Manon Lescaut | Erika Grimaldi |
Il Cavaliere Renato Des Grieux | Luciano Ganci |
Lescaut | Claudio Sgura |
Geronte di Ravoir | Giacomo Prestia |
Edmondo | Paolo Antongnetti |
Un musico | Aloisa Aisemberg |
Un lampionaio | Cristiano Olivieri |
Il maestro di ballo | Bruno Lazzaretti |
Un comandante di Marina | Costantino Finuccci |
L'oste / Un sergente degli arcieri | Kvangsik Park |
Direttrice | Oksana Lyniv |
Regia | Leo Muscato |
Scene | Federica Parolini |
Costumi | Silvia Aymonino |
Luci | Alessandro Verazzi |
Maestro del coro | Gea Garatti Ansini |
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna | |
Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna |
Il teatro bolognese vanta tra i suoi pregi quello di rifuggire dalla banalità, tanto nella scelta dei titoli quanto nei cast. Così nell'anno del centenario dalla scomparsa di Puccini la Fondazione Teatro Comunale rende omaggio al compositore toscano inaugurando il cartellone 2024 con un nuovo allestimento di Manon Lescaut, titolo invero piuttosto popolare, ma anche tra i più ostici - e quindi meno rappresentato di quanto si dovrebbe - per la difficoltà di trovare voci adatte ai due ruoli principali. Nella pletora di rappresentazioni di Tosca, della Bohème, di Butterfly e di Turandot che ci attendono quest'anno, ben venga quindi una Manon Lescaut proposta con un doppio cast e con molti nomi al debutto nei propri ruoli.
A Leo Muscato è spettato il non semplice compito di creare uno spettacolo nello spazio particolare del Comunale Nouveau, nel quale è programmata l'intera stagione operistica. Già dopo poche produzioni si era intuito come la struttura - ancorché comoda, con un foyer moderno e accogliente e con la sala caratterizzata da una buona visibilità per il pubblico - soffra non poco per la dimensione del palcoscenico, assai largo, ma poco profondo e, soprattutto, pochissimo sviluppato in altezza e non attrezzato per cambi di scena complessi.
Ne soffrono gli spettacoli provenienti da altri teatri, che devono essere inevitabilmente adattati e ridotti, ma ne soffre anche una nuova produzione nata apposta per questo palcoscenico, a maggior ragione in un'opera in quattro atti dalla drammaturgia frammentaria come Manon Lescaut, nella quale ogni parte è ambientata in luoghi diversi (anzi, di rado sono così diversi nei titoli del grande repertorio...), che deve invece essere concepita almeno in parte all'interno di una scena fissa. Più dell'esito complessivo, viene così da rilevare l'abilità di Muscato nel fare di necessità virtù e offrire una sua personale visione dell'opera, che in questa occasione si svolge tutta sulla sabbia del “deserto” (più propriamente la “landa sterminata”) dell'atto finale, con le scene essenziali e dai cambi relativamente semplici realizzate da Federica Parolini che in qualche modo suggeriscono i diversi ambienti. La vicenda è spostata più o meno in epoca contemporanea a Puccini, come suggerito dai costumi che Silvia Aymonino crea con gusto più vistoso di quanto le è solito.
Muscato fa interagire con mestiere le masse e i solisti, lasciandosi prendere la mano da qualche tocco un po' eccessivo (l'urlo sguaiato di una delle deportate nel terzo atto) e dando l'impressione - nel far agire, come si diceva, i personaggi sulla sabbia sin dal primo atto - di suggerire una sorta di racconto in flashback, di versione tragica dell'opera in cui il destino dei protagonisti, sin dalle prime battute, è già segnato e proiettato verso l'epilogo nella landa della Louisiana, dove si spegne la giovane vita di Manon.
Tale lettura registica è peraltro coerente con quella direttoriale di Oksana Lyniv, che della partitura pucciniana privilegia l'aspetto drammatico rispetto agli altri registri, pure presenti nell'opera, quello sensuale, quello della gioventù spensierata e ingenua, quello delle parentesi leziose e civettuole. Al debutto nel titolo, la direttrice ucraina parte lancia in resta, come già le era successo in altri titoli del repertorio italiano, e propone una sorta di corsa verso la morte, impetuosa non tanto per i tempi, quanto per le sonorità sempre spinte verso il forte o il fortissimo. Una direzione più sinfonica che operistica, dove il ribollire orchestrale della sempre ottima compagine bolognese è in più momenti invadente e preponderante nei confronti del palcoscenico. Parafrasando la celebre battuta che Dino Risi riservò a Nanni Moretti, in alcuni momenti verrebbe insomma da chiedere alla direttrice e all'orchestra di scansarsi per farci ascoltare i cantanti.
Certo la Lyniv sa essere chiara e precisa nel gesto e non manca di indovinare più di un numero, come l'esemplare accompagnamento al Madrigale del secondo atto, sfrondato dai merletti e intriso di intensa malinconia, chiusura di tale atto stesso con la virtuosa e spettacolare accelerazoone delle ultime battute, un Intermezzo personale ed emozionante nel vibrare di nevrosi novecentesca (non a caso un momento solo sinfonico), ma non sembra curare adeguatamente l'equilibrio tra buca e palcoscenico, né avere del tutto chiara la percezione del peso vocale e del respiro dei solisti. Ne risente soprattutto il primo atto, ma anche altri episodi non convincono appieno. La perorazione di Des Grieux al Capitano nel finale terzo è sbrigativa nell'evitare la pur minima espansione e ostentazione tenorile di tradizione, non si sa se per non mettere alla frusta l'interprete o per precisa scelta. E va bene evitare di cadere nella retorica vecchio stile, purché la si sostituisca con altro e che non si spenga l'effetto di una pagina ispirata, creata da un Puccini giovane ed esuberante.
La coppia di protagonisti della prima, vista nella prima replica riservata a detto cast, debutta nei rispettivi ruoli in questa produzione. Ruoli di difficoltà non comune, dalla scrittura adatta a voci spinte se non addirittura drammatiche, ma che affidati a strumenti troppo scuri e voluminosi rischiano lo stravolgimento dei caratteri di personaggi estremamente giovani. Ruoli, nella storia interpretativa, evitati da nomi importanti, ma non di rado affrontati da voci liriche, purché tecnicamente molto ferrate.
Tanto Erika Grimaldi quanto Luciano Ganci possiedono, appunto, voci liriche, ma in questa fase della carriera si dedicano in prevalenza al repertorio spinto. La cosa non è, come suol dirsi, “ordinata dal dottore” e l'approccio ai rispettivi ruoli comporta le gioie e i dolori derivanti dall'addentrarsi in territori se non propri estranei, quanto meno da approcciare con una certa cautela. A maggior ragione se si incappa in una concertazione che porta l'orchestrale, già denso nella scrittura pucciniana, ad assumere un'importanza preponderante come con la Lyniv sul podio.
La Grimaldi evidenzia soprattutto un'idea già piuttosto compiuta del personaggio eponimo, cui dona accenti appropriati e coinvolgenti lungo tutto l'arco dell'esecuzione. La voce è sufficientemente sonora nella seconda ottava, sicura e ben proiettata in acuto, senza problemi di tenuta in un ruolo così lungo e complesso, così che anche l'ultimo atto è affrontato senza affanni. Le manca un po' di polpa nella prima ottava e sarebbe auspicabile una dinamica più ampia, con qualche piano e pianissimo in più. Nel complesso un buon esordio, comunque, al pari di quello di Ganci. Des Grieux è notoriamente uno dei ruoli più impervi del repertorio tardo ottocentesco e il cantante romano lo padroneggia con discreta sicurezza. Un po' tirato nelle frasi ascendenti del primo atto, molto sicuro e vibrante nel lungo e impegnativo duetto d'amore del secondo, dove uno dei timbri più belli dell'attuale panorama tenorile ha modo di imporsi senza riserve. La grande scena finale del terzo atto, come si accennava, è giocata un po' di rimessa, complice una bacchetta che tira via e non lascia scolpire in maniera particolarmente incisiva le frasi, ma il quarto atto trova Ganci nuovamente generoso nel canto e appassionato nell'interpretazione.
È quasi sovradimensionata, invece, la robusta vocalità di Claudio Sgura, abitualmente a suo agio nei ruoli di vilain, che centra molto bene il lato più ambiguo e viscido del personaggio di Lescaut, donandogli un rilievo non scontato, ad onta di una linea di canto che non è esattamente un modello di morbidezza. Il Geronte tratteggiato con classe da Giacomo Prestia è singolarmente più signorile, si direbbe quasi paterno, rispetto a quanto si ascolta di solito. Molto bene Aloisa Aisenberg che esegue con gusto il Madrigale del Musico, così come il maestro di ballo di Bruno Lazzaretti, annunciato alla sua ultima produzione teatrale di una lunga carriera che nelle recite di addio lo trova ancora impeccabile e vocalmente intatto. Sarebbe da lodare anche il canto sicuro di Paolo Antognetti come Edmondo, incolpevolmente annegato, però, nei marosi orchestrali della Lyniv nel primo atto. Cristiano Olivieri canta più che discretamente il breve e scoperto ruolo del Lampionaio, a parte l'acuto finale che si spezza. Il cast è adeguatamente completato da Costantino Finucci come Comandante di Marina e da Kwangsik Park nel doppio ruolo dell'Oste e del Sergente degli arcieri.
Coro diretto da Gea Garatti Ansini al suo consueto alto standard e buon successo per tutti gli interpreti della serata.
La recensione si riferisce alla recita del 30 gennaio 2024.
Fabrizio Moschini