Direttore | Ivàn Fischer |
Pianoforte | Kirill Gerstein |
Konzerthausorchester Berlin | |
Leonard Bernstein | Candide, Ouverture |
On the town, Tre danze | |
George Gershwin | Rhapsody in blue per pianoforte e orchestra. |
Darius Milhaud | Le boeuf sur le toit |
Erik Satie | Gymnopédie N. 1, orchestrazione Claude Debussy |
Gnossienne N.3, orchestrazione Francis Poulenc | |
Maurice Ravel | La valse, Poema coreografico per orchestra |
Continua la collaborazione fra Ivan Fisher e l’orchestra della Konzerthaus di Berlino, che lo ha avuto come direttore principale fino a un paio di anni fa.
L’ultima occasione nella bella sala sulla Gendarmenmarkt è stato un concerto dedicato a compositori statunitensi e francesi della prima metà del Novecento.
Programma apparentemente diviso rigidamente a metà, ma in realtà pieno di interscambi fra Europa e Nuovo continente, che si è aperto col bizzarro giro del mondo di Candide (ispirato da Voltaire) e proseguito con uno slalom fra New York, Parigi, e poi l’America latina e Vienna ricreate con la sensibilità d’Oltralpe.
Anche un direttore di livello così alto come Fischer non può più di tanto quando un repertorio non è “nel sangue” dei suoi musicisti, specie se il repertorio scelto, come in questo caso, ha un’identità forte.
Già Candide di Leonard Bernstein, con la cui ouverture si è aperta la serata, resta un’opera dal carattere indefinibile e multiforme, condensato nella celebre ouverture, di cui però Ivan Fisher ha sottolineato soprattutto, inducendo l’orchestra a un suono scintillante e a pieno volume, la vivacità e la spettacolarità senza comunicarne l’inafferrabile varietà di umori.
A seguire, sempre di Leonard Bernstein, tre numeri dal musical On the town. In Italia gli appassionati lo conoscono grazie all’eccellente “Un giorno a New York”, film del 1945. Il lavoro vive del ritmo pulsante della vita di New York scoperta da tre marinai in libera uscita, e proprio questa sorta di moto perpetuo che farebbe da sottendere a tutta la partitura qui si è fatta desiderare. Non è un caso che l’esecuzione più equilibrata fra le tre danze che sono state scelte, sia stata quella delle seconda, il Pas de deux “On the town”, dalle pienezze sinfoniche più riconoscibili.
A chiudere la prima parte del concerto, la Rapsodia in blu di George Gershwin col pianista ospite Kirill Gerstein. Pagina a tratti affrontata con una certa rigidezza, come se l’orchestra non avesse voluto osare più di tanto coi giochi di dinamiche, e che ha fatto desiderare qualche morbidezza in più, ad esempio nell’attacco del tema melodico principale. Non sono mancate defaillance da parte di qualche solista (l’evoluzione del clarinetto iniziale era ben lontana dall’essere irreprensibile). Nel complesso un’esecuzione comunque efficace e che ha fatto percepire la straordinaria inventiva melodica e la comunicativa della scrittura di Gershwin.
Kirill Gerstein è un pianista senza limiti di repertorio dalla musica antica a quella contemporanea, jazz e Kabarett berlinese. Fresco di Gershwin, il cui Concerto in Fa ha eseguito a San Silvestro con la Staatskapelle Dresden, nella Rapsody in blue era a suo agio. Ha esibito un tocco veloce e netto con attacchi precisi e suono ben modellato. È stata anche da parte sua una lettura oggettiva, senza particolare abbandono, forse una scelta precisa per una pagina tanto nota in cui ha preferito non lasciarsi andare al piacere della melodia fine a se stesso.
Unico bis del pianista, un omaggio a Oscar Levant, uno dei più celebri esecutori della Rapsodia in blu con la sua Blame it on my youth , una delle sue più famose canzoni.
Tutt’altra musica nella seconda parte della serata, che inizia con le suggestioni sudamericane di Darius Milhaud e il suo Boeuf sur le toit, pagina dalla prepotente identità, dove ritmo e melodia si intersecano in vari episodi intercalati da un tema ricorrente. La lettura è stata efficace, presa a un tempo abbastanza moderato da Fisher che a momenti, specialmente lì dove il ritmo prevaleva, lasciava l’orchestra più a briglia sciolta (e divertendosi a mischiare il suo gesto chiaro e netto a movimenti quasi di danza) mentre è stato attento a tenere le redini nei ripiegamenti melodici.
Brillante come sempre l’orchestra della Konzerthaus, con merito particolare delle due trombe principali sedute insolitamente al centro dell’orchestra fra gi archi.
Delle Gymnopedies di Eric Satie, compositore intimamente legato a Milhaud grazie all’influenza che esercitò su di lui, è stata selezionata la N. 1 nell’orchestrazione di Debussy insieme alla Gnossienne N. 3 in quella di Poulenc, entrambe eseguite con una suggestiva atmosfera misteriosa e vaga con validi giochi di scambio fra oboista e flautista.
Chiusura con una gran bella esecuzione della Valse di Maurice Ravel con l’orchestra che si è concessa al suo meglio con dinamiche variegate e tinte in chiaroscuro come una fotografia in bianco e nero, impressionanti crescendo e apparente abbandono al tempo di danza in sonorità ambigue che esaltavano gli umori infusi da Ravel nella partitura, col preciso senso della fine di un intero mondo irrimediabilmente perduto. “Totentanz oder Wiener Opernball” come si chiede efficamente Meike Pfister, autrice del testo del programma di sala.
Al termine applausi prolungati e calorosi, finchè Ivan Fischer non ha congedato con gesti simpatici ma ben chiari, sia l’orchestra che il pubblico.
La recensione si riferisce al concerto del 12 febbraio 2024.
Bruno Tredicine