Andrea Chénier | Gregory Kunde |
Carlo Gérard | Pavel Yankovsky |
Maddalena di Coigny | Sondra Radvanovsky |
Bersi | Arianna Manganello |
La Contessa di Coigny | Nicole Piccolomini |
Madelon | Jennifer Larmore |
Roucher | Pedraic Rowan |
Fléville | Philipp Jekal |
L'abate | Kangyoon Shine Lee |
Mathieu | Michael Bachtadze |
Un Incredibile | Burkhard Ulrich |
Fouquier-Tinville | Jared Werlein |
Il maestro di casa / Dumas | Stephen Marsh |
Schmidt | Byung Gil KIm |
Direttore | Axel Kober |
Regia | John Dew |
Scene | Peter Sykora |
Costumi | José Manuel Vasquez |
Maestro del Coro | Jeremy Bines |
Orchestra e Coro della Deutsche Oper di Berlino | |
Allestimento che vince non si cambia, sembra questo l’orientamento della Deutsche Oper di Berlino almeno per qualcuno degli spettacoli in repertorio. A parte una Lucia di Lammermoor con la regia di Filippo Sanjust, nata nel 1980 (a Germania divisa e ben prima della scomparsa del regista) e ancora in scena lo scorso dicembre, è anche il caso del recente Andrea Chénier, spettacolo nato nel 1994 e arrivato alla quarantaseiesima replica, che ci ha dimostrato che il cosiddetto repertorio nei teatri stranieri non significa sempre stanca routine.
Tanto più che c’era un trio di protagonisti di rango, a cominciare da Gregory Kunde, della cui longevità vocale non ci si stupisce più. A dispetto della figura logicamente appesantita la voce è ferma e proiettata, la linea vocale duttile senza tradire sforzi o cedimenti. Anzi andando avanti con l’opera Kunde sembrava sempre più carico di energia vocale e interpretativa. Come tutti, anche lui ha patito nel primo atto la posizione indietreggiata sulla scena e l’ostacolo di un suono orchestrale troppo spinto, sicchè in “Un dì all’azzurro spazio” il valore del cantante si è potuto intuire più che godere, ma dal secondo atto in poi la situazione scenica è andata assestandosi, e tutto è proceduto con valore, dalla scena con Roucher al duetto con Maddalena fino a “Come un bel dì di maggio” che non ha tradito le aspettative.
Sondra Radvanovsky è parsa in forma migliore rispetto al recente Attila di Madrid. Nonostante alcune incertezze nel registro medio lo strumento vocale resta autorevole, con acuti sicuri e arricchito da una profonda consapevolezza della parola cantata. Insomma, potenza dei mezzi, sicurezza tecnica e forza interpretativa fanno del soprano una primadonna sempre coinvolgente, fino a una “Mamma morta” eseguita con notevole immedesimazione, creando un suggestivo momento di sospensione.
Pavel Yavlovsky è stato un Gerard di forte impatto. Si è imposto fino dall’inizio con voce torrenziale e toni autorevoli mantenuti lungo tutta l'esibizione. Così anche in “Nemico della patria” in cui ha dato forza al declamato e ha trovato accenti tormentati nel momento dell’abbandono melodico.
Jennifer Larmore è stata una Madelon di lusso, dall'espressione asciutta che non ha calcato la mano sul patetismo ma è stata ugualmente efficace con una voce ferma seppure sfocata e assottigliata nel timbro, cosa che considerato il personaggio e la situazione ha creato un bel momento di teatro.
Vivace ed espressiva la Bersi di Arianna Manganello, brava anche nella scena con l’Incredibile, sostenuto dall’efficace Burkhard Ulrich. Bravo contraltare per Chenier è stato il Roucher di Padraic Rowan, mentre Nicole Piccolomini è stata bene in parte come Contessa di Coigny.
A completamento del cast Philipp Jekal (Fléville), Kangyoon Shine Lee (l’Abate), Michael Bachtadze (Matthieu), Stephen Marsh (Maestro di casa e Dumas), Jared Werlein (Fouquier-Tinville), Byung Gil Kim (Schmidt).
Ben preparato da Jeremy Bines, il Coro della Deutsche Oper ha dato un'ottima prova.
Axel Kober ha diretto con mano sicura un’Orchestra della Deutsche Oper particolarmente duttile, e si è immerso nella paritura curando tutti i colori e traendo finezze dalle dinamiche e dalle sfumature. Peccato che lo abbia fatto dialogando a tu per tu con l’orchestra e dimenticando a tratti che c’era un palcoscenico a cui fare riferimento, per cui il bel suono orchestrale si è trovato a sovrastare le voci soprattutto nel primo atto quando la posizione indietreggiata dei cantanti avrebbe richiesto volumi meno spinti.
Lo spettacolo firmato da John Dew era vitale, animato, coerente con la vicenda ma non staticamente didascalico. In collaborazione con lo scenografo Peter Sykora Dew ha reso protagonista del ricevimento del primo atto una grande pedana che prendeva quasi l’intero palcoscenico, e che alla fine della scena si inclinava sotto la spinta del popolo rivoluzionario che la spingeva da sotto come emergendo da chissà quali profondità, facendo letteralmente precipitare la nobiltà.
La stessa pedana come elemento scenografico multiforme è rimasta per tutta l'opera assumendo significati scenici diversi di volta in volta. Molto curata la recitazione e impostate con consapevolezza anche le scene d’insieme. Piacevoli e ben studiati i costumi di José Manuel Vásquez.
Deutsche Oper gremita, vivissimo successo con grandi applausi a scena aperta dopo le arie fatidiche e ovazioni finali.
La recensione si riferisce alla rappresentazione del 30 maggio 2025.
Bruno Tredicine