Soprano | Alba Fernández-Cano |
Tenore | Víctor Sordo |
Baritono | Toni Marsol |
Direttore | Josep Vicent |
Direttore del Coro | Sebastjan Vrhovnik |
Regia | Carlus Padrissa |
Assistente alla regia | Pau Domingo |
Coreografie | Mireia Romero |
Costumi | Aitziber Sanz |
Proiezioni | Marc Molinos |
Orchestra Adda Simfònica Alicante | |
Coro della Filarmonica Slovena |
Si è aperto ufficialmente ieri il 73° Festival di Lubiana ed è stata una serata di grande impatto emozionale e anche foriera di riflessioni – spero non banali – per chi scrive.
Die Schöpfung (La Creazione) di Joseph Haydn è un capolavoro talmente noto che non ha bisogno certo di grandi presentazioni e appartiene al genere musicale dell’Oratorio, che si distingue dall’opera lirica anche perché non dovrebbe essere rappresentato scenicamente. In origine l’oratorio aveva il compito di divulgare le Sacre Scritture e perciò il testo era in italiano o latino.
Dall’Italia il genere si diffuse in Europa e in particolare in Inghilterra (Händel) e nei paesi di lingua tedesca (Bach, Haydn). Ovviamente tutto ciò in estrema sintesi, ché ci sarebbero mille puntualizzazioni da fare.
I versi del libretto di Die Schöpfung sono di Gottfried van Swieten, liberamente tratti dalla Genesi e dal poema Paradise lost di John Milton.
Il lavoro, suddiviso in tre sezioni, prevede l’utilizzo di soli, coro e orchestra ed è pervaso da una tinta sorprendentemente cangiante, cupa all’inizio con la celeberrima Ouverture intrisa di musica tesa e contratta che poi si scioglie man mano in un vero e proprio, gioioso e sereno, atto di fede caratterizzato da una solare religiosità che si percepisce palpabile nella terza parte.
Del resto, lo stesso Haydn si è espresso così:
Non sono mai stato così devoto come negli anni in cui lavoravo su “La Creazione”: mi mettevo in ginocchio ogni giorno per implorare Dio di darmi la forza necessaria per finire la mia opera.
Oggi questo repertorio pone, più di un tempo, questioni interpretative e filologiche non irrilevanti.
È musica del Settecento, che guarda avanti, certo, ma sempre immersa nell’humus del Barocco che si percepisce netto nelle pagine corali e nei passaggi in stile fugato. Altrettanto vero è però che Haydn è considerato il compositore che ha traghettato dal Barocco al Classicismo.
La concezione esecutiva del direttore Josep Vicent si pone a metà tra le due opzioni privilegiando una rigorosa scansione ritmica e un suono orchestrale corposo ed energico, che guarda al melodramma senza andare a scapito della luminosità della partitura. Vincent chiede, e ottiene, con il gesto e con lo sguardo, alleggerimenti dall’orchestra e dal coro, e segue scrupolosamente i solisti con un accompagnamento mai soverchiante.
L’Orchestra Adda Simfònica Alicante risponde benissimo e brilla in tutte le sezioni: molto buone le prestazioni delle prime parti, impegnate spesso in passaggi virtuosistici, e in questo senso mi fa piacere segnalare la prova dei legni e in particolare del flauto.
Niente meno che brillante la prestazione del Coro della Filarmonica Slovena, compatto, preciso e con la parte femminile in straordinaria evidenza. Ottima, nel suo contenuto intervento solistico, il mezzosoprano Ana Potočnik.
Sono sembrati all’altezza anche i solisti principali, sia dal lato vocale sia da quello – importantissimo – della pertinenza stilistica: il soprano Alba Fernández-Cano, il tenore Víctor Sordo, e il basso/baritono Toni Marsol.
A questo punto normalmente concluderei con una nota di colore sulle reazioni del pubblico che gremiva la Gallus Hall del Cankariev dom ma…non è così, perché questa produzione di Die Schöpfung aveva, irritualmente, una regia e un allestimento della Fura dels Baus firmato proprio da Carlus Padrissa.
Lo dico subito: produzione lussureggiante e immaginifica, in cui Padrissa sfoggia tutte le note e rutilanti, spettacolari, risorse scenotecniche della Fura.
Le gru che spostano i solisti sul palco e li fanno cantare a mezz’aria, le ipnotiche proiezioni, i costumi con incorporati intere centrali elettriche, le coreografie, i tablet che illuminano i volti dei coristi e come tessere di un puzzle formano fuochi, la vasca piena d’acqua in cui i cantanti si esibiscono, ballano, nuotano, respirano, gorgogliano, i palloncini giganti che vagano per la sala e coinvolgono il pubblico in un didascalico cenno di metateatro, gli artisti del coro che appaiono improvvisamente in galleria, le superficiali frasi fatte su ogni argomento dello scibile umano, l’impegno sociale, l’impegno ambientalista, l’impegno ecologico, il no alla guerra e chissà quanto altro ancora che mi sono perso perché sono un critico musicale modello base: posso seguire contemporaneamente due o tre cose, non un milione, e inoltre ho solo un paio d’occhi, se guardo da una parte non vedo dall’altra.
E pensare che per Die Schöpfung dovrebbero bastare due orecchie.
E penso anche che se durante l’esecuzione di Die Schöpfung il pubblico si mette a ridere non è un bene. E penso ancora che per una volta abbia senso la ritrita frase denigratoria “La musica – rectius, l’oratorio – ha fatto da colonna sonora allo spettacolo del regista”.
Successo travolgente ed entusiasmo alle stelle per tutta la sterminata compagnia artistica.
La recensione si riferisce alla serata del 1° luglio 2025
Paolo Bullo