Il Conte di Walter | Marko Mimica (3 giugno) |
Abramo Rosalen (4 giugno) | |
Rodolfo | Gregory Kunde (3 giugno) |
Giuseppe Gipali (4 giugno) | |
Federica | Martina Belli (3 giugno) |
Sofia Koberidze (4 giugno) | |
Wurm | Gabriele Sagona |
Miller | Franco Vassallo (3 giugno) |
Leon Kim (4 giugno) | |
Luisa | Myrtò Papaptanasiu (3 giugno) |
Marta Torbidoni (4 giugno) | |
Laura | Veta Pilipenko |
Un contadino | Haruo Kawakami |
Direttore | Daniel Oren |
Regia, scene, costumi e luci | marionanni |
Maestro del coro | Gea Garatti Ansini |
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna |
Luisa Miller di Giuseppe Verdi non si vedeva da trent’anni al Comunale di Bologna, che tra l’altro non è nemmeno il teatro che ha più trascurato in Italia questo titolo (a Firenze, per fare un esempio, è assente da cinquantasei anni). Presentata al San Carlo di Napoli l’ 8 dicembre del 1849 con buon successo, cadde in oblio nella seconda metà del secolo come molti lavori del giovane Verdi, che suscitarono un rinnovato interesse di pubblico e critica con la Verdi Renaissance in Germania a partire dagli anni venti del Novecento. In Italia fu a Firenze che l’opera riprese lo zoppicante cammino, nel 1937, grazie alla coppia Giacomo Lauri Volpi e Maria Caniglia (in compagnia di Mario Basiola, Tancredi Pasero, Ninì Giani, con Vittorio Gui sul podio), che ripropose il titolo con grande successo anche a Roma (1938, con Tullio Serafin e 1949, con Gabriele Santini). Il fascino di Luisa Miller consiste nella sua posizione di passaggio tra i cosiddetti anni di galera (di cui rimangono alcuni residui, ad esempio, nel gran duetto tra i due bassi del secondo atto), miscelati con i fermenti che porteranno di lì a poco prima a Stiffelio e poi ai tre capolavori della cosiddetta trilogia popolare. Fermenti anticipatori di quello che sarà il grande Verdi, già presente magnificamente nel finale primo e in tutto il terzo atto.
Myrtò Papatanasiu è Luisa il 3 giugno. Era la prima volta che l’ascoltavo dal vivo, benché la sua carriera superi i tre lustri. Al momento attuale trovo la vocalità del soprano greco (stando almeno alla recita del 3 giugno) piuttosto disuguale, con una prima ottava piuttosto povera mentre salendo lo strumento acquista espansione, fino ad estremi acuti (si 4 e soprattutto do 5) sonori ma talvolta non privi di tensione, palesando le origini che la vedevano dedita a ruoli più leggeri, soprattutto belcantistici. Il temperamento non le manca ed è capace di diversificare i vari momenti dell’opera con un fraseggio vario, grazie ad una bella gamma di accenti e nuances. È anche una buona attrice, è alta e slanciata e sa valersi della sua bella figura nella costruzione del personaggio. Ho però avuto l’impressione che l’artista sia arrivata alla “prima” un poco stanca, come sembravano denunciare alcune lievi imprecisioni esecutive (ad esempio nello scabrosissimo quartetto a cappella del secondo atto), oltre che ad una semplificazione di “La tomba è un letto sparso di fiori” con la rimozione della nota più acuta nel picchettato finale. Cose che le hanno valso, tra i generali applausi, contestazioni (poche) a mio parere del tutto immeritate.
Marta Torbidoni (Luisa il 4 giugno) ha voce più omogenea della collega e soprattutto più fresca. Il ruolo di Luisa le si confà, nonostante che i mezzi vocali siano quelli di un lirico puro. Palesa qualche piccola incertezza nella terribile cavatina “Lo vidi, e ‘l primo palpito”, che credo di non aver mai sentito rendere senza macchia alcuna in esecuzioni dal vivo; ma poi realizza una prova in crescendo,fino ad un terzo atto del tutto coinvolgente. La voce è di bel timbro, sana e ben proiettata. Si richiederebbe forse una maggiore ampiezza in qualche momento in cui la scrittura è più tesa, ma Luisa è un personaggio fondamentalmente lirico, dolce vittima designata dei “poteri forti”. Inoltre l’interprete in quest’opera deve essere capace di eseguire alcuni passaggi di coloratura non trascendentali ma sufficienti a mettere in difficoltà certi sopranoni d’antan, avere elasticità ed essere padrona delle sfumature dinamiche. Rispetto alla Papatanasiu la Torbidoni ha meno carisma scenico, in questo non aiutata da una regia, o meglio da una “mise en espace” a tratti suggestiva, più spesso generica, ma poco accorta riguardo alla recitazione dei solisti.
Debuttante nell’opera lirica marionanni (nome d’arte di Mario Nanni), progettista e artista della luce, programmaticamente rifugge dalla teatralità (anche se io direi semplicemente dal teatro). Nell’intervista presente nel programma di sala il responsabile unico della parte visiva (regia, scene, costumi e luci) afferma di aver chiesto ai cantanti “di concentrarsi al massimo sul canto e non di privilegiare il recitativo… quello che deve vincere è il canto”. E per fare questo si isolano spesso i solisti al proscenio come nelle regie più tradizionali. Si ricercano, con l’aiuto di “scenografie di luce” immagini bidimensionali, che rievochino un quadro e naturalmente le suppellettili sceniche sono ridotte all’osso: un albero, un tavolo, una sedia, un grande disco che appare in più occasioni al seguito del Conte di Walter (simbolo del potere?). I costumi non sono databili : si va dalla lunga veste candida di Luisa, all’abito da sera anni venti-trenta (?) di Federica, alla cappa scura con largo cappuccio di Wurm, che sembra uscito da un fotogramma del Nome della rosa. Il coro e Laura, sempre immobili, allineati, scuri, formano una massa indistinta e un poco inquietante. Poi da un artista della luce ci si sarebbe aspettati quantomeno effetti che si discostassero un po’ dalla monocromia imperante in questo spettacolo.
Tornando agli interpreti delle due serate, uno dei protagonisti assoluti è sicuramente Gregory Kunde, Rodolfo il 3 giugno. Il tenore americano ha compiuto da poco sessantotto anni, cosa che non può non ripercuotersi parzialmente sul timbro, soprattutto nel registro centrale, ma in maniera non tale da compromettere il risultato della prova. Intatta è invece la spavalderia dell’acuto, ancora vittorioso, oltre che nelle note come da spartito, nello sfolgorante do 4 aggiunto in chiusura della cabaletta “L’ara o l’avello apprestami”. Ma Kunde riesce ancora a dominare il legato dando una lettura emozionante di “Quando le sere al placido”, che suscita un’ondata di applausi. Inoltre il carisma è ancora intatto e l’accento fiero e mordente.
Il ruolo di Rodolfo è uno dei più complessi del repertorio verdiano, che equivale a dire uno dei più complessi tout court, esigendo un tenore dotato di voce elastica, flessibile, in grado di esprimere la freschezza del giovane innamorato, alternando gli abbandoni liricissimi dell’aria agli slanci disperati del finale primo, della cabaletta del secondo e soprattutto del drammatico terzo atto. Si potrà non trovare Giuseppe Gipali ideale per la parte, ma il tenore albanese mi ha stupito per la sicurezza con cui ha portato a termine una prova tanto impegnativa. La proiezione vocale (per un certo periodo il suo tallone d’Achille) è buona, l’accento convinto (se non vario), la musicalità buona. A voler essere pignoli ci sono stati un paio di suoni sporchi (il si 3 de “il core io le trapasso” e il famigerato “nel tremendo suo furor” del terzo atto), oltre che un’incertezza musicale dovuta probabilmente ad una mancata intesa col direttore. Ma si tratta di poca cosa a fronte della dimostrazione della serietà professionale di un artista che meriterebbe di essere maggiormente utilizzato dai teatri.
Franco Vassallo (Miller il 3 giugno) ha voce sana e sonora e talvolta ne fa un uso un poco sproporzionato alle caratteristiche del personaggio, fondamentalmente lirico, in cui l’amore e la dolcezza del padre dovrebbe prevalere sul soldato che fu. Molto applaudito nella prima parte dell’opera, il baritono milanese appare meno a suo agio nel terzo atto, momento in cui la figura del genitore emerge a tutto tondo. Comunque i suoni ampi che riempiono il teatro convincono l’uditorio e Vassallo alla fine è uno degli interpreti più applauditi.
Il Miller alternativo è Leon Kim. Il baritono coreano è in regola come intenzioni espressive, ma benché dotato di vocalità che probabilmente lo destinerebbe ad un repertorio meno gravoso, riesce comunque a portare a casa un risultato senz’altro dignitoso.
Consensi incondizionati per il Conte Walter di Marko Mimica (3 giugno), basso ancora giovane che ha raggiunto una indubitabile maturità vocale ed espressiva, con in più una buona autorità scenica. Buon successo nello stesso ruolo anche per Abramo Rosalen, dotato da madre natura di una voce piuttosto rigogliosa che andrebbe incanalata con maggior cura, soprattutto nel registro acuto, non sempre ben sfogato, forse anche a causa di un dispendio eccessivo di energie nel registro centrale. Ma l’artista è giovane e talentuoso e avrà tempo per affinare le sue doti.
Federica è un ruolo di contralto e né Martina Belli (3 giugno), né Sofia Koberidze (4 giugno) lo sono. La seconda mi sembra però sia uscita meglio dal cimento, tra l’altro con un’esecuzione impeccabile del difficile vocalizzo che chiude il recitativo prima di “Dell’aule raggianti” (spesso sede di orrori vocali anche da parte di stimate professioniste).
Buono Gabriele Sagona, Wurm presente in entrambe le recite, più a fuoco in quella del 4 giugno, ma ammirevole comunque per voce, equilibrio espressivo (sempre difficile da raggiungere in questo personaggio così “estremo”), portamento scenico.
Da lodare l’apporto della giovane Veta Pilipenko come Laura (sostituta di Eleonora Filipponi) e bene anche Haruo Kawakami (un contadino), della Scuola dell’Opera del Teatro Comunale di Bologna.
Daniel Oren sul podio oscilla (come gli capita spesso in Verdi) tra eccessivi clangori (ad esempio la sinfonia) ed eterei assottigliamenti, sicuramente graditi dalle gole dei cantanti che se ne giovano per frequenti sfumature espressive, talvolta perdendo di vista la continuità narrativa e la tensione di certi passi. Però alcuni momenti di intensa liricità (vedi il terzetto finale) sono benvenuti e contribuiscono ad innalzare il livello della recita.
Intenso successo per tutti, con particolari punte di gradimento rivolte a Oren, Kunde, Vassallo e Torbidoni.
La recensione si riferisce alle recite del 3 e 4 giugno 2022.
Silvano Capecchi