Floria Tosca | Carmen Giannattasio |
Mario Cavaradossi | Antonio Poli |
Il barone Scarpia | Claudio Sgura |
Cesare Angelotti | Alessandro Abis |
Sagrestano | Armando Gabba |
Spoletta | Saverio Fiore |
Sciarrone | Gianni Paci |
Un carceriere | Franco Di Girolamo |
Un pastorello | Petra Leonori |
Direttore | Donato Renzetti |
Regia | Valentina Carrasco |
Scene | Samal Blak |
Costumi | Silvia Aymonino |
Luci | Peter van Praet |
Maestro del Coro | Martino Faggiani |
Maestro del Coro di voci bianche | Gianluca Paolucci |
Orchestra Filarmonica Marchigiana | |
Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” | |
Pueri Cantores "Domenico Zamberletti" |
Prende finalmente corpo come titolo inaugurale per l’edizione 2022 di Macerata Opera la "Tosca" che la regista Valentina Carrasco aveva cominciato a progettare fin dal 2019, e poi più volte rimandata per le contingenze legate alla pandemia. Spiega la regista nel programma di sala che rispetto all’idea iniziale ha modificato più volte il progetto registico man mano che il tempo passava e sembrava che dovesse arrivare a concretizzarsi, arrivando solo a febbraio di quest’anno la formalizzazione del cartellone che vedeva in scena questa "Tosca". Si può quindi legittimamente pensare che questi continui spostamenti, ripensamenti e cambi di collaboratori artistici abbiano contribuito non poco al senso di irrisolto quando non di vera e propria confusione che ci ha trasmesso questa "Tosca". Si è letto e scritto di una “Tosca cinematografica”, e l’idea portante è in effetti quella dell’ambientazione del dramma sul set di una produzione americana anni ’50 stile peplum sovrabbondante di cartapesta e colori, dove si realizza un film sull’effettivo contesto storico originale dell’opera, cioè la battaglia di Marengo. Idea che peraltro non stravolge affatto i caratteri dei personaggi, perché tutti sono quelli che dovrebbero essere: Tosca una diva dell’epoca gelosa e possessiva, Scarpia un bieco approfittatore che si serve del suo potere per soddisfare le sue voglie (con più di un riferimento scenico-visivo alla figura di Harvey Weinstein) e Cavaradossi un artista vittima del sistema di potere creato intorno a lui.
L’intero allestimento si basa sulla dicotomia tra finzione e realtà, resa evidente dalla proiezione su una porzione di muro dello Sferisterio del film che si va girando e che gli spettatori vedono sul palcoscenico come frutto delle vicende che legano i personaggi. Culmine di questa dicotomia diventa il finale, dove la fucilazione di Mario come atto conclusivo della finzione filmica diventa un vero omicidio, a causa dell’evidente sbaglio di caricamento dei fucili, sotto lo sguardo costernato della troupe che si rende conto di quanto è successo, proprio come fa Tosca (ed esattamente come capitato qualche mese fa sul set del film Rush con Alec Baldwin). Ben riuscito anche l’uso della telecamera come strumento di umiliazione di Scarpia verso Tosca, quando la riprende al culmine della prostrazione emotiva durante "Vissi d’arte", e specularmente di vendetta da parte di Tosca quando è lei a riprendere gli ultimi istanti di vita del barone pugnalato a morte. Bisogna poi riconoscere alla Carrasco l’abilità di gestire bene i movimenti di massa sul palcoscenico, come nello spettacolare Te Deum, e al disegno luci di Peter van Praet di valorizzare al massimo le diverse situazioni, al pari dei bellissimi costumi d’epoca di Silvia Aymonino e delle scene di Samal Blak.
I problemi nascono quando la regista si lascia prendere la mano nell’uso di questo espediente teatrale, creando situazioni completamente opposte alla drammaturgia: se mentre Scarpia canta “Tosca è un buon falco”, manifesto programmatico del suo potere basato sulla violenza, si assiste alla pantomima della cantata di Tosca ad un tavolo pieno di nobili, cardinali e della regina Maria Carolina, con le attrici che vengono alle mani e la troupe che tenta di separarli, l’effetto simil-comico è semplicemente desolante. Analogamente, la soggettiva di Tosca che sale dalle scale della quinta che rappresenta Castel Sant’Angelo e poi si vede piombare giù un fin troppo floscio manichino, annacqua non poco la bella intuizione di cui sopra sulla morte di Mario.
Altro problema, l’eccesso di citazionismo per il quale alcune scelte registiche diventano comprensibili a molti solo se si legge il programma di sala o se si ascoltano le interviste della regista (brutta cosa quando si dà per scontato che tutti capiscano certi particolari alla prova dei fatti misconosciuti ai più). Non è certo dovere degli spettatori sapere che un Batman e un nativo americano che si aggirano per il set a inizio primo atto lo fanno perché in quegli anni si giravano telefilm dal sapore kitch sui supereroi dei fumetti in contemporanea con altre produzioni, o che la sfilza di nomi proiettata sul muro al secondo atto in abbinamento a filmati d’epoca rappresenta illustri vittime del maccartismo, da attori a registi a sceneggiatori. Tutto ciò descritto ingenera quindi il senso di confusione di cui sopra, il voler strafare con espedienti altrimenti interessanti creando situazioni poco lineari sia con la trama dell’opera in sè che con la stessa idea di base registica.
Non completamente a fuoco nemmeno il versante musicale: la direzione di Donato Renzetti si è snodata piatta e avara di dinamiche lungo tutto il primo atto, arrivando ad acquistare maggiore corpo a partire dalla metà del secondo atto, con la morte di Scarpia e il cupo finale che acquistano più drammaticità. Bella la caratterizzazione dell’alba romana ad apertura terzo atto, che trapassa con il giusto cambio di sonorità e colore orchestrale al tema di Cavaradossi, e nel finale dell’opera finalmente si è ascoltato un suono più incisivo e meglio valorizzante gli impasti timbrici pucciniani. Una direzione di routine, in fin dei conti, nemmeno troppo alta e comunque non in grado di suggerire ai cantanti una qualche chiave interpretativa che non fosse quella dettata dall’esperienza nei rispettivi ruoli.
Può essere quindi questo il motivo per cui Antonio Poli, al debutto nel ruolo, ha iniziato con un "Recondita armonia" davvero bruttino e non si è smosso lungo tutto il primo atto da una genericità di fondo nel canto e nell’interpretazione. Molto meglio nel secondo e terzo atto, nei quali è riuscito a fraseggiare in modo convincente per differenziare la figura del patriota da quella dell’innamorato. Non si può non rilevare tuttavia che la voce, sempre molto bella di timbro, tende a perdere consistenza in tutto il registro acuto ed è stata regolarmente coperta da quella della collega nei duetti con Tosca. Si spera che l’annunciato salto del tenore verso il repertorio lirico spinto avvenga in modo sempre più graduale e ragionato, e magari in teatri dove l’acustica sia più favorevole. Al netto di qualche acuto un po' stridulo e di una dizione a volte non chiarissima, Carmen Giannattasio ha voce e temperamento adatti al ruolo, e si è inoltre calata con molta partecipazione nell’allestimento a rendere visivamente una Tosca agli estremi della diva capricciosa e della donna ferita. Momento davvero magico il finale dell’opera, dove ha trovato la giusta alchimia fra parlato e cantato per esprimere la disperazione di Tosca senza scadere nel poitrine.
Analogamente Claudio Sgura ha scolpito il personaggio di Scarpia con un accento sempre appropriato, forse appena un po' sottotono nell’importante dialogo con Spoletta al secondo atto ma comunque con una solidità vocale e una presenza scenica che ne hanno fatto il destinatario degli applausi più sentiti da parte del pubblico alle uscite finali. Corretto ma un po' sottotono il Sagrestano di Armando Gabba, mentre bene hanno figurato lo Spoletta secco e laido di Saverio Fiore e lo Sciarrone di Alessandro Abis, che centra alla perfezione il sempre ostico la bemolle di “Scellerato”. Completavano onorevolmente il cast Gianni Paci come Sciarrone, Franco di Girolamo come Carceriere e Petra Leonori come Pastorello. In serata poco felice i due cori, sia come timbrica che come tenuta ritmica (un’evidente fuori tempo durante la scena della cantoria è stato risolto con molto mestiere da Renzetti).
Successo finale non travolgente ma comunque franco con applausi per tutti.
La recensione si riferisce alla prima del 22 luglio 2022.
Domenico Ciccone