Dorian Gray | Laura Müller |
Basil | Manuel Nuñez Camelino |
Sybil | Giulia Bolcato |
James | Ugo Tarquini |
Alan | Alexandre Baldo |
Gladys | Elena Caccamo |
Harry | Mathieu Dubroca |
Direttore | Rossen Gergov |
Regia | Stefano Simone Pintor |
Scene | Gregorio Zurla |
Costumi | Alberto Allegretti |
Luci | Fiammetta Baldiserri |
Video | Virginio Levrio |
Orchestra Haydn di Bolzano e Trento |
Dopo Alice e Peter Pan - The Dark Side, il percorso di rilettura dei capisaldi della letteratura inglese del secondo Ottocento avviato dalla Fondazione Haydn al Teatro Comunale di Bolzano termina con Dorian Gray, ultima commissione di Matthias Lošek che con questa stagione conclude il suo incarico di direttore artistico delle stagioni d’opera (ruolo che dalla prossima stagione passerà a Giorgio Battistelli, già direttore artistico della sinfonica).
Prima dell’adattamento di Matteo Franceschini e Stefano Simone Pintor, rispettivamente compositore e librettista, si contano su una mano le versioni operistiche del Ritratto di Dorian Gray, soggetto che ha goduto di maggior fortuna in campo cinematografico che in quello teatrale e musicale. Il taglio drammaturgico del testo in inglese di Pintor sembra infatti rimandare proprio alla cinematografia, specificatamente a quella di Wes Anderson e Christopher Nolan: la vicenda viene suddivisa in sei scene, ciascuna dedicata a ogni personaggio che subisce l’influenza del protagonista: il pittore Basil Hallward, l’attrice Sibyl Vane e suo fratello James, il chimico Alan Campbell, lady Gladys Monmouth e lord Harry Wotton.
Queste scene non vengono proposte in ordine cronologico ma in esse ci sono una serie di rimandi che le legano tra di loro e approfondiscono i rapporti tra i personaggi, le cui vicende narrative vengono ampliate rispetto al testo originario di Oscar Wilde. Gli altrimenti marginali ruoli di Alan e Gladys diventano qui ex amanti, separati dopo la nascita di una bambina che la donna non riconosce, con il primo trasformato in un vero e proprio Rigoletto che finisce con lo sfregiare con l’acido l’innocente figlia anziché l’odiato giovane che l’ha ricattato per disfarsi del cadavere di Basil, e la seconda resa una ninfomane che si prostituisce con la compiacenza del marito, il quale la ripudia dopo che la donna decide di seguire la tremenda filosofia (a)morale di Dorian.
Tanto più forte si fa l’influenza del protagonista sulle sue vittime, quanto più rara si fa la sua presenza in scena. Nella seconda parte dello spettacolo i suoi interventi sono pressoché sporadici, e hanno più risalto la follia di James, che cerca vendetta per il suicidio della sorella, e l’ossessione di Harry per la ripugnante creatura che ha contribuito a costruire. Dorian non muore con l’accoltellamento del suo ritratto, ma con la morte stessa degli altri personaggi che si rispecchiano e si riconoscono nel mostruoso riflesso delle loro personalità deformate dai loro stessi vizi (le iniziali del protagonista sono accomunate, in un gioco di parole interno al libretto di Pintor, a quelle del termine doppel-gänger, traducibile come “doppio”, “sosia”).
Al raffinato eclettismo del libretto corrisponde un’orchestrazione che non va tanto per il sottile e fa ampio uso della musica elettronica: clangori, dissonanze e glissandi contribuiscono ad immergere l’ascoltatore in un’atmosfera straniante e tumultuosa che asseconda le isterie dei suoi personaggi. Le loro linee vocali sono volutamente frammentarie, in un continuo alternarsi di momenti conversati ed altri cantati, anche se l’amplificazione cui sono sottoposti complica non poco la comprensione del testo. I brani più squisitamente lirici che Franceschini scrive sono dedicati a Sibyl, ma la sua precoce morte fa sparire dalla partitura qualsiasi ventata di leggerezza.
Pur facendo i conti con un’amplificazione a tratti soverchiante, la direzione di Rossen Gergov tiene salde le redini senza far crollare il dialogo tra l’Orchestra Haydn e il palco. Funzionale l’apporto della compagnia vocale, i cui membri, alle prese con ruoli molto caratterizzati cui non vengono offerte ampie sfaccettature psicologiche (sia drammaturgicamente che musicalmente parlando), si rivelano interpreti credibili e di spessore.
Giulia Bolcato tratteggia una Sibyl follemente innamorata ma per nulla bamboleggiante, così come Elena Caccamo è una Gladys sensuale e tutt’altro che volgare. Lo squillante Basil di Manuel Nuñez Camelino, il solido Alan di Alexandre Baldo e il geloso James di Ugo Tarquini descrivono efficacemente le ossessioni distruttive dei loro personaggi verso Dorian Gray, mentre Mathieu Dubroca è un Lord Harry adeguatamente istrionico ma poco a fuoco vocalmente.
Lascio volutamente per ultimo il ruolo del titolo interpretato da Laura Müller: nel contesto di un’opera contemporanea la scelta di una cantante en travesti per Dorian Gray se all’inizio può spiazzare a conti fatti si rivela in sintonia con la natura straniante e allucinata della partitura. Il mezzosoprano americano si rivela tuttavia più credibile vocalmente, mentre scenicamente tratteggia un personaggio impacciato e poco carismatico.
Note positive anche dall’allestimento dello stesso Pintor, che si avvale dello stesso team registico con cui aveva curato la produzione di Falcone due anni fa a Trento. Le scene di Gregorio Zurla permettono agili e caleidoscopici cambiscena, mentre i costumi di Alberto Allegretti collocano l’ambientazione dell’opera nella contemporaneità. Di bell’impatto il disegno luci di Fiammetta Baldiserri.
Il pubblico presente, molto interessato dalla proposta, ha tributato un cortese successo alla produzione, con qualche timida ovazione al compositore e al librettista dell’opera.
La recensione si riferisce alla recita di domenica 17 marzo 2023.
Martino Pinali