Adriana Lecouvreur | Barbara Frittoli |
Maurizio di Sassonia | Marcelo Alvarez |
La principessa di Bouillon | Judit Kutasi |
Michonnet | Devid Cecconi |
Il principe di Bouillon | Federico Benetti |
L'abate di Chazeuil | Didier Pieri |
Mademoiselle Jouvenot | Marta Calcaterra |
Madmoiselle Dangeville | Carlotta Vichi |
Quinault | John Paul Huckle |
Poisson | Blagoj Nacoski |
Un maggiordomo | Claudio Isoardi |
Direttore | Valerio Galli |
Regia, Scene e Costumi | Ivan Stefanutti |
Luci | Paolo Mazzon |
Coreografie | Michele Cosentino |
Maestro del Coro | Francesco Aliberti |
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice | |
Allestimento Associazione Lirica Concertistica Italiana (As.Li.Co) |
La bellezza, le pose sofisticate, l’enfasi, gli sguardi ammaliatori, amore, passione, gelosia; c'est la femme fatale e c'è pure tutto il divismo del primo Novecento, intriso di umori decadenti e incorniciato dalla macchina da presa, emblema “tecnologico” della nascente Settima Arte, sbocciata a cavallo dei due secoli.
E cosa ci sta a fare, davanti ai riflettori, Adrienne Couvreur (in arte Lecouvreur), attrice celebre, regina incontrastata delle scene teatrali parigine del Settecento? Lei, Melpomene, la Musa, amata idolatrata celebrata non solo dal pubblico francese, ma anche da artisti e intellettuali dell'epoca, si trova adesso catapultata all'inizio del secolo scorso, su uno schermo cinematografico, quasi novella Lyda Borelli alla ribalta di un "mondo ancora bianco e nero, fatto di contrasti" e di forti emozioni. È Il regista Ivan Stefanutti a metterla lì e lei, in fondo, ci sta bene. "Adriana è un'attrice che discende dalla stirpe di Sarah Bernhardt: la trovo più somigliante alle "umili ancelle" operanti al momento della composizione dell'opera, che a quelle effettivamente vissute nel XVIII secolo", si legge nelle note di regia. Ed ecco allora il palcoscenico che diventa quasi un set, tra camerini, ante scorrevoli, luci, tutto in stile liberty e tutto rigorosamente giocato sul contrasto tra bianco e nero, le pareti, gli oggetti, gli arredi, i tendaggi, persino i costumi, sontuosi ma di gusto raffinato, perfettamente inseriti nella scena e abbinati al carattere dei personaggi; poi ancora piume, stole, gli accessori, i curati dettagli degli interni, che disegnano un delizioso quadretto Belle Époque, seppur venato di tragica malinconia.
Spumeggiante, vaporosa, intrisa di melodia e colori, costruita magistralmente su giochi timbrici e raffinate armonie, l'opera di Cilea arriva per la prima volta al "nuovo" Carlo Felice, visto che la sua ultima rappresentazione genovese risale al febbraio del 1989, sul palcoscenico del Teatro Margherita. Debutta e piace, grazie appunto all'allestimento garbato e peculiare (As.Li.Co) e grazie anche a una buona realizzazione musicale nel suo complesso. Valerio Galli tiene le redini di un’orchestra vivace e reattiva, in cui spiccano, quando è il momento, le prime parti, buono risulta il bilanciamento tra sezioni, curate sono le sfumature dinamiche, eloquente il discorso melodico; non sempre adeguato, invece, l’equilibrio sonoro con il palcoscenico che, a tratti, risulta coperto e le voci non riescono a emergere.
Ecco poi i protagonisti. Barbara Frittoli veste molto bene i panni della diva e mette le sue doti di artista lirica al servizio di quelle attoriali del personaggio, tratteggiando una Adriana convincente, di grande temperamento, volitiva e sensuale. Dotata di una preziosa musicalità unita a ragguardevoli capacità drammatiche, la Frittoli evolve nel corso della serata dopo un inizio non particolarmente brillante, con un eccessivo vibrato che inficia, in parte, l’esecuzione della celeberrima aria di entrata. Di voce densa e corposa la “rivale”, Judit Kutasi (Principessa di Bouillon), bel timbro scuro, voce condotta con intelligenza musicale, dispone anche lei di buone capacità drammatiche che le permettono di essere molto espressiva. Ed è proprio l’intensità, parlando appunto al femminile, che caratterizza il loro duetto alla fine del secondo atto, davvero ben eseguito, quando l’amore per il Conte genera il violento conflitto emotivo tra le due donne.
Rimaniamo sulla generosità vocale e citiamo Marcelo Alvarez (Maurizio), tenore con bel timbro, voce generalmente ben gestita e omogenea, a volte però troppo spinta, con slanci eccessivi; non particolarmente disinvolto in scena, ha una gestualità sempre un po’ caricata e poco elegante. Bene Devid Cecconi, voce robusta e interessante anche se non proprio levigatissima e dall’emissione non sempre raffinata; il baritono è ben calato nel suo personaggio, corretto ed efficace nei panni di un rassegnato ma paterno Michonnet.
Corretto Federico Benetti (Principe), spicca invece Didier Pieri, il suo Abate è molto ben caratterizzato, la linea vocale è morbida, curato il fraseggio.
Completano il cast Marta Calcaterra, Carlotta Vichi, John Paul Huckle, Blagoj Nacoski, Claudio Isoardi; bene il Coro diretto da Francesco Aliberti e belle le coreografie di Michele Cosentino, interpretate dai danzatori Michele Albano, Ottavia Ancetti e Giancarla Malusardi.
Il rosa, il blu e il giallo appaiono alla fine, a colorare la morte della diva, tragica e teatrale, perfetto epigono a un’esistenza vissuta sempre al centro della scena: l’effigie illuminata potrebbe ricordare giusto la Borelli, che proprio con Adriana fece il suo debutto, nel 1902, chiudendo l’opera con un delicato rimando di simboli e affinità.
E a proposito di Dive, riserviamo un pensiero, con profondo affetto e stima, a Mirella Freni, cui è stata dedicata questa recita genovese: una grande Adriana, una indimenticabile artista. Per tutti noi.
La recensione si riferisce alla Prima del 12 febbraio 2020.
Barbara Catellani