Violino |
Ilya Gringolts |
Direttore |
Matthias Pintscher |
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Filarmonica della Scala |
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Programma |
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Igor Stravinskij |
Le chant du rossignol Introduzione: festa nel palazzo dell’imperatore della Cina. Presto Canto dell’usignolo. I due usignoli L’usignolo meccanico. Malattia e guarigione dell’imperatore della Cina |
Matthias Pintscher |
mar’ehper violino e orchestra |
Gabriel Fauré |
Masques et bergamasques op. 112a Ouverture Menuet Gavotte Pastorale |
Claude Debussy |
La mer L. 111 Da l’aube à midi sur la mer Jeux de vagues Dialogue du vent et de la mer |
Il debutto di Matthias Pintscher sulle tavole del Piermarini è nel segno del Novecento storico, proposto in un programma decisamente impegnativo: Stravinskij, Fauré e Debussy, a cui si aggiunge peraltro lo stesso Pintscher con un lungo movimento concertante per violino e orchestra. Si tratta peraltro di quattro titoli che non si segnalano solo per l’intrinseca difficoltà ma anche per quanto, ognuno nella propria declinazione, investano nell’orchestrazione e nella ricerca timbrica. Sin dal fiabesco attacco de Le chant du rossignol di Igor Stravinskij si ha una chiara percezione di quello che sarà il minimo comun denominatore dell’intera serata, cioè l’attenzione al dettaglio timbrico da parte di Pintscher e una apparente facilità nel riuscire a far emergere sensibilmente le molte preziosità dei colori e delle timbrature orchestrali.
Nondimeno, si sottolinea anche la bella gestione dell’intera architettura di questo insolito «poema sinfonico in tre parti» nato dalle ceneri dell’opera Le rossignol: scritta nell’arco di ben sette anni dal 1907 al 1914 (quindi prima, durante e dopo la trinità monstre di Oiseau- Pétrouchka-Sacre), questa fiaba in tre atti è afflitta da una certa discontinuità stilistica, specialmente fra primo e secondo atto; la soluzione di Stravinskij fu quella di estrarre le sezioni più affini e ricomporle in una forma strumentale e senza apparato scenico. Resta il fatto che, pur avendo trasferito il materiale sonoro in un ambito concertistico, l’origine è il teatro; questo retaggio si avverte nella pagina e la direzione di Pintscher ne tiene di conto, ad esempio marcando i gesti ricorrenti nella partitura, e quindi mantenendo vivo quel fil rouge che deriva direttamente dall’impianto operistico. In alcuni casi specifici poteva esistere un equilibrio migliore tra gli strumenti – nella Marche chinoise il duo modale dei fagotti non emerge abbastanza sulla texture degli archi e in generale i soli degli strumentini dovrebbero essere più evidenti – tuttavia si apprezza molto la perizia del direttore nella gestione del dettaglio come del grande arco. Dal canto suo la Filarmonica della Scala propone uno straordinario ventaglio di timbriche seducenti, un approccio assai aderente alla partitura ma senza alcuna polverosità, perché l’evidente scopo è quello di rendere al pubblico lo spirito di questo peculiare lavoro di Stravinskij in tutta la tua irruenza scapigliata, una fiaba musicale popolata da figure dal profilo aguzzo.
Interessante mar’eh dello stesso Matthias Pintscher, come anticipato; accanto al titolo è riportata soltanto la sobria indicazione «per violino e orchestra», senza sbilanciarsi su alcuna classificazione formale. In effetti il brano stesso non si presta volentieri a un rigido incasellamento e lo si può giusto inquadrare come pezzo concertante. Partitura ricchissima di influenze extramusicali, a partire dal termine ebraico del titolo che – come riporta il bel programma di sala firmato da Luca Ciammarughi – significa «volto, segno» e per estensione l’aura di un volto, una bella visione, mar’eh propone una geografia sonora in continuo mutamento; Pintscher dimostra doti di orchestrazione non comuni e le impiega al meglio per evocare un clima di sospensione temporale in cui quasi si perde il senso dell’orientamento. Si privilegiano tessiture acute e comunque la grande orchestra viene impiegata nella prospettiva di una complessiva levità del pezzo che ben si adatta alla presenza di un violino solista, la cui parte è affidata all’ottimo Ilya Gringolts. Si avverte uno scavo importante nella partitura e un lavoro compositivo intenso da parte di Pintscher, non c’è pesantezza nell’ascolto e soprattutto non c’è alcuna freddezza nella ricca tavolozza orchestrale: quel particolare effetto o quella specifica tecnica hanno sempre una ragion d’essere coloristico-espressiva.
Il nodo più difficile da sciogliere è rappresentato forse dal violino. La parte è tecnicamente impegnativa, soprattutto per quel che concerne intonazione e timbro, ma non è virtuosistica: per quasi tutta la durata di mar’eh (oltre venti minuti), il solista mantiene un atteggiamento pacatamente concertante che serve al compositore per creare particolari impasti con l’orchestra e qualche sdoppiamento di personalità con la spalla, quindi lo si potrebbe concepire come anti-concerto, ma verso la fine Pintscher si contraddice parzialmente non rinunciando all’inserimento di una vera e propria cadenza di bravura, da virtuoso. È quasi un corpo estraneo, non ha molto a che vedere con il concetto del pezzo.
Gringolts affronta in modo eccellente questo complesso banco di prova, fornendo un’interpretazione intensa e senza manierismi, con una pulizia d’intonazione invidiabile in particolare negli ampi salti della parte centrale. Prima di congedarsi dal pubblico, il violinista “chiude il cerchio” proponendo come bis la tutt’altro che prevedibile Elegia per violino solo di Igor Stravinskij.
Gradevole la suite Masques et bergamasques di Gabriel Fauré, ma poteva essere più centrata: l’Ouverture è un poco troppo sottotempo e quindi risulta eccessivamente composta mentre l’indicazione in partitura specifica «Allegro molto vivo»; tornano inoltre i lievi squilibri tra archi e legni già sentiti nel Rossignol e i ribattuti di clarinetti, fagotti e timpani potevano essere articolati meglio. Ben riuscita l’impostazione squisitamente classica del Menuet, con cui la post-sturmeriana Gavotte realizza un contrasto croccante; da ultimo, la Pastorale è il movimento in cui Fauré si avverte più scopertamente in questo finissimo divertissement mascherato (appunto) nello stile del XVIII secolo; bellissima resa da parte degli archi, che qui hanno un trattamento davvero particolare, specialmente quando si trovano in combinazione con l’arpa.
Il punto verosimilmente più atteso della serata è anche quello che riporta il miglior risultato: questa è stata una delle migliori esecuzioni de La mer di Claude Debussy che chi scrive abbia udito dal vivo in recenti anni. Sontuosa e straripante eppure equilibratissima, la Filarmonica è impeccabile sotto qualunque punto di vista, ti avvolge nelle sue spire e non ti molla fino all’ultima battuta. Nel felice connubio tra Filarmonica e Pintscher La mer è veramente «tumultuosa e mutevole come il mare», l’impressione della grande marina non sembra nemmeno evocata da quanto si staglia con nettezza di fronte all’ascoltatore. I complessi arabeschi immersi nell’armonia defunzionalizzata creano un senso di perenne divenire che in Da l’aube à midi sur la mer suggeriscono un’importante sovrapposizione di acqua e luce, più che palese nelle ultime dieci battute.
Splendida resa dei Jeux de vagues, in cui la strumentazione conosce un impiego che, più che puntuale, si vorrebbe definire chirurgico: come in Debussy non esiste un rapporto gerarchico tra eventi sonori, così nell’esecuzione la Filarmonica non conosce differenziali tra gli strumenti che la compongono e il totale è molto superiore alla somma delle parti. Meravigliosi gli incisi degli archi al ponticello così come le circoscritte campiture delle percussioni, per non parlare dei picchi vertiginosi raggiunti da direttore e orchestra nel Dialogue du vent et de la mer, in cui tensione e pathos si accumulano senza un apparente limite per raggiungere l’apice nel grandioso corale prima del Très animé: in questa manciata di battute l’intervento degli ottoni vale tutto. L’esecuzione è stata di livello tale che davvero si fatica a trovare qualcosa da dire, si vorrebbe solo lasciarsi trascinare ancora in questo meraviglioso affresco sonoro.
La recensione si riferisce al concerto del 18 marzo 2024.
Luca Fialdini