Henry VIII | Lionel Hote |
Don Gomez de Féria | Ed Lyon |
Le Cardinal Campeggio | Vincent Le Texier |
Le Comte de Surrey | Enguerrand de Hys |
Le Duc de Norfolk | Werner van Mechelen |
Cranmer | Jérõme Varnier |
Catherine d'Aragon | Marie-Adeline Henry |
Anne de Boleyn | Nora Gubisch |
Lady Clarence | Claire Antoine |
Garter Un officier |
Alexander Marev |
Un huissier de la cour | Leander Carlier |
Quatre dames d'honneur |
Alessia Thais Berardi Annelies Kerstens Lieve Jacobs Manon Poskin |
Quatre seigneurs |
Alain-Pierre Wingeinckx Luis Aguilar Byoungjin Lee René Laryea |
Direttore | Alain Altinoglu |
Regia | Olivier Py |
Scene e costumi | Pierre-André Weitz |
Luci | Bertrand Killy |
Coreografie | Ivo Bauchiero |
Maestro dei cori | Stefano Visconti |
Orchestre symphonique et choeurs de la Monnaie | |
Académie des choeurs de la Monnaie s.l.d. de Benoît Giaux |
Sulla scia del pastiche Bastarda, la Monnaie/De Munt prosegue la sua incursione nella casa reale dei Tudor portando in scena il raro Henry VIII di Camille Saint-Saëns. La trama sembra preludere alla donizettiana Anna Bolena: Enrico VIII si separa dalla prima moglie Caterina d'Aragona per sposare la sua nuova favorita, ignaro che questa avesse una precedente relazione con l'ambasciatore spagnolo, Don Gomez de Féria. L'esiliata e morente Caterina possiede una lettera che potrebbe incriminare Anna, ma muore prima di riuscire a consegnarla ad Enrico, combattuta tra dovere verso il Re e il pentimento cristiano; l'opera si conclude con la nuova regina che presagisce il suo tetro destino di fronte ai sospetti del tremendo marito.
In sostanza, un lavoro magniloquente che all'aspetto esteriore ricorda un grand-opéra (l'argomento storico, la presenza dei ballabili) ma che nella sostanza si rivela una composizione di ampio respiro dalle indubbie influenze wagneriane. Il limite intrinseco di quest'opera sta infatti nel suo carattere troppo oratoriale, in cui si è sacrificato il dinamismo teatrale a favore di uno studio minuzioso sulla partitura; Saint-Saëns si basò infatti su autentiche melodie inglesi rinascimentali per le scene di corte. Già Jean Lassalle, creatore del ruolo del titolo, ebbe a dire che "l'orchestra suona incessantemente senza mai riposarsi", mentre Claude Debussy commentò più spietatamente che Saint-Saëns scriveva "con l'anima di un vecchio sinfonista impenitente".
Alain Altinoglu, alla guida di un'opera così complessa, fa lavorare l'Orchestra e i Cori della Monnaie al meglio delle loro capacità. Così i brani dei solisti sono ben accompagnati per far risaltare sia le loro voci sia il tessuto musicale, e le scene d'insieme colpiscono per la potenza narrativa e musicale, come nel ben riuscito quadro del Sinodo che chiude il terzo atto (dove si impone l'ottimo lavoro di Stefano Visconti sui Cori del teatro). Manca forse un linguaggio coerente nel far dialogare i momenti intimi e quelli pubblici dei personaggi, ma come detto tali limiti vanno rintracciati nella natura stessa dell'opera, non nel buon lavoro del direttore.
Segnalo che l’opera veniva eseguita pressoché integralmente: l’unico taglio è stato quello dei ballabili, previsti da spettacolo nella piazza di fronte al teatro durante l’intervallo, ma non eseguiti a causa della pioggia.
Venendo alla compagnia di canto, i solisti impegnati riescono a farsi notare a dispetto dei loro personaggi poco approfonditi psicologicamente, i quali mantengono lo stesso carattere per gran parte dell'opera (Enrico è sempre irruente, così come Caterina è dolente e Anna sfrontata).
Lionel Lhote è un protagonista di grande rilievo, dalle languide mezzevoci e dagli accenti scolpiti, efficacemente passionale tanto nei suoi momenti più sensuali (la romanza "Qui donc commande quand il aime?") quanto in quelli più furenti (il monologo "Ah! Ce pouvoir de Rome", che strappa i primi applausi a scena aperta della serata).
La Caterina d'Aragona di Marie-Adeline Henry si distingue per il bel colore della voce che si espande piena e luminosa nella sala della Monnaie. Si evidenzia tuttavia una certa tendenza a gonfiare i suoni fino al limite, tanto che l'arringa durante il Sinodo ("À ta bonté souveraine", altro brano che scatena il gradimento del pubblico) si chiude con alcuni acuti un po' urlati.
La Bolena di Saint-Saëns deve molto all'Eboli verdiana, col suo ondeggiare tra bramosia amorosa e tormento. Nora Gubisch si cala nei panni del personaggio con uno strumento vocale ben tornito, che nel corso dell'opera tende però a perdere di consistenza. Non l'aiuta anche il disegno registico, di cui parlerò in seguito, che la vuole costantemente recitare sopra le righe.
Radici verdiane si ravvisano pure nel Cardinal Campeggio, una sorta di "cugino buono" del Grande inquisitore, facile alla scomunica ma anche empatico e paterno verso Caterina. Vincent Le Texier rende bene lo zelo religioso del legato papale, tra furore estatico e dolore per l'imminente scisma che non può ostacolare.
Sebbene la voce non sia particolarmente generosa di armonici, Ed Lyon si segnala per una linea di canto sobria ed elegante, tratteggiando un Gomez nobile e sdegnoso.
Puntuali gli interventi di tutti i comprimari, tra i quali spiccano i cortigiani Enguerrand de Hys (Surrey), Werner Van Mechelen (Norfolk) e Claire Antoine (Lady Clarence), più complici che testimoni delle nefandezze di Enrico.
Venendo alla parte visiva dello spettacolo, nel mettere in scena la sua sesta produzione alla Monnaie Olivier Py non tradisce il proprio linguaggio creativo. La macchina scenica di Pierre-André Weitz, che firma anche i costumi, è un meccanismo perfettamente funzionante e cangiante, che mostra questa corte dei Tudor cupa dove dominano i toni funebri del nero squarciati di tanto in tanto dal rosso vivido della lussuria e del sangue. I richiami al rinascimento e al manierismo italiano (la fuga prospettica del Teatro Olimpico, le tele di Tintoretto calate dall’alto e riprese dai ballerini durante i loro tableaux vivants) più che riferimenti culturali di alto livello diventano volgare ostentazione dello status abbiente del sovrano. Le luci di Bertrand Killy sono perfettamente adeguate al contesto.
Mentre l’arte si tramuta in strumento di propaganda, il potere di Enrico diventa tirannide: costringe Gomez ad assistere alla seduzione della sua promessa sposa, umilia Caterina e scandalizza Campeggio amoreggiando pubblicamente con Anna, mentre quest’ultima una volta incoronata deve subire l’oltraggio di vedere il marito dispensare a Lady Clarence gli stessi favori che aveva ricevuto lei prima di diventare regina.
È pur vero che non tutto funziona a dovere: per risolvere l’horror vacui e l’eccessiva staticità dell’opera Py esaspera i contrasti tra i personaggi e inserisce controscene anche laddove non sarebbero necessarie: la caratterizzazione di questa Anna così tronfia da impugnare una pistola e sparare (a salve) a tutti gli altri personaggi, forte dell’impunità che gode grazie alla sua relazione con il re, alla lunga diventa davvero stancante.
Mentre le coreografie di Ivo Bauchiero sono tutt’altro che invasive (soprattutto quella di Enrico/Barbablù con le sei mogli all’inizio del quarto atto), la nudità parziale o integrale dei ballerini si rivela fine a sé stessa, specialmente nella trasformazione della marcia del Sinodo in un amplesso di corpi scheletrici travolti dall’ondata del diluvio universale.
Non del tutto chiaro è invece il motivo di far vestire tutti i personaggi in abiti ottocenteschi, eccetto Caterina, l’unica “in epoca”, ed Enrico che indossa la giacca immortalata nel celebre ritratto di Holbein solo per farsi fotografare. L’ultimo quadro dell’ultimo atto, che da libretto dovrebbe rappresentare il castello dove viene reclusa Caterina, viene ambientato in una stazione del treno dove la parete di fondo viene sfondata da una locomotiva: è l’ex regina che si distacca dalla vita terrena per il suo ultimo viaggio, o la metafora del progresso umano che distrugge l’arte e la bellezza pur di arrivare ai suoi scopi?
Pubblico partecipe e numeroso che si dimostra generoso verso gli interpreti, persino divertito dallo spettacolo (non solo all’arrivo della locomotiva, ma anche all’apparizione di Enrico su un vero cavallo a inizio atto terzo). Vive acclamazioni per tutti, con punte entusiastiche verso Le Texier, Henry e Lhote.
La recensione si riferisce alla recita di sabato 13 maggio 2023.
Martino Pinali