Attentissimo ovviamente al palcoscenico, il lato musicale è stato gestito molto bene: il direttore ha avuto mano leggera, lasciando in secondo piano i toni più cupi e misteriosi delle varie pagine. L'Orchestra del San Carlo ha risposto diligentemente con qualche pesantezza dei legni ma nel complesso mantenendo sonorità agili.
Teatro gremitissimo, nel pubblico molti appassionati di teatro i quali, oltre le ovazioni generali (non si sono sentite voci di dissenso) hanno riservato un vero e proprio boato di entusiasmo all’apparizione di Romeo Castellucci.
La recensione si riferisce alla rappresentazione del 16 maggio 2023.
Bruno Tredicine