Orfeo | Mauro Borgioni |
Euridice e La Musica | Valeria La Grotta |
La Messaggera e La Speranza | Benedetta Mazzuccato |
Apollo e spirito terzo | Furio Zanasi |
Caronte e Plutone | Rocco Lia |
Proserpina e Ninfa | Anna Simboli |
Primo pastore e spirito primo | Alessio Tosi |
Coreografia e movimenti scenici | Chiara Olivieri |
Coro da camera Ricercare Ensemble | |
Maestro del coro Romano Adami | |
Orchestra Accademia degli Invaghiti | |
Direttore Federico Maria Sardelli |
Se è vero che non sappiamo esattamente quale stanza del Palazzo Ducale di Mantova ospitò la prima rappresentazione assoluta dell’Orfeo, è certo che il Teatro Scientifico di Antonio Galli Bibiena, benché posteriore di quasi due secoli, sembri fatto apposta per accogliere il capolavoro di Claudio Monteverdi. In fondo è a pochi passi dal palazzo e prosegue, forse conclude in bellezza, quella linea di splendore intellettuale e artistico che per qualche secolo ha attraversato Mantova.
Il Teatro Scientifico, con la sua scena fissa che continua virtualmente la successione di palchi della sala, è compiuto in sé, in un contesto di raro splendore architettonico. Lo spazio è ridotto, sufficiente a contenere l’orchestra e i movimenti scenici, mentre il coro e, all’occasione, gli strumenti, si collocano sui magnifici affacci della parete di fondo. In questo contesto ideale abbiamo assistito ad un Orfeo onorato in ogni suo aspetto.
Federico Maria Sardelli dispone l’orchestra Accademia degli Invaghiti sul palco con gli archi a destra e il continuo a sinistra, mentre i fiati si distribuiscono tra proscenio, palchi e scena fissa a seconda del momento e dell’effetto sonoro richiesto. Il coro Ricercare Ensemble, diretto da Romano Adami, sta prevalentemente sul fondo e dietro gli strumenti, mentre i cantanti sono sempre in proscenio, davanti a tutti. Il risultato è che il suono corre con facilità, aiutato dalle risonanze morbide di un teatro tutto fatto di legno. A questa scorrevolezza si aggiungeranno forza e spessore, conferendo ad ogni nota corpo e vita per tutto il tempo dell’opera. Proprio il continuo andare e venire delle forze vitali, l’alternanza di speranze e disillusioni, la fallacia della condizione umana, benché trasfigurata in un semidio, le infinite riflessioni provocate da un mito che non cessa di porre quesiti sono passati attraverso la musica e il canto con chiarezza e profondità rare. Si parla di un capolavoro tanto inesauribile quanto delicato, una costruzione di parole e musica che mal sopporta l’approssimazione. In particolare l’orchestra ha lavorato in modo esemplare sulle sinfonie, talmente espressive da ricordare i cori tragici a commento delle vicende. Dopo il lamento di Orfeo, nel finale del secondo atto, gli strumenti parlano di dolore con spessore umano, così come impressionano le arcate funeste che commentano la citazione dantesca “Lasciate ogni speranza, ò voi ch’entrate”, all’inizio del terzo atto. Coro e orchestra narrano e legano con continuità dando coerenza ad una drammaturgia perfetta, sostenuta da una compagnia di canto ideale.
Mauro Borgioni, Orfeo, piega la perfezione stilistica in suo possesso all’umanità di un personaggio che prima allieta e poi commuove. Difficile immaginare una prova più convincente sul piano del recitar cantando, modo che padroneggia da maestro, unita alla brillantezza del canto, la padronanza della scena ed il valore che sa conferire al testo scritto e musicale. Basta ascoltare la frase in apertura del quinto atto, “questi i campi di Tracia”, per comprendere il valore evocativo di una frase pronunciata/intonata con la giusta eloquenza, in cui il mito si compatta in poche sillabe. Valeria La Grotta ha il compito di aprire l’opera con i celebri endecasillabi intonati dalla Musica. Lo fa con leggerezza, sfoderando come se niente fosse l’ingente patrimonio tecnico necessario a impressionare gli astanti. Torna nel breve lamento di Euridice, che rende con disperata tenerezza. Benedetta Mazzuccato ha due magnifici monologhi, prima come Messaggera, in cui fa sentire tutte le dissonanze del dolore, e poi come Speranza, condannata ad essere inascoltata in eterno. Anna Simboli propone un Proserpina poetica e delicata, capace di convincere Plutone con la dolcezza del canto e la fermezza di chi vuole salvare due amanti. Furio Zanasi, monteverdiano di eccellenza e di splendente carriera, non poteva mancare. Compare in finale come Apollo, con la consueta autorità. Alessio Tosi e Gianluca Ferrarini, primo e secondo pastore, sono eccellenti per stile e capacità di cantare sulla parola, oltre che per la sicurezza con cui tengono la scena. Il giovane basso Rocco Lia sa come suscitare terrore dapprima come Caronte, accompagnato dall’organo ossessivo impostato su un registro stridente, mentre in seguito è sontuoso come Plutone in frac, quando concede un’altra possibilità ad Orfeo su istanza di Proserpina.
Chiara Olivieriè autrice delle coreografie che interpreta insieme ad altre quattro danzatrici. Vestite di tuniche velate dai colori pompeiani, commentano gli eventi con gesti contemporanei ma in forme arcaiche che richiamano il mito, seguendo con eleganza lo sviluppo della vicenda.
Il pubblico, numeroso nonostante il caldo fuori e dentro il teatro, ha accolto con entusiasmo e numerose chiamate questo eccellente insieme di artisti.
La recensione si riferisce allo spettacolo del 28 giugno 2025.
Daniela Goldoni