Enrico l'Uccellatore | Albert Dohmen |
Lohengrin | Vincent Wolfsteiner (13 novembre) |
Daniel Kirch (15 novembre) | |
Elsa di Bramante | Martina Welschenbach (13 novembre) |
Anna-Louise Cole (15 novembre) | |
Telramund | Lucio Gallo |
Ortrud | Ricarda Merbeth (13 novembre) |
Anna Maria Chiuri (15 novembre) | |
Araldo | Lukas Zeman |
Primo cavaliere | Manuel Pierattelli |
Secondo cavaliere | Pietro Picone |
Terzo cavaliere | Simon Schnorr |
Quarto cavaliere | Victor Shevchenko |
Primo paggio | Francesca Micarelli |
Secondo paggio | Maria Cristina Bellantuono |
Terzo paggio | Eleonora Filipponi |
Quarto paggio | Alena Sautier |
Direttore | Asher Fisch |
Regia, scene, luci, video | Luigi De Angelis (Fanny & Alexander) |
Drammaturgia e costumi | Chiara Lagani |
Maestro del Coro del Teatro Comunale | Gea Garatti Ansini |
Maestro del Coro del Teatro Accademico dell'Opera e Balletto ucraino "Taras Schevchenko" | Bogdan Plish |
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna | |
Coro del Teatro Accademico dell'Opera e Balletto ucraino "Taras Schevchenko" |
Il primo di novembre del 1871, grazie a due instancabili promotori (il sindaco Camillo Casarini, in carica dal 1869, e il suo alleato nel progetto Angelo Mariani dal 1860 al Comunale) andò in scena a Bologna la prima italiana del Lohengrin, primo spettacolo wagneriano rappresentato nel nostro paese, nella versione ritmica di Salvatore Marchesi, baritono, compositore, traduttore, librettista e marito di Mathilde Marchesi, con la quale fondò una scuola di canto. Mariani fu uno dei primi precursori della direzione d’opera come l’intendiamo oggi, non più divisa tra direttore d’orchestra (di solito il primo violino) e maestro concertatore, ma interprete globale dell’opera d’arte. Per risollevare le sorti del Comunale piombato in una crisi profonda Mariani provvide a riorganizzare l’orchestra e ad ampliare il repertorio. In quest’ottica si colloca l’impresa di far conoscere ai bolognesi le opere del maestro tedesco e la sala del Bibiena poté ottenere il vanto di programmare ben cinque titoli wagneriani in prima italiana. A Bologna, infatti, oltre a Lohengrin, si terranno le prime italiane di Tannhäuser(1872), Il vascello fantasma (1877), Tristano e Isotta 1888) e Parsifal (1914), tutte opere in programmazione a partire dal prossimo anno al Teatro Comunale, o meglio nella nuova sede temporanea in zona Fiera (a parte Tristan e Lohe ngrin già rappresentate).
Lohengrin andata in scena con grandissimo successo ebbe vasta eco anche sulla stampa europea; successo che ebbe conseguenze profonde nel tessuto culturale e persino politico del tempo (si assistette perfino ad interventi in parlamento dove si accusarono i conservatòri di tendenze esterofile a danno della tradizione italiana). Ma si trattò entro certi limiti anche di un fenomeno popolare e la “wagnerite”, anzi, la” lohengrinite” si estese perfino alle profumerie, alla moda e alle pasticcerie. Anche Verdi volle assistere ad una replica dell’opera (il 19 novembre) e annotò sullo spartito le sue impressioni, alcune positive, ma per lo più assai critiche, giungendo infine alla conclusione di un’ “…impressione mediocre. Musica bella quando è chiara e vi è il pensiero. L’azione corre lenta come la parola: quindi noia. Effetti belli di strumenti. Abuso di note tenute e riesce pesante. Molta verve ma scarsa poesia e finezza. Nei punti difficili, cattiva sempre”.
Richard Wagner nella sua autobiografia (“La mia vita”) racconta una sua estate in Boemia. Si era portato come letture le poesie di Wolfram von Eschenbach e l’epopea del Lohengrin. Dopo essersi inoltrato nei boschi ed essersi sdraiato presso un ruscello, continua: “…crebbe in me un’angosciosa agitazione: Lohengrin mi stava improvvisamente davanti, tutto armato, e tutta la materia prendeva forma drammatica con la più grande esattezza di particolari.” Ed è proprio da questa immagine che Luigi De Angelis (Fanny e Alexander), regia, scene, luci e video, con la collaborazione di Chiara Lagani (costumi e drammaturgia), parte. Se l’inizio dello spettacolo è intrigante e ben realizzato, col procedere dell’azione la figura del compositore (l’attore Andrea Argentieri) diviene accessoria, se non superflua. Il primo atto si apre in un’aula di tribunale (che rivedremo al terzo) per il resto la scena è spoglia con una parete nel fondo su cui scorrono proiezioni. Siamo grosso modo verso la metà del secolo scorso e il tutto si svolge in un’atmosfera onirica, che tuttavia non intacca quasi mai la drammaturgia originale dell’opera. Assai discutibile poi la scelta, soprattutto se si hanno a disposizione un tenore non di primo pelo e dal fisico pletorico (13 novembre) e un soprano sovrappeso (15 novembre), di farli giocare a rimpiattino prima dell’inizio del duetto del terzo atto.
Asher Fisch, dopo il suo non esaltante Otello del giugno scorso, è qui nel suo elemento naturale, proponendo una lettura di buon respiro, dal bel passo teatrale, con sonorità talvolta fin troppo esuberanti che tuttavia mai prevaricano le voci. In definitiva una direzione solida, che ottiene dall’Orchestra del Comunale un bel suono più denso che trasparente, in questo poco in sintonia con la parte visiva, che fa del sogno e dell’atmosfera visionaria il suo carattere distintivo. Oltre che all’orchestra lodi anche al Coro del Teatro Comunale, in questa occasione rinforzato dal Coro del Teatro Accademico Nazionale dell’Opera e Balletto Ucraino “Taras Shevchenko”, e ai loro direttori Gea Garatti Ansini e Bogdan Plish,
Purtroppo i maggiori punti deboli di questa produzione si rivelano essere i due interpreti del ruolo protagonistico, Vincent Wolfsteiner (13 novembre) e Daniel Kirch (15 novembre). Il primo ha iniziato tardi lo studio del canto e vanta già una carriera più che ventennale, centrata soprattutto sui più pesanti ruoli wagneriani. Inizia con un addio al cigno piuttosto problematico e difficoltà di intonazione e debito di freschezza vocale si manifestano quasi tutte le volte che sono necessari suoni sfumati, elegiaci o amorosi. Un po’ meglio vanno le cose nel canto declamato, ma stando a questa mia unica esperienza di ascolto non mi sembra che Lohengrin rientri nei suoi ruoli di elezione. Non meglio vanno le cose con Daniel Kirch, già Bacco nell’Ariadne auf Naxos del marzo scorso e Kaufmann in Jakob Lenz nel 2012, che ha dalla sua solo un fisico più gradevole del collega. Ma il timbro grigiastro, la carenza di sfumature e morbidezza, la mancanza di tenuta che lo fa arrivare ad un finale abbastanza problematico, lasciano in ombra anche i momenti più gradevoli dell’esecuzione.
Martina Welschenbach(13 novembre) Elsa adolescenziale biancovestita, come voluta dal regista, ha la morbidezza, la soavità richieste dal ruolo; ed è capace anche di qualche slancio appassionato. Anna-Louise Cole (15 novembre) ha voce più sfogata in alto, anche se risulta meno poetica della collega. Ma in definitiva si tratta di un buon soprano lirico che risolve il ruolo più che dignitosamente. Mi meraviglia piuttosto vedere nel suo curriculum impregni come le tre Brünnhilde e Turandot.
Lucio Gallo (presente in entrambe le recite) è uno dei pochi artisti italiani ad aver frequentato con una certa regolarità il repertorio tedesco in lingua originale: Wagner, soprattutto, ma anche Beethoven, Berg, Henze, Brahms, d’Albert, Orff. Quasi quarant’anni di carriera non hanno intaccato il suo strumento, sonoro, fermo, né la sua sottigliezza espressiva, che disegna un Telramund fiero e poi piagato ma non domo, né più né meno che nell’ultima produzione bolognese dell’opera (2002) diretta da Gatti.
Nel ruolo di Ortrud si alternano Ricarda Merbeth (13 novembre) e Anna Maria Chiuri (15 novembre). La prima, dalla voce ampia, di notevole impatto sonoro, punta molto sulla forza dell’accento anche a scapito della levigatezza vocale. Abbiamo così un personaggio veemente, spietato, superbo, in cui anche le asperità vocali concorrono a definire una figura di grande rilievo drammatico. Più analitico il fraseggio della Chiuri, che mette in rilievo la gelida calcolatrice, la serpentina doppiezza, mentre la cantante mostra un poco la corda quando la tensione si inasprisce e impegna arditi slanci nel registro acuto.
Corretto ma in difetto di proiezione Lukas Zeman (Araldo) mentre Albert Dohmen sfoggia classe e carisma da vendere, non minimamente intaccati dalla lunga carriera, nel ruolo di Enrico l’Uccellatore.
Corretti e sicuri i Quattro Cavalieri accoliti di Telramund (Manuel Pierattelli, Pietro Picone, Simon Schnorr, Victor Schevchenko) e i Quattro Paggi (Francesca Micarelli, Maria Cristina Bellantuono, Eleonora Filipponi, Alena Sautier).
Nel ruolo muto di Gotfried si alternano Federico Simone Cetera e Alessandro Antonino.
Ala termine applausi molto calorosi, indirizzati a tutti i responsabili della parte musicale, con particolare preferenza per Asher Fisch, Lucio Gallo, Ricarda Merbeth e Martina Welschenbach. Successo, solo inquinato da un paio di contestazioni molto sonore, anche per Luigi De Angelis.
La recensione si riferisce alle recite del 13 e 15 novembre 2022.
Silvano Capecchi