Direttore | Cayenna Ponchione-Bailey |
Oxford University Orchestra | |
Programma | |
Pëtr Il'ič Čajkovskij | Romeo e Giulietta, ouverture fantastica in si minore |
Johannes Brahms | Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73 |
L’ultima tournée della Oxford University Orchestra risale al 2019; dopo cinque anni l’orchestra riprende le sue apparizioni internazionali proprio con l’Italy Tour 2024, sette eventi nel nord Italia, il primo dei quali è accolto dall’Università degli Studi di Milano. In questo progetto, l’orchestra è diretta da Cayenna Ponchione-Bailey, con cui ha una lunga collaborazione (ad esempio, il tour giapponese del 2019); particolare la scelta del programma che, nonostante sia nella norma per una compagine professionale, è di difficoltà tutt’altro che trascurabile per un'organizzazione musicale universitaria, sebbene di livello.
La prima proposta è l’amata ouverture-fantasia Romeo e Giulietta di Čajkovskij, che permette di apprezzare alcune qualità dell’orchestra, dal colore piuttosto bello all’entusiasmo degli esecutori. Ci sono alcuni tratti perfettibili, ad esempio degli ingressi errati dei flauti nello stringendo subito prima dell’Allegro giusto (il duello con le spade), l’intonazione generale degli archi ha qualche occasionale oscillazione e i timpani curiosamente omettono il fa# in fortissimo due battute prima di quella sorta di Totentanz che è il Moderato assai; cionondimeno, l’esecuzione ha molti punti di forza: si avverte chiaramente il grande lavoro svolto da orchestra e direttrice sulle timbriche nel corale di clarinetti e fagotti che evoca la figura di frate Lorenzo, ad esempio, o ancora il bel controllo del pizzicato, che risulta pure espressivo e ricco di sfumature, il fuoco che emerge nei momenti più concitati e gli interventi dell’arpa di Isabel Samuel sono una nota di pregio. Dal canto suo, la direzione di Ponchione-Bailey garantisce la coerenza dell’insieme ed è attentissima a venire incontro alle esigenze dell’orchestra senza spingersi oltre le possibilità di questa; non scontata la cura delle sezioni finali dell’ouverture, vale a dire la già citata Totentanz – misuratissima nelle intensità – e nella simbolica ascesa al cielo (che con ogni probabilità Čajkovskij ha mutuato dalla più celebre «scala del Paradiso» dell’Après une lecture du Dante di Liszt).
Ancor meglio l’esecuzione dell’impegnativa Seconda sinfonia di Johannes Brahms, titolo che rappresenta un autentico punto di svolta nel catalogo del compositore: i suoi primi lavori di un certo rilievo con l’orchestra gli avevano richiesto particolare meticolosità (le Variazioni su un tema di Haydn, prima scritte per due pianoforti e poi pazientemente orchestrate) o hanno avuto una gestazione davvero lunga, come nel caso del Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in re minore che richiese quasi sei anni di lavoro, o della Sinfonia n. 1 in do minore che ne richiese ben ventuno; la Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 73 fu scritta nell’estate 1877, immediatamente dopo la conclusione della Prima, durante i periodi di vacanza a Pörtschach.
Questa nascita “di getto” ha lasciato evidenti segni nella scrittura, che non evoca mai l’impronta del caos o del disordine, ma nel suo nitore quasi classicheggiante si mostra intrisa di un’energia magmatica, un ribollire tematico che porta la penna dell’autore a dei bruschi cambi di rotta nella gestione delle sezioni e della stessa successione motivica, cosa che si può osservare nella climax quasi ingiustificabile dell’ultimo movimento che culmina in una chiara reminiscenza del finale della Quinta beethoveniana. In questo continuo aggrumarsi della forma in nodi, tuttavia, appaiono eleganza e gusto per l’architettura, infatti l’intero impianto sinfonico si regge su quell’inciso di tre note che appare nella prima battuta del primo movimento, enunciato da violoncelli e contrabbassi; si odono ben i vari elementi tematici che appaiono nel corso della Sinfonia, compreso il Wiegenlied (la famosa Ninna nanna) che viene citato espressamente nel primo movimento. La Oxford University Orchestra investe moltissimo nella compattezza dell’insieme pur riuscendo a mantenere quella trasparenza tutta brahmsiana della scrittura orchestrale: si nota molto bene nell’incipit del secondo movimento, caratterizzato da una caratteristica indipendenza delle parti, ben cesellati i soli di corno – pericolosamente scoperti nella trama sinfonica – e tra gli effluvi classicheggianti emerge quel senso di lutto che Brahms esplicita in più di una lettera, fino allo strepitoso finale in cui l’orchestra dà fondo alle proprie energie, raccogliendo meritati applausi.
La recensione si riferisce al concerto del 10 marzo 2024.
Luca Fialdini