Wolfgang Amadeus Mozart | Requiem in Re minore K626 (sequenza Eybler) |
Silvia Colasanti | Requiem. Stringeranno nei pugni una cometa, per soli, coro e orchestra |
Soprano | Minji Kim |
Alto | Solgerd Isalv |
Tenore | Massimo Lombardi |
Baritono | Daniele Caputo |
Bandoneon | Davide Vendramin |
Voce recitante | Mariangela Gualtieri |
Mezzosoprano | Monica Bacelli |
Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi | |
Maestro del Coro | José Antonio Sainz Alfaro |
Direttore | Maxime Pascal |
Non ci può essere musica senza il silenzio, così come non ci può essere vita senza la morte. Per due volte, al termine di entrambi i Requiem in programma, Maxime Pascal rimane rivolto verso l’orchestra, le spalle al pubblico, le braccia lungo i fianchi, il capo chino. A contemplare il silenzio, un silenzio rumorosissimo in coda a due vibranti interpretazioni: l’estremo capolavoro mozartiano e lo struggente Stringeranno nei pugni una cometa, scritto da Silvia Colasanti in memoria delle vittime del terremoto del centro Italia del 2016.
E se questo silenzio, al termine del Requiem di Mozart, si fa carico anche di una forza drammaturgica, come a sottolinearne l’incompiutezza (l’esecuzione si ferma alle ultime note vergate di sua mano, le prime battute del Lacrimosa), al termine di quello di Colasanti diventa contemplazione di uno dei più grandi misteri della vita, sublimatosi proprio nell’assenza di musica. Un lungo silenzio che catalizza tutto l’auditorium, prima che qualche timido applauso aggiunga finalmente il punto conclusivo alla performance: pian piano si fa ovazione per una serata intensa soprattutto sul piano emotivo, prima ancora che musicale.
Pascal, uno dei direttori più in ascesa tra i nati negli anni Ottanta, sceglie di condurre l’Orchestra Verdi in un dittico di Requiem a tinte forti, privilegiando l’effetto sulla precisione, l’emotività della morte, davanti alla quale siamo tutti nudi, alla cerebralità della correttezza dei tempi o degli attacchi. Non si intende dire che Pascal abbia diretto male, anzi: la sua è un’ottima direzione proprio in virtù della sua capacità di trasmettere all’orchestra non tanto il quando debba suonare, ma il come. Non mero segnatempo, Pascal regala una lettura appassionata: come un’acrobata del circo in equilibrio su un filo teso, che sembra sempre sul punto di cadere, il direttore francese convince i musicisti a seguirlo in questa corsa alle dinamiche, sembra più volte sul punto di perdere il controllo, invece padroneggia la materia, la delinea con efficaci e ampissimi gesti delle sue lunghe braccia e i musicisti si lasciano imbrigliare dalla sua visione.
Con un’interpretazione così intensa ci si sarebbe forse potuto aspettare qualche guizzo maggiore dai solisti del Requiem mozartiano, pur ottimi nel complesso. Vero che la loro parte è stata piuttosto esigua, tanto più che un Requiem non è forse il genere più idoneo ad un cantante per sfoggiare le proprie doti. Ma ci è parso come le due voci femminili (il soprano Minji Kim e l’alto Solgerd Isalv) avessero difficoltà ad amalgamarsi con quelle maschili (il tenore Massimo Lombardi e il baritono Daniele Caputo) rimanendone spesso sopraffatte dalla maggior potenza di emissione.
Splendido invece il Coro, preparato da José Antonio Sainz Alfaro: esaltante nei momenti più drammatici del Requiem mozartiano (strepitosi nel Kyrie Eleison e nel Dies Irae), ottimi anche nel rappresentare efficacemente la particolare scrittura di Colasanti, in bilico tra la ricchissima tradizione del Requiem e la ricerca di uno schema formale che possa trasmettere una riflessione su quanto accaduto in quell’agosto del 2016, affidato alla penna e alla voce della poetessa Mariangela Gualtieri.
Stringeranno nei pugni una cometa, commissione del Festival dei Due Mondi di Spoleto del 2017, è musica sacra, ed è anche teatro-oratorio nel suo dialogo tra voci contrapposte, il Coro di chi non dubita – al quale sono affidati i numeri soliti della liturgia – e La Dubitante, la poetessa che rappresenta l’Uomo, alla quale è affidata la riflessione sugli accadimenti che hanno generato questo lavoro; si inscrivono ai personaggi anche Il cuore ridotto in cenere (il mezzosoprano Monica Bacelli, che intona un Quid sum miser di straordinaria intensità vocale) e Il respiro della terra, ossia il bandoneon di Davide Vendramin con il quale accompagna la declamazione finale della Dubitante nel suo disvelamento delle proprie fragilità e della richiesta di perdono.
Ricordare i morti serve soprattutto a chi è rimasto, si sa. Silvia Colasanti ha tratto la sua musica dalla tradizione della Messa da Requiem e ha utilizzato forme antiche di musica sacra (la messa da Requiem, l’oratorio, la polifonia) come terreno fertile di creazione per una delle più struggenti pagina di musica composte in questo decennio appena trascorso: «Io non chiedo per voi l’eterna pace / non quel sonno infinito delle pietre […] Chiedo per voi, morti nostri, un’adesione a tutta la bellezza che vediamo crescerci intorno».
Anche Luca Francesconi ricorre spesso alla grande tradizione occidentale nella sua scrittura musicale, traendo forza dalle forme del passato dalle quali fare germogliare il seme di qualcosa di nuovo (e chissà che non ci sia lo zampino del loro comune maestro, Azio Corghi); a differenza di Francesconi, però Colasanti non mira a creare ex novo. La compositrice romana in Stringeranno nei pugni una cometa ne sfrutta il potente carico simbolico per imbastire un discorso mirato alla celebrazione della vita e della bellezza delle piccole cose che ci circondano. E questo, più di tutto, è Arte.
La recensione si riferisce al concerto del 13 febbraio 2020.
Emiliano Michelon