Don Giovanni | Nahuel Di Pierro (26 maggio) |
Vincenzo Nizzardo (29 maggio) | |
Il Commendatore | Abramo Rosalen |
Donna Anna | Valentina Varriale |
Don Ottavio | René Barbera (26 maggio) |
Annibal Mancini (29 maggio) | |
Donna Elvira | Karen Gardeazabal (26 maggio) |
Alessia Marepeza (29 maggio) | |
Leporello | Davide Giangregorio (26 maggio) |
Francesco Leone (29 maggio) | |
Masetto | Nicolò Donini |
Zerlina | Eleonora Bellocci (26 maggio) |
Letizia Bertoldi (29 maggio) | |
Direttore | Martijn Dendeviel |
Regia e scene | Alessandro Talevi |
Costumi | Stefania Scaraggi |
Luci | Teresa Nagel |
Video | Marco Grassivaro |
Coreografie | Danilo Rubeca |
Fortepiano | Anna Dang Anh Nga Bosacchi |
Maestro del Coro | Gea Garatti Ansini |
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna |
Secondo approdo del duo Dendievel – Talevi alla trilogia Mozart – Da Ponte con Don Giovanni, dopo il successo delle Nozze di Figaro nella scorsa stagione al Teatro Comunale Nouveau di Bologna (vedi recensione). In attesa della conclusione del ciclo l’anno prossimo con l’annunciato Così fan tutte.
Il libretto di Don Giovanni reca la dicitura “dramma giocoso”, ma, a sottolineare la divina ambiguità mozartiana, la tonalità iniziale della partitura è il re minore, tutt’altro che rassicurante, e l’ouverture anticipa l’irruzione del Commendatore in casa del Don per chiederne il pentimento e poi punirlo trascinandolo agli Inferi. Questo offrì buon gioco all’Ottocento (e anche a buona parte del Novecento) per spostare il baricentro dell’opera verso una lettura drammatica di stampo romantico mettendo in second’ordine, non di rado snaturandole, le pagine “giocose”, col risultato di sacrificare il caratteristico alternarsi di comico e tragico.
In questa occasione direttore e regista si sottraggono a questa tentazione, a tutt’oggi dura a morire. Martijn Dendievel, classe 1995, ottiene un suono morbido, brillante o all’occorrenza inquieto, ombroso, ma senza mai cadere nell’enfasi. E l’orchestra lo segue con dedizione, diresti con amore. Particolarmente efficaci i momenti di sospensione lirica, come l’accompagnamento di “Dalla sua pace”, il terzetto delle maschere o il recitativo prima di “Mi tradì”. Inoltre, come già scrissi a proposito delle Nozze di Figaro, sono da sottolineare l’uso sempre appropriato delle appoggiature e la fantasia e il gusto per cadenze e abbellimenti, per lo più pensati in funzione del cantante a disposizione (e infatti ciò che è stato ideato per la prima compagnia talvolta muta e viene adattato alle caratteristiche del cast alternativo). Il tutto senza mai eccedere con esemplare sobrietà di tocco. Buono l’aplomb tra buca e palcoscenico con solo qualche leggero sfasamento nel finale primo. Buoni gli apporti di Anna Dang Bosacchi al fortepiano e del Coro del Teatro Comunale diretto da Gea Garatti Ansini.
Dendieval è in piena sintonia con l’idea registica di Alessandro Talevi. Il regista sudafricano (ma di padre italiano e madre inglese) sfrutta al meglio le caratteristiche assai limitanti del palcoscenico dell’Opera Nouveau. Come già per le Nozze di Figaro vengono utilizzati dei blocchi scorrevoli che possono unirsi o scomporsi per suggerire vari ambienti e in qualche occasione fungono da schermi su cui vengono proiettate figure femminili durante il “Catalogo” di Leporello o durante la serenata del protagonista alla cameriera di Donna Elvira. I costumi (di Stefania Scaraggi) si librano per varie epoche perché, come dice il regista nel programma di sala, “Don Giovanni è un archetipo e di conseguenza può permettersi il lusso di sedurre donne in qualsiasi secolo, attraversando il tempo e lo spazio”. Una sorta di “portale del tempo”, costituito da un passaggio in un sipario nero delimitato da lampadine che fanno un po’ avanspettacolo d’antan, permette al personaggio di saltare di secolo in secolo. Il portale talvolta si riduce a formare il boccascena di un teatro dei burattini in cui gli attori sono marionette manovrate da fili (vedi il finto duetto d’amore tra Donna Elvira e Leporello). Ma ricorda sempre Talevi “Don Giovanni è dunque un archetipo metafisico, il suo palazzo è quasi uno spazio metafisico. Ma ricordando sempre che ci troviamo anche nel campo del dramma giocoso, non completamente votato al serio né al comico”. Dunque l’azione mantiene sempre un equilibrio tra le due componenti senza mai sfiorare la farsa né lasciarsi allettare dal dramma a fosche tinte talvolta con sconfinamenti dell’horror dell’ultimo confronto col Commendatore. Quest’ultimo risolto con apparizioni di donne coperte da lunghi veli bianchi che circondano il protagonista, con lo spettro antagonista sullo sfondo, mentre la mano che afferrerà quella del Don emerge da un tavolino (effetto ironico che fa tanto Famiglia Addams perfettamente in tema con l’ambiguità mozartiana).
Nelle due compagnie di canto si alternano elementi già affermati a una maggioranza di giovani, alcuni dei quali in procinto di spiccare il salto verso la notorietà.
Nahuel Di Pierro (Don Giovanni il 26 maggio) quarantenne già in carriera da una ventina d’anni, ha dalla sua una vocalità morbida di bel colore che si manifesta con evidenza soprattutto nella serenata del secondo atto, solo parzialmente sporcata da un’indecisione musicale. Peccato perché la musicalità non fa certo difetto al basso argentino che si fa valere per tutto il corso dell’opera per un’esecuzione vocale irreprensibile e talvolta di pregio. Mi sarei però aspettato un maggiore scavo espressivo e un dominio del palcoscenico più spiccato, stando anche a precedenti sue esperienze teatrali (una su tutte il suo carismatico Leporello aixois del 2017).
Il suo contraltare è, nella sera del 29 maggio, Vincenzo Nizzardo, trentasettenne in carriera da poco più di 10 anni. Il baritono calabrese ha il physique du rôle richiesto, si muove con disinvoltura in palcoscenico e può sfoggiare un certo carisma. L’emissione potrebbe essere maggiormente ammorbidita ma ho notato progressi da questo punto di vista, come ho trovato più ficcante l’accento. Buona anche la ricerca di chiaroscuri.
Davide Giangregorio, trentacinquenne in carriera da una dozzina di anni, è il Leporello del 26 maggio. Sicuro vocalmente e buon attore dovrebbe solo cercare di arrotondare alcune sporadiche durezze di suono.
Francesco Leone (Leporello il 29 maggio), basso cagliaritano appena trentenne e in carriera da una decina di anni, rispetto a precedenti ascolti mi è sembrato maturato sia dal punto di vista vocale che attoriale. Alcune lievi disuguaglianze di emissione sono peccati veniali facilmente emendabili.
Valentina Varriale (Donna Anna) quarantatreenne con alle spalle una carriera di ventitré anni, sostituiva Olga Peretyatko, indisposta, il 26 maggio, mentre il 29 risultava la titolare della parte. Voce ben proiettata, morbida e fraseggio elegante, il soprano napoletano supera piuttosto agevolmente le difficoltà di scrittura. Un solo appunto: la dizione assai nebulosa.
Ottima impressione mi ha destato la Donna Elvira di Karen Gardeazabal (26 maggio), che ha confermato come non ci si debba mai fermare alle impressioni di una sola recita nel giudicare un’artista. Mi capitò infatti di esprimere riserve riguardo alla Gardeazabal lo scorso novembre in occasione di un Elisir d’amore bolognese. La voce del soprano messicano, piuttosto ampia, anche se estesa e a suo agio nelle agilità, non mi parve a suo agio nella caratterizzazione della volubile Adina donizettiana. Tutt’altra cosa la sua Donna Elvira. Elegante, appassionata, non sbaglia un colpo nella resa della pestifera scrittura mozartiana e la sua coloratura è esemplare anche nei passaggi più ostici di “Mi tradì”, come risolte in modo ammirevole sono “Ah, chi mi dice mai” e “Ah, fuggi il traditor!”.
Purtroppo non al medesimo livello è la collega del 29 maggio, Alessia Marepeza, che canta con passione e con una voce abbastanza ampia ma disuguale. Bisogna tener conto però che il soprano albanese ha solo ventiquattro anni e tutto il tempo per affinare le proprie qualità.
Molto bene René Barbera (26 maggio). Il suo Don Ottavio eccelle per il gusto, la raffinatezza e allo stesso tempo per il calore. Belle le due arie (l’edizione adottata è il solito mix di Praga e Vienna), soprattutto “Dalla sua pace”; lodevole anche “Il mio tesoro”, pur se sarebbero state desiderabili alcune prese di fiato in meno (anche senza auspicare il mantice inesauribile di un Rockwell Blake).
L’altro Don Ottavio, Annibal Mancini (29 maggio), affronta le tavole del palcoscenico da una dozzina di anni, iniziando la carriera nel suo paese, il Brasile. La voce, monocromatica, esile è però perfettamente udibile; il cantante esibisce un fraseggio elegante ed è piuttosto abile nel canto di coloratura ma dovrebbe affinare le doti attoriali.
Già Susanna nelle Nozze di Figaro lo scorso anno, Eleonora Bellocci (26 maggio), trentunenne, è una Zerlina insinuante, la cui voce si illumina man mano che la tessitura sale; mentre Letizia Bertoldi (29 maggio), ventitreenne, è ancora un poco acerba, ma sa donare al personaggio una certa carica sensuale.
In crescita anche Nicolò Donini, Masetto incisivo, mentre Abramo Rosalen è un sonoro e autorevole Commendatore.
Successo pieno in entrambe le serate, con picchi di maggiore entusiasmo nella recita del 29 maggio, pur se complessivamente un poco inferiore a quella del 26 dal punto di vista qualitativo.
La recensione si riferisce alle recite del 26 e 29 maggio 2024.
Silvano Capecchi