Mezzosoprano | Elisa Bonazzi |
Tenore | Alessio Tosi |
Tenore | Michele Concato |
Baritono | Giacomo Serra |
Basso | Alessandro Ravasio |
Direttore | Sebastiano Rolli |
Orchestra UNIMI | |
Programma | |
Kurt Weill | Das Berliner Requiem |
Die Sieben Todsünden per voce femminile, due tenori, due bassi e orchestra |
Nella stagione 2024/2025 del Teatro alla Scala c’è spazio anche per un Trittico dedicato a Kurt Weill che, tra gli altri, comprende anche Die sieben Todsünden; curiosamente, nello stesso giorno della presentazione a stampa e pubblico al Piermarini, l’Orchestra UNIMI in collaborazione con il Conservatorio di Milano porta nella Sala Verdi di proprio un dittico con titoli di Kurt Weill, incluso Die sieben Todsünden.
Entrambi i titoli proposti appartengono al generoso corpus generato dal binomio Weill-Brecht, iniziando dalla cantata per tre voci maschili e orchestra da camera Das Berliner Requiem. Si tratta di un lavoro dall’esistenza travagliata perché in vita Weill non volle mai pubblicarlo e, se presentò mai una versione “definitiva” della sua partitura, quella autografa andò pure perduta dopo la sua morte; la cosa ha generato alcune problematiche non da poco, ad esempio quali numeri mantenere e quali rimuovere (Weill aveva già espunto due brani – "Vom Told im Wald" e "Können einem toten Mann nicht helfen" – e l’editore Universal decise di escludere anche "Zu Potsdam unter den Eichen"). La stessa struttura circolare che nasce e muore con il Großer Dankchoral è puramente frutto di una scelta editoriale per cercare di conferire autonomia a un materiale che di per sé non ha una effettiva struttura organica, un aspetto che si coglie anche nella strumentazione; sul Berliner Requiem aleggia un forte alone di “non finito”. Tuttavia questo non ne scalfisce né il fascino né la validità, anche solo per lo spaccato di temperie culturale che offre: già dalle prime battute si sente l’inequivocabile aroma degli anni ’20, sensazione rafforzata dall’attacco della "Ballade vom ertrunkenen Mädchen". La dimensione cameristica permane anche nei Sieben Todsünden, dato che l’Orchestra UNIMI offre la prima esecuzione italiana della nuova versione con organico ridotto elaborata nel 2019 da Heinz Karl Gruper e Christian Muthspiel per le edizioni Schott. Il lavoro è interessante nella misura in cui da una parte è sempre molto rispettoso dell’originale, dall’altra l’organico ridotto fa affiorare i denti ancor acuminati della satira di Weill.
La direzione di Sebastiano Rolli è molto in sintonia con lo spirito caustico delle due partiture (dietro alle quali però c’è l’inferno), se ne apprezza la capacità di evocare quell’atmosfera di sospensione della concretezza che si incontra così spesso in Kurt Weill, ma non manca un piglio ora aggressivo ora ai limiti dell’allucinazione, il tutto perfettamente controllato attraverso un gesto chiaro e dalla ricercata semplicità. Il risultato migliore si raggiunge – e possiamo aspettarcelo – nei Sieben Todsünden, tuttavia si riconosca che il Das Berliner Requiem è un grattacapo non da poco: l’organico ridottissimo, l’avere a disposizione tre sole voci e la chiarezza della scrittura di Weill comportano un fattore di rischio parecchio elevato. In poche parole, questa cantata è un rasoio con cui è facile tagliarsi. Rolli ne fornisce una lettura convincente nella sua dimensione dolente, dimessa e con una certa crudezza in particolare con i due Rapporti sul Milite Ignoto sotto l’Arco di Trionfo.
Bene il quartetto delle voci maschili, con entrambi i tenori Alessio Tosi e Michele Concato dal timbro limpido e sensibilmente superiori il baritono Giacomo Serra e il basso Alessandro Ravasio. Al di là dei meriti individuali, del comparto maschile si apprezza proprio l’insieme (con pertichini solistici) che caratterizza prima il trio del Requiem e poi il quartetto dei familiari nei Sieben Todsünden. Eccellente Elisa Bonazzi come Anna, che in questa versione in forma di concerto oltre alle parti cantate assume su di sé anche quelle recitate. Bonazzi fa mostra di uno strumento importante, dal timbro piuttosto omogeneo e con una bella estensione anche nel registro grave, solido e ben appoggiato; equilibratissimo il rapporto fra articolazione della parola e canto che il mezzosoprano rende estremamente naturale e comprensibile come se fosse recitazione da teatro di prosa.
Dal canto suo, l’Orchestra UNIMI si rende protagonista di un’esecuzione di altissimo livello: in entrambi i titoli il gruppo orchestrale si segnala per la bella compattezza, la capacità di far emergere i timbri giusti senza sovrastarli (cosa non scontata quando si chiama in causa una chitarra), la capacità di giocare con i colori secondo le intenzioni della partitura evocando – ad esempio – gli allucinati passi di danza, arrivando a momenti di riuscito bilanciamento nel tutti come avviene nell’impetuoso "Habsucht".
La recensione si riferisce al concerto del 29 maggio 2024.
Luca Fialdini