Nel panorama della musica sacra del primo Seicento, il Vespro della Beata Vergine di Claudio Monteverdi occupa una posizione assolutamente centrale. Pubblicata a Venezia nel 1610 insieme alla Missa in illo tempore in stile palestriniano, questa raccolta ha una duplice valenza: da un lato si presenta come un omaggio alla tradizione contrappuntistica della scuola romana, dall’altro è un manifesto di modernità, carico di arditezze retoriche. Sebbene venga spesso considerato un ciclo unitario, il Vespro si configura piuttosto come una composita antologia, aperta a un’ampia gamma di soluzioni esecutive e destinazioni liturgiche. Monteverdi, maestro ormai consumato del teatro musicale, ci tramanda un’opera deliberatamente polisemica: i testi latini della liturgia mariana sono rivestiti di forme stilistiche cangianti, in cui il mottetto concertato, la sinfonia strumentale, il corale e la polifonia tradizionale coesistono e si intrecciano.
Il titolo stesso, Vespro della Beata Vergine, risulta in realtà assente nella stampa originale, ove compare, invece, una generica indicazione di Musica da Cappella & da Camera. Ciò suggerisce una destinazione più flessibile, forse pensata non tanto per un impiego strettamente liturgico, quanto per uno spazio performativo e dimostrativo, al servizio della candidatura di Monteverdi presso la corte pontificia o, più probabilmente, a quella mantovana. La presenza di elementi teatrali, su tutti l’ariosità dei concertati e l’architettura drammaturgica dell’incipit e del Magnificat, richiama direttamente le esperienze madrigalistiche e operistiche del compositore, suggerendo una sorta di liturgia in forma di spettacolo.
Jordi Savall, con La Capella Reial de Catalunya e Le Concert des Nations, nel concerto previsto fra le anteprime della quarantaduesima edizione del Monteverdi Festival, ha offerto al pubblico che gremiva la Chiesa di San Marcellino una visione coerente, filologicamente attentissima ma al contempo mai accademica del capolavoro monteverdiano, restituendo alla partitura tutta quella ricchezza policroma pregna di tensione spirituale che la caratterizza. La sua è la lettura colta, appassionata, profondamente consapevole di chi ormai da decenni rappresenta un punto di riferimento internazionale nella riscoperta e nella divulgazione della musica antica europea, cui è nota ogni piega espressiva di questo repertorio.
Le voci della Capella Reial si sono distinte tutte, oltre che per l’innegabile bellezza dei vari timbri, per la coesione ed il rigore con cui hanno saputo mantenere, anche grazie ad una intonazione perfetta e a una dizione latina ineccepibile, un equilibrio costante senza sbavature, anche ove il canto di agilità si faceva più ardito.
Altrettanto decisivo il contributo de Le Concert des Nations: l’ensemble ha dosato sapientemente la gamma dinamica, evitando tanto l’enfasi barocca quanto l’asetticità da laboratorio e rivelando una sensibilità agogica di straordinaria raffinatezza.
Quella di Savall non si è rivelata dunque semplicemente come un’esecuzione storicamente informata, ma è stata soprattuto un’interpretazione che ha saputo incarnare il senso profondo del Vespro monteverdiano sia come sublime atto di lode, sia come altissima espressione di intelligenza e innovazione musicale.
Il pubblico, entusiasta, ha tributato a tutti i protagonisti della serata una lunga standing ovation, decretando un successo senza precedenti per la prima serata di un Festival che si preannuncia straordinariamente ricco di eventi imperdibili.
La recensione si riferisce al concerto del 7 giugno 2025.
Simone Manfredini