Soprano | Sobotka Iwona |
Mezzosoprano | Bettina Ranch |
Tenore | Bernhard Berchtold |
Baritono | Benjamin Appl |
Gustav Mahler | |
Kindertotenlieder per voce e orchestra | |
Wolfgang Amadeus Mozart | |
Requiem in re minore KV 626 | |
Direttore | Claus Peter Flor |
Maestro del Coro | Massimo Fiocchi Malaspina |
Maestro del Coro I Giovani | Maria Teresa Tramantin |
Orchestra Sinfonica di Milano | |
Coro Sinfonico di Milano | |
Coro I Giovani di Milano |
Nei giorni 26, 27 e 29 gennaio il cartellone dell’Orchestra Sinfonica di Milano propone un programma particolare e interessante, dedicato ai Kindertotenlieder e al Requiem di Mozart. Due composizioni che hanno per oggetto un sentimento luttuoso esplorato e declinato in modi molto diversi e anche attraverso prospettive altrettanto differenti: spiritualità e misticismo iscritti nella sfera della religio per Mozart; più intimo e quotidiano lo sguardo di Mahler.
La direzione di Claus Peter Flor è consapevole della dimensione particolare del ciclo liederistico, ma il risultato non è sempre centrato. I risultati migliori si ottengono con "Wenn dein Mütterlein" e soprattutto il tumultuoso "In diesem Wetter, in diesem Braus", rispettivamente terzo e quinto brano della raccolta, dove le tensioni agogiche trovano un’interpretazione più solida e comunicativa rispetto agli altri numeri, che talvolta possono suonare un poco freddi e animati da un pensiero musicale non così convincente. In questo è complice il baritono Benjamin Appl, dotato di un timbro quasi tenorile che poco si amalgama con lo spirito della composizione e con il tessuto orchestrale. La dizione è chiara e precisa ed enuncia una forte partecipazione alla drammaturgia mahleriana costruita sui testi di Rückert, ma la poca nitidezza nelle articolazioni e nel fraseggio diminuiscono sensibilmente il fascino dell’esecuzione.
Se nei Kindertotenlieder si assiste a un buon tentativo non del tutto riuscito, il Requiem di Mozart è un abbaglio colossale. Negli ultimi anni quella che – suo malgrado – può essere considerata una delle composizioni più pop del salisburghese, è vittima di una moda davvero assurda che solitamente prevede di staccare tempi molto rapidi per i brani lenti ("Requiem aeternam", "Tuba mirum" e "Rex tremendae", ad esempio), aggiungere arbitrariamente dei cambi di velocità dove non sono previsti, preferire suoni secchi, spigolosi e magari non troppo appoggiati, il tutto condito da manierismi abbastanza estranei alla partitura, come nel caso dei crescendi e diminuendi in «quantus tremor est futurus» e nella risposta «dies irae, dies illa», coronando il tutto con un pianissimo vertiginoso sull’«Amen» alla conclusione del "Lacrimosa". Ad eccezione di quest’ultimo esempio, la direzione di Flor ha sposato in toto queste interpretazioni apocrife.
La questione non è e non sarà mai sul diritto dell’esecutore di interpretare, che è l’anima stessa della musica, più semplicemente la questione ruota attorno a cosa sia coerente con lo spirito della composizione o no. La lettura di Flor non era coerente con il Requiem di Mozart, anzi, ne era davvero molto distante.
Semplificando molto, l’autore ha costruito questa Messa sui contrasti: nella maggioranza dei casi esiste una precisa alternanza tra brani lenti e brani veloci, brani intimisti e brani più vigorosi. Prendere un tempo molto rapido nel "Requiem aeternam" (Adagio) significa ignorare il forte contrasto con il successivo "Kyrie" (Allegro) e creare un singolare appiattimento dei due brani, oltre al fatto che il senso e la bellezza del fraseggio si perdono in una confusione unica esattamente come accade con velocità esagerate nel "Tuba mirum" e nel "Rex tremendae". Nel "Domine Jesu", poi, avvengono continui cambi di velocità: la prima parte ha un tempo, il «quam olim Abrahae» è più veloce e l’«et semini eius» viene eseguito a un tempo notevolmente più lento. Una schizofrenia del tutto estranea a qualsiasi prassi esecutiva e che oltretutto involgarisce la partitura.
I solisti non riescono a migliorare molto la situazione, anche perché i tempi fuori luogo non consentono di apprezzarli in modo adeguato: il già citato Appl non è nel suo elemento e risulta quasi indistinguibile dal tenore Bernhard Berchtold, dal timbro chiaro e dal buon controllo. Bettina Ranch possiede un colore umbratile, ricco di chiaroscuri, che si fa apprezzare soprattutto nel Recordare e nel "Domine Jesu"; per converso, luminosa la vocalità di Sobotka Iwona, efficace tanto nei quartetti quanto nei brevi passi “a solo”.
Dal canto suo l’Orchestra Sinfonica di Milano fornisce – per quanto possibile – un’ottima prova: sonorità molto misurate in Mahler, con una spiccata attenzione al dettaglio delle timbrature, incisività e slancio in Mozart. Al netto delle velocità opinabili, si segnala che l’orchestra ha fatto di tutto per ottenere un suono il più possibile appoggiato anche nei passaggi più scoperti, come le figurazioni di trentaduesimi e sedicesimi puntati, e in generale si è mantenuto quell’amalgama che è uno dei tratti più riconoscibili di questa orchestra. Lodevole anche la prova del Coro Sinfonico di Milano e del Coro I Giovani di Milano, preparati rispettivamente da Massimo Fiocchi Malaspina e Maria Teresa Tramantin, segnalandosi positivamente per la buona compattezza e la tenuta in qualsiasi frangente, garantendo sempre anche un’ottima intellegibilità sia delle singole linee vocali sia del testo.
La recensione si riferisce allo spettacolo del 26 gennaio 2023.
Luca Fialdini