Selim | Omar Cepparolli |
Donna Fiorilla | Iolanda Massimo |
Don Geronio | Francesco Auriemma |
Don Narciso | Antonio Mandrillo |
Prosdocimo | Nicola Zambon |
Zaida | Gabriella Ingenito |
Albazar | Matteo Straffi |
Mimi |
Luca De Rinaldo Emanuele Frutti Francesco Gerbi Samuel Moretti Amedeo Podda |
Maestro concertatore e direttore | Sesto Quatrini |
Regia | Italo Nunziata |
Regista collaboratore e movimenti scenici | Danilo Rubeca |
Scene | Emanuele Luzzati |
Costumi | Santuzza Calì |
Assistente ai costumi | Paola Tosti |
Luci | Luciano Novelli realizzate da Gianni Bertoli |
Maestro del Coro | Francesco Aliberti |
Maestro al fortepiano | Sirio Restani |
Orchestra e Coro e Tecnici del Teatro Carlo Felice | |
Allestimento Teatro Carlo Felice | |
Interpreti: Solisti dell'Accademia di alto perfezionamento e inserimento professionale del Teatro carlo Felice 2022 |
Non ci voleva certo la zingara per “astrologare” vento di burrasca al Carlo Felice: già il bollettino degli ultimi giorni annunciava una certa qual perturbazione dal fronte Coro, che aveva intenzione di far saltare tutti i programmi e di lasciare Prosdocimo con un palmo di naso. Ma invece, in fondo, ci è andata benino: sì, è vero, mancava la luce giusta (i tecnici della sigla sindacale Cgil hanno staccato la spina), ma almeno il Turco è approdato con la sua nave e zingari e turchi erano regolarmente sul palco, forse turbati, ma con turbanti, tutti quelli d’ordinanza, in pieno stile Santuzza Calì (storica creatrice dei costumi). Grande festa quindi in platea, popolata da tanti ragazzi e studenti, nonostante la scuola fosse finita la mattina stessa: e questa sì che è una bella notizia, visto che sono stati pure bravissimi e attenti. E grande festa anche in palcoscenico, con un tripudio di Pulcinella (almeno cinque!), che si danno un bel daffare per aiutare gli “eroi” rossiniani a districarsi, svincolarsi, arrabattarsi nelle trame delle proprie concitate faccende e che, di certo, hanno dato un importante contributo alla riuscita dello spettacolo (Regia Italo Nunziata): tirano le cime della nave, spazzano in terra, aprono le botole segrete, aiutano il Poeta nella faticosa ricerca dell’ispirazione, facendo ogni tanto una capriola e due piroette. E danno verve a una trama certo un po’ meno brillante di tante altre rossiniane. Poi mettiamoci il movimento scenico del teatrino, con quinte che scendono, che salgono, che slittano, tutti pannelli dipinti, in cui non possono certo mancare le tipiche sagome di Emanuele Luzzati, per l’occasione naturalmente napoletane, che fanno capolino e che osservano le avventure frenetiche di spose capricciose, turchi innamorati, amanti traditi; con buona pace, naturalmente, di tutti i “mariti scimuniti” che, pare, non mancano mai.
La cornice meta teatrale è deliziosa e asseconda il teatro nel teatro già insito nell’opera (la figura del poeta esterno alle vicende che interagisce con i personaggi ne è esempio fulgido), le scene si portano benissimo i loro trent’anni e i costumi sono sempre all’ultimo grido. Bravo Lele, un grazie arrivi anche lassù. E a proposito di lassù, vediamo che può dire Rossini. Non è mancata di sicuro la frenesia nemmeno in buca: ci riferiamo, in particolare, al primo atto, il più dinamico dei due. Del resto già l’Ouverture faceva presagire un certo qual fremito, che non sempre però è stato efficace: passaggi troppo veloci, a volte confusi, non impeccabile l’equilibrio sonoro e ritmico. Una caratteristica che abbiamo ritrovato anche nei concertati, che le voci non sempre sono riuscite a reggere, sia come ritmo, appunto, sia nel volume sonoro, palesemente a favore dell’orchestra, il che ha compromesso, in parte, la leggerezza che la partitura richiede, specie in questi momenti d’assieme. Idem per le parti corali. Insomma, la sensazione è stata, a tratti, di una gran fatica da parte dei protagonisti, che probabilmente non sono stati assecondati al meglio; o che forse non sono riusciti a rispondere ad alcune ambiziose esigenze del podio (Sesto Quatrini). Meglio, invece, le parti più liriche, più distese e di maggior intensità. Ma può essere stata la serata, particolarmente attesa anche per il “quasi” debutto del giovane cast uscito dall’Accademia di Alto Perfezionamento del teatro genovese (diciamo “quasi” perché gli artisti hanno già avuto modo di esibirsi in precedenti produzioni). Ma allora veniamo proprio a loro: ottimi in scena, affiatati, dotati anche di quel senso dell’umorismo che è cifra peculiare e indispensabile per gli interpreti rossiniani.
Nota di merito a Nicola Zambon, il Poeta Prosdocimo, brillante, perfettamente calato nella parte, dotato anche di una voce piena e interessante: lo abbiamo trovato migliorato rispetto all’anno scorso e sarebbe curioso riascoltarlo in parti più impegnative. Ha tirato le fila degli intrighi con abilità, arguzia e spirito pronto, portandosi a casa una bella dose di applausi e ovazioni: il vero idolo dei ragazzi del pubblico. Prima di passare ai singoli interpreti, c’è da dire che questi artisti hanno ancora un po’ di cammino da fare, ma si intuisce – come si dice in questi casi – un buon margine di miglioramento, specie per alcuni di loro. Pensiamo a Iolanda Massimo, che ha sostenuto una parte assai complessa con intelligenza musicale e buona padronanza tecnica, dotata di bella voce, più rotonda nei centri che nell’acuto, e di un buon piglio interpretativo; ma anche ad Antonio Mandrillo (Don Narciso) che ha rivelato un genuino gusto musicale e belle potenzialità, nonostante qualche imperfezione nei passaggi all’acuto, non limpidissimi, ma che si intuiscono facilmente risolvibili. Francesco Auriemma è un Don Geronio teatralmente efficace, bene pure la prestazione musicale, anche se la voce ci è sembrata un po’ debole, ma dei problemi di sonorità abbiamo già parlato; bene anche Gabriella Ingenito nei panni di Zaida, convincente e sicura nella parte. Qualche difficoltà in più hanno incontrato Omar Cepparolli (Selim), più solido nel registro centrale, meno a suo agio nei registri estremi, specie in acuto, in cui viene fuori una voce più tesa; e Matteo Straffi (Albazar), di cui abbiamo avvertito un certo sforzo, anche per lui, “in salita”. Apprezzamento sincero ai recitativi al clavicembalo di Sirio Restani, brillanti, mai banali, con un tocco di “napoletanità” e decisamente non scontati, perfettamente in sintonia, insomma, con l’ironia rossiniana.
Le previsioni per i prossimi giorni, già confermate, annunciano un’attenuazione dei fenomeni “temporaleschi”: il Turco quindi può salpare e salutare il suo pubblico "contento". Questa volta illuminato dalle luci, ora accese, della ribalta.
La recensione si riferisce alla Prima del 10 giugno 2022.
Barbara Catellani