Le Général | Andrew Greenan |
Paulina | Maritina Tampakopoulos |
Alexis Sergej | Sergej Radchenko, |
La Grand-Mère | Silvia Beltrami |
Le Marquis | Paul Curievici |
Mr. Astley | Alexander Ilvakhin |
Blanche | Ksenia Chubunova |
Le prince Nilsky | Sandro Rossi |
Le Baron | Wurmerheim Strahinja Djokic |
Potapytch | Gonzalo Godoy Sepulveda |
Au tableau de la salle de jeu | |
Le Directeur | Andrew Greenan |
Premier croupier | Dagur Thorgrimsson |
Deuxième croupier | Joan Folqué |
Le gros anglais | Strahinja Djokic |
Le long anglais | Toni Nezic |
La Dame bariolée | Irina Bogdanova |
La Dame pâle | Alessia Panza |
La Dame comme ci comme ça | Ksenia Chubunova |
La Dame vénérable | Larissa Grigoreva |
La vieille joueuse suspecte | Silvia Beltrami |
Le Joueur fougueux | Alessandro Lanzi |
Le Joueur maladif | Paul Curievici |
Le Joueur bossu | Sandro Rossi |
Le Joueur malchanceux | Elcin Adil Huseynov |
Le vieux Joueur | Yuri Guerra |
Les six joueurs | Vincenzo Mandarino, Pantaleo Metta, Elia Colombotto, Diego Maffezzoni, Graziano De Pace, Dario Lattanzio |
Direttore | Jan Latham Koenig |
Regia | David Pountney |
Scene e costumi | Leila Fteita |
Luci | Alessandro Carletti |
Maestro del coro | Fabrizio Cassi |
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli di Bari | |
Nuovo allestimento del Festival della Valle d'Itria |
ll rapporto fra musica e letteratura è uno dei più suggestivi nell’ambito delle relazioni artistiche. Spesso la prima si rivolge alla seconda per essere più facilmente compresa e decodificata, mentre la letteratura cerca nella musica un mezzo per creare una nuova rete di corrispondenze tra i modi del racconto e la sua ricezione. Sono veramente tanti e tutti di altissimo lignaggio gli scrittori che hanno trovato ispirazione nella musica ed hanno ispirato a loro volta musicisti di ogni epoca: si devono almeno ricordare i nomi di Hoffmann, Shakespeare, Hugo e dei russi Puškin, Tolstoj e Dostoevskij, di cui l’anno scorso si sono celebrati i duecento anni dalla nascita.
I soggetti dostoevskijani non hanno avuto molte trasposizioni musicali, soprattutto in confronto agli altri scrittori russi. Ma possono contare sul grande compositore russo Sergej Prokof’ev, che tra il 1915 e 1916 decise di affrontare come soggetto per un’opera lirica il romanzo Il giocatore, dopo averne curato anche il libretto. Il debutto, previsto al Teatro Mariinskji di Pietroburgo (ma in quegli anni si chiamava Pietrogrado) nei primi mesi dell’anno successivo, viene rimandato a causa delle proteste del cast che giudicò la partitura troppo complessa. La Rivoluzione d’Ottobre del 1917 e la successiva partenza del compositore – rimarrà lontano dalla Russia per 15 anni – segnano definitivamente la cancellazione del titolo dal cartellone del Mariinskji.
Tornato in Russia nel 1927, Prokof’ev ritrova la partitura del Giocatore nella biblioteca del teatro della ormai Leningrado. Ma non è cambiato solo il nome della città: l’opera viene infatti contestata dall’Associazione Russa dei Musicisti Proletari per il suo modernismo e non più programmata. Il giocatore vede quindi le luci della ribalta fuori dall’Unione Sovietica, il 29 aprile del 1929, al Théàtre Royale de la Monnaie di Bruxelles, con una seconda edizione della partitura, il libretto in francese curato da Paul Spaak e con la conseguente traduzione del titolo in Le joueur.
Ed è stato proprio Le joueur ad inaugurare con grande successo la 48esima edizione del Festival della Valle d’Itria a Martina Franca, la prima sotto la direzione artistica di Sebastian F. Schwarz. Un’occasione unica di ascolto per la rarità della versione proposta e per essere la prima volta che al Festival va in scena un’opera di un compositore russo.
Ritornando al soggetto originario, si deve ricordare che Dostoevskij pubblicò Il giocatore nel 1866 con l’intento di descrivere l’amara esperienza da lui vissuta durante il suo soggiorno all’estero: quella della passione per il gioco che lo portò a indebitarsi disperatamente e a tornare in Russia in miseria. É l’eroe del romanzo, Aleksej Ivanovič a raccontare in prima persona la sua storia. Chi conosce il grande letterato russo invano cerca nel Giocatore la presenza di quei grandi temi religiosi e filosofici che costituiscono la filigrana metafisica dei suoi romanzi più famosi. Eppure, questo breve e frizzante racconto è quanto di più dostoevskijano si possa immaginare. Il tema dominante dei suoi romanzi – la contrapposizione fra una vita esteriore cristallizzata in una forma e di una vita interiore fluida e contraddittoria – è infatti presente ampiamente anche in questo caso.
La riduzione operata da Prokof'ev sul romanzo di Dostoevskij è illuminante. «Rinunciando alla cornice e alla sonda che scava in profondità nella psiche di Aleksej per trovare una giustificazione alla sua ossessione - scrive il musicologo Sergio Sablich - Prokof'ev accentua la tensione dell'incalzare degli eventi e la concentra in un ritmo serrato, concitato, il cui motore propulsivo è la passione per il gioco: metafora ancor più pronunciata che in Dostoevskij di una condizione umana di implacabile necessità, tale da attirare in un vortice e travolgere individui privi di forza interiore e di equilibrio come quelli che consumano le loro speranze nel variopinto scenario di Roulettenburg. Ne consegue che il motivo del gioco diviene esso stesso emblema di vitalismo ritmico, per toccare nel quadro centrale dell'ultimo atto - la scena nella sala da gioco - un vertice di pura follia musicale, scandito dal movimento inesorabile della pallina nella roulette, dagli ordini inappellabili del croupier, dal nervoso commento dei giocatori».
Una partitura di rara efficacia, dunque, con linee melodiche febbrili, spesso dissonanti e complesse, che la perfetta concertazione di Jan Latham Koenig, sul podio dell’ottima Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari, ha plasmato in maniera sensazionale con gesto sicuro, fluido, autorevole e in perfetto equilibrio con il numerosissimo e validissimo cast, che solo nelle parti principali vede sul palcoscenico dieci solisti per arrivare poi a più di trenta per la celebre scena del IV atto al tavolo da gioco.
«Non è mai canto aperto, disteso, di lunga gittata e respiro largo - sottolinea ancora Sablich - ma successione, reiterazione di brevi, pregnanti formule melodiche configurate in modo tale da caratterizzare in modo spiccato un personaggio, una situazione, un sentimento. A beneficiare di questa tecnica espressiva non sono soltanto i momenti lirici, quasi tutti condensati nella pulsione amorosa di Aleksej verso l’aspra, inafferrabile Pauline, ma anche quelli satirici, grotteschi, eccentrici e caricaturali».
Bravissimo nella parte di Alexis Sergej Radchenko, tenore dalla voce potente e squillante e molto abile nel mettere in risalto tutte le sfaccettature anche psicologiche del personaggio. Eccellente, sia vocalmente che scenicamente, anche l’interpretazione del soprano Maritina Tampakopoulos nei panni di Pauline, al pari del mezzosoprano Silvia Beltrami nella parte de La Grand-Mère, e del basso-baritono Andrew Greenan in quella di Le Général.
Altrettanto validi sono stati il tenore Paul Curievici (Le Marquis), il baritono Alexander Ilvakhin (Mr. Astley), il mezzosoprano Ksenia Chubunova (Blanche), il tenore Sandro Rossi (Le prince Nilsky), il basso Strahinja Djokic (Le baron Wurmerheim) e il baritono Gonzalo Godoy Sepulveda (Potapytch). Efficaci tutti gli altri solisti entrati per la scena del IV atto attorno al tavolo da gioco: Andrew Greenan, Dagur Thorgrimsson, Joan Folqué, Strahinja Djokic, Toni Nezic, Irina Bogdanova, Alessia Panza, Ksenia Chubunova, Larissa Grigoreva, Silvia Beltrami, Alessandro Lanzi, Paul Curievici, Sandro Rossi, Elcin Adil Huseynov, Yuri Guerra, Vincenzo Mandarino, Pantaleo Metta, Elia Colombotto, Diego Maffezzoni, Graziano De Pace e Dario Lattanzio. Come sempre puntuale e preciso il Coro del Petruzzelli, ben guidato da Fabrizio Cassi, apparso nel finale dentro le due torri posizionate ai lati del palcoscenico.
Al grande successo della serata ha contribuito in maniera fondamentale anche la suggestiva parte visiva dello spettacolo firmata da Sir David Pountney, con le scene e i costumi di Leila Fteita e le luci di Alessandro Carletti. La scena è una riproduzione di una sala da gioco con al centro la roulette e in alto un grande specchio obliquo che metteva ancor più in risalto gli aspetti grotteschi della ludopatia. La cifra caratteristica della regia è stata infatti quella di rimarcare in maniera estrema i tratti satirici dei personaggi che sul palcoscenico si muovevano in maniera frenetica, come se fossero delle maschere guidate dall’alto. Sia i costumi che alcuni particolari scenici (si pensi alle sedie che riproducevano i manichini di Malevič), si rifacevano al Futurismo e al primo periodo rivoluzionario dell’arte russa.
Alla fine lunghi e calorosissimi applausi per tutti gli interpreti.
La recensione si riferisce alla serata del 19 luglio 2022.
Eraldo Martucci