Violino | Patricia Kopatchinskaja |
Soprano | Anna Prohaska |
Direttore | Maxime Pascal |
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai | |
Stefano Gervasoni | Tacet, Concerto per violino e orchestra |
Francesco Filidei | Cantico delle creature, per soprano e orchestra |
György Kurtág | Selezione da Kafka-Fragmente |
Aureliano Cattaneo | Not alone we fly, per violino e orchestra |
Galeotto fu il Festival Milano Musica: dopo il concerto inaugurale e l'attesissimo Il Nome della Rosa al Teatro alla Scala si sta assistendo ad una vera scorpacciata di musica cosiddetta contemporanea. La cosa non soprende più di tanto, essendo Milano Musica per l'appunto ad essa dedicato; meno scontato è invece il notevole interesse di pubblico, che continua ad affollare il Piermarini anche in questi frangenti meno tradizionali. Il successo dell'opera tratta dal romanzo di Umberto Eco (quasi sempre tutte esaurite le rappresentazioni) ne è il principale testimone, ma anche altri eventi si sono dimostrati dei validi richiami, fornendo un volano meraviglioso per ascoltare le più recenti inclinazioni della musica del nostro tempo. Prova ne è il numeroso pubblico presente anche alla serata del 2 maggio ad assistere a due concerti per violino in prima esecuzione, di cui uno in prima assoluta. Concerti che fanno da cornice ad un altro brano di Francesco Filidei, a cui questo Milano Musica è dedicato.
Attrazione suscitata non solo dalla musica, ma anche dai musicisti: Patricia Kopatchinskaja, violinista moldava considerata tra le più grandi interpreti a livello mondiale (e anche tra le più discusse, per le sue interpretazioni non sempre ortodosse) e Maxime Pascal sono da anni delle granitiche certezze quando si parla di musica del nostro tempo.
Un padrino e una madrina d'eccezione, dunque, per i due concerti per violino di Stefano Gervasoni (in prima assoluta) e di Aureliano Cattaneo (in prima italiana).
Proprio da Tacet di Gervasoni si apre la serata: «il silenzio è parte integrante della musica, perché diventa spazio risonante, un suono che si riempie di vibrazioni fisiche e mentali – scrive il compositore nelle note di sala – per me è sinonimo di libertà e democrazia. Come la libertà e fragile: può essere interrotto in ogni momento. Come la democrazia, esige partecipazione e cura». Un lavoro dall'intenso valore musicale e civile, dunque; e il tacet gervasoniano è rumoroso, complesso, in perenne bilico tra sviolinate arzigogolanti e tecniche estese che lo rendono ricco di colori netti e contrasti timbrici, momenti rapsodici ed altri furiosi.
Mentre Gervasoni sembra ricordarci l'importanza del silenzio tramite la sua assenza, più delicato appare il concerto di Aureliano Cattaneo che chiude la serata. Anche in esso, pura coincidenza, si accenna al silenzio citando dei versi di Emily Dickinson che la solista intona sulla cadenza finale. Ci sembra di scorgere tuttavia qualcosa di più di una casualità nel trattamento del solista che lavora con l'orchestra in piena comunità di intenti: non contrasti o battagliamenti, come nel concerto romantico, dove le due voci sono tendenzialmente separate e complementari. Il violino suona nell'orchestra, è parte di essa: parte di una comunità, si potrebbe dire. Concerto come partecipazione: Not alone we fly di Cattaneo si apre con una nervosa cadenza a cui pian piano si aggiungono tutte le sezioni orchestrali e termina con la stessa cadenza, ma sfogata di tutte le tensioni iniziali, quasi una ninna nanna dopo una lunga camminata al fianco dell'orchestra.
Sono due concerti estrosi, e non a caso l'ispiratrice è la medesima: Patricia Kopatchinskaja è interprete perfetta tanto per le sue abilità di musicista quanto per il suo approccio antidivistico alla musica. Ed emerge chiara la sua voglia di condividere il suo amore per la musica, non solo con il pubblico; ma anche con gli stessi musicisti con cui suona. Se – per riprendere le parole di Gervasoni – questi concerti sono all'insegna della partecipazione, Kopatchinskaja è una delle poche soliste che dalla sua posizione intende il suo ruolo con la gioia e l'umiltà necessarie per far partecipare al meglio tutti quanti suonino con lei.
Ne è dimostrazione anche il duetto con Anna Prohaska, in una selezione dei Kafka-Fragmente dal sapore di encore, non fosse che si sono esibite subito dopo l'intervallo. Un piccolo omaggio a Kurtág con frammenti di gemme fulminanti nella brevità e nell'incisività che le due interpretano con un affiatamento che ci fa venire voglia di assistere a tutto il ciclo.
Anna Prohaska è anche la protagonista del lavoro di Francesco Filidei ispirato al Cantico delle creature di San Francesco. Anche in questo, come già in altri, Filidei associa una tonalità differente ad ogni strofa, creando un sistema circolare di rigore formale a cui il compositore sembra essere molto affezionato. Tredici stanze e dodici tonalità differenti, con richiami a tutta la storia della musica: Filidei si fa forza del passato – un'espressione che lui stesso ammette, citando Pasolini – e crea un lavoro intensissimo, dai colori delicati come un Masolino da Panicale. Splendida la prova non semplice di Prohaska che da un canto piano, quasi gregoriano, delle prime stanze evolve fino ad una sorta di Sprechgesang o alle arditezze vocali di tipo belcantistico.
Per ultimo citiamo quello che ci è parso essere il grande regista della serata, passato forse un po' in sordina poiché eclissato dalle stelle di Kopatchinskaja, Prohaska e compositori: Maxime Pascal ha saputo tenere la barra dritta, concertando e mettendo l'orchestra al servizio di una serata di grandissimo successo. La sua direzione è estremamente corporea, con le sue lunghe braccia a tracciare segni in aria e spesso molleggiandosi sulle gambe, quasi danzasse sulle note. Applausi meritatissimi, vivo successo. Per lui e per tutti.
La recensione si riferisce alla serata del 2 maggio 2025.
Emiliano Michelon