Pianoforte | Rudolf Buchbinder |
Programma | |
Ludwig van Beethoven | Sonata in fa maggiore op. 10 n. 2 |
Sonata in mi maggiore op. 14 n.1 | |
Sonata in re maggiore op. 28 “Pastorale” | |
Sonata in mi minore op. 90 | |
Sonata in fa minore op. 57 “Appassionata” |
É noto che il mestiere di musicista reca in sé una componente anche prettamente fisica: l’arte non è sport, si dice, ma con lo sport ha in comune, se non l’agonismo, per lo meno il momento della performance, intesa come impegno fisico per compiere una determinata prestazione.
E sicuramente non diciamo niente di originale affermando che i solisti solitamente danno il meglio di sé tra i quaranta e i sessanta anni d’età. Lo sosteneva senza troppi infingimenti (nel suo Abbecedario di un pianista) anche Alfred Brendel, il quale ritenne infatti sensato abbandonare determinati cimenti virtuosistici oltre i settant’anni. L’idea è senz’altro condivisibile, se non fosse che il processo di maturazione di un grande interprete è un continuo divenire e non è affatto scontato che oltre una certa età le dita riescano ad assecondare le nuove idee. In alcuni casi di quasi perfetta conservazione della tecnica pianistica fino alla vecchiaia (Arrau, Backhaus, Rubinstein) quella maturazione trova un riscontro in una sufficiente capacità di restituire le intenzioni musicali e poetiche dell’interprete. In altri casi invece sembra completamente l’opposto: ad irrigidirsi non sono le articolazioni, ma proprio le idee. Una cosa del genere sembra stia succedendo, sia pure in misura appena percepibile, al grande Grigorij Sokolov, sempre più alle prese con programmi di recital caparbiamente anti-spettacolari e un approccio al pezzo che predilige la lente d’ingrandimento alla visuale d’insieme.
E cosa dire invece del beethoveniano doc Rudolf Buchbinder? In questa serata, la penultima del ciclo programmato per la Fondazione Società dei Concerti di Milano, le Sonate proposte sono parecchio eterogenee tra loro anche se rivelano un percorso tonale suggestivo e circolare (fa maggiore – mi maggiore – re maggiore – mi minore – fa minore). Le dita del settantottenne pianista austriaco funzionano ancora molto bene, e minime sbavature non inficiano ovviamente l’impressione complessiva di notevole efficienza. Dal punto di vista interpretativo sembra che Buchbinder vada radicalizzando quell’approccio essenziale, quasi minimalista, che lo contraddistingue e lo porta a sfrondare la partitura di tutti i segni non scritti che solitamente “aiutano” il fraseggio.
Nelle sonate op. 10 n. 2 e op. 14 n. 1 l’interprete è attento a ricordarci che Beethoven, pur con la sua carica rivoluzionaria, è ancora un compositore che opera a cavallo tra i due secoli, sotto l’influsso in particolare di Haydn e su uno strumento che è ancora lontano dalla sonorità del pianoforte moderno. La concisione espositiva e la pedalizzazione assai parca contribuiscono a realizzare questo effetto, in special modo nel Presto dell’op. 10 n. 2. Nella sonata in mi maggiore è ben realizzata la dimensione cameristica e polifonica, ricordandoci che Beethoven stesso ha trascritto quest’opera per quartetto d’archi.
Il pianista non riesce del tutto ad eliminare quella sensazione di fretta da cui talvolta sembra essere contagiato ed in alcuni casi questa sbrigatività arriva a deformare l’eloquio avvolgendolo in una nube leggermente confusionaria, come accade nell’op. 28, la Pastorale. Nebbie ancor più fitte poi nell’op. 90, in cui addirittura nello schubertiano secondo movimento viene saltata a piè pari tutta la sezione di sviluppo (quasi cento battute….).
Tuttavia il recital viene autenticamente salvato da un’esecuzione esemplare dell’Appassionata. Primo tempo tenuto insieme egregiamente, evitando qualsiasi sfilacciatura meramente effettistica (sintomatico, appena prima dell’inizio della Coda, il ritardando solo appena accennato, incapace di trasformarsi nell’Adagio indicato in partitura). Timbricamente originale l’Andante con moto, specialmente per gli effetti che ascoltiamo dalla mano sinistra nei ritornelli. Infine il terzo movimento viene eseguito con spolvero e sicurezza eccellenti, trascinando il pubblico nel consueto applauso liberatorio.
In definitiva, dispetto della sua rispettabile età, Rudolf Buchbinder riesce a mantenere ancora un buon equilibrio tra intenzione e realizzazione, consentendoci di apprezzare la sua particolare visione delle sonate beethoveniane, di cui ha offerto come bis il celeberrimo Allegretto dall’op. 31 n. 2 (“La Tempesta”).
La recensione si riferisce a concerto del 15 gennaio 2025.
Lorenzo Cannistrà