Attila | Giorgi Manoshvili |
Ezio | Ernesto Petti |
Odabella | Anna Pirozzi |
Foresto | Francesco Meli |
Uldino | Francesco Domenico Doto |
Leone | Sebastià Serra |
Direttore | Vincenzo Milletarì |
Maestro del Coro | Fabrizio Cassi |
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo | |
Esecuzione in forma di concerto |
Fra tutte quelle del “primo” Verdi, Attila è un’opera che piace al pubblico ogni volta che viene proposta, dà soddisfazione ai melomani a caccia di sfoggio di voci ma anche ai più attenti che vi trovano anticipazioni del Verdi che verrà.
Al San Carlo l’opera mancava dal 2006, quando ci fu Samuel Ramey già con qualche difficoltà vocale ma carisma ancora immutato. Adesso vi è tornata in forma concertante con un cast quasi completamente cambiato rispetto a quello annunciato in origine.
Protagonista eponimo è stato Giorgi Manoshvili, al posto di Ildar Abradzakov liquidato per le note questioni politiche. Il giovane basso georgiano ha brillato di luce propria con voce potente e ben timbrata, capace di passare da accenti altèri alla protervia ma sempre con una certa nobiltà di fondo e dando alla parte una sua identità precisa che è sembrata patire la forma di concerto “stretta”, nemmeno semiscenica.
Anna Pirozzi è stata protagonista femminile dopo il forfait per malattia di Sondra Radvanovsky con un vero exploit, avendo cantato Odabella a sere alterne con Minnie della Fanciulla del West in scena negli stessi giorni al San Carlo. Cosa che ha dimostrato che la Pirozzi è artista sportiva nell’animo (dopo che lo fu davvero da ragazza) e coraggiosa. Infatti non si è mostrata intimidita e ha padroneggiato la parte soprattutto nei momenti più sfogati come l'imperioso ingresso. Per il resto ne ha superato le insidie con vocalità robusta ed estesa, emergendo nei concertati. Forse la mancanza di una regia e di un’azione scenica le è costata in termini di accenti più variegati e un fraseggio più screziato, insomma quei colori qui rimasti indietro rispetto alla valenza del canto.
Grande voce per Ernesto Petti che ne ha fatto sfoggio con esuberanza disegnando un Ezio appassionato nel duetto con Attila (il fatidico “Avrai tu l’universo, resti l’Italia a me”) e stentoreo in “È gettata la mia sorte”, che ha scelto di chiudere in acuto. Una prova d'effetto anche a scapito di qualche sottigliezza in più di fraseggio che avrebbe reso più sfaccettato il carattere.
Francesco Meli è saltato sul carro dei Romani già in corsa, protagonista della seconda serata al posto di Luciano Ganci ammalato. Meli nelle opere del primo Verdi trova un repertorio che gli è familiare, ma stavolta soprattutto inizialmente è parso fuori fuoco. A suo onore vanno le sfumature espressive che hanno dato bei chiaroscuri al personaggio, e l'essersi ben integrato in una compagnia nata senza di lui senza fare percepire nessuno scollamento.
Buone le prove di Francesco Domenico Doto, Uldino preciso nei suoi interventi, e di Sebastià Serra nella tanto piccola quanto fondamentale parte di Leone.
Attila è opera che dà largo spazio al Coro; la formazione del San Carlo diretta come sempre da Fabrizio Cassi ha offerto una prova magari perfettibile specialmente all’inizio, quando si è sentita più di un’esitazione, ma poi sempre più acquista vigore sonoro e consistenza, e torna ai suoi liveli abituali.
Già a partire dalla breve Sinfonia si è capito che quella di Vincenzo Milletarì era una direzione curata e consapevole anche del lato drammatico della partitura. Milletarì ha diretto con carattere e tenendo bene in mano le redini dell’Orchestra, con attenzione agli equilibri delle dinamiche e al bilanciamento fra le sezioni orchestrali, senza esasperazioni ritmiche e con vividezza dei colori.
San Carlo gremito ma lontano dall’essere esaurito, per sconfiggere Attila ci voleva la partita del Napoli calcio. Successo incondizionato confermato dai commenti più che soddisfatti colti fra il pubblico all’uscita.
La recensione si riferisce alla rappresentazione del 27 aprile 2025.
Bruno Tredicine