Turandot | Rebeka Lokar |
Calaf | Jorge de Léon |
Liù | Francesca Sassu |
Timur | Ramaz Chickviladze |
Altoum | Bruno Lazzaretti |
Ping | Jungmin Kim |
Pang | Blagoj Nacoski |
Pong | Massimiliano Chiarolla |
un Mandarino | Giovanni Guagliardo |
Principe di Persia | Raffaele Pastore |
prima Ancella | Maria Meerovich |
seconda Ancella | Annamaria Bellocchio |
Regia | Paul Curran |
Scene | Gary McCann |
Costumi | Roberto Capucci |
Luci | Fabio Barettin |
Proiezioni video | Driscoll Otto |
Coreografia | Kyle Lang |
Direttore | Renato Palumbo |
Maestro del Coro | Fabrizio Cassi |
Maestro del Coro di Voci bianche | Emanuela Aymone |
Ballerini | Compagnia Daniele Cipriani |
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli | |
Coro di Voci bianche Vox Juvenes | |
Produzione Fondazione lirico sinfonica Patruzzelli e Teatri di Bari |
«Penso ora per ora, minuto per minuto a Turandot e tutta la mia musica scritta ad ora mi pare una burletta e non mi piace più»: così scriveva nella primavera del 1924 Giacomo Puccini a Giuseppe Adami, autore, assieme a Renato Simoni, del libretto dell’opera. Ma la morte, che lo colse il 29 novembre 1924 a Bruxelles, non permise al compositore toscano di completare il suo ultimo capolavoro. E così Turandot rimase incompiuta, nonostante Puccini avesse portato con sé ventitré pagine di appunti, che poi furono utilizzati da Franco Alfano per completare la scena finale su incarico di Arturo Toscanini.
Se non ci fosse stato altro, sarebbe bastata l’aria “Nessun dorma” a decretarne per sempre l’immortalità a partire dalla prima assoluta del 25 aprile 1926 al Teatro alla Scala. Al Petruzzelli arriva nel 1928 per la celebrazione del 25esimo anniversario dell’inaugurazione del teatro. Ritorna l’anno successivo e in tante altre stagioni dove è soprattutto la parte di Calaf a giovarsi di grandi protagonisti: nel 1955 Giacomo Lauri Volpi, nel 1972 Flaviano Labò e Angelo Lo Forese, nel 1977 Nicola Martinucci e nel 1980 Amedeo Zambon. Particolarmente significativa è stata la Turandot firmata da Roberto De Simone nel dicembre 2009, primo titolo ad essere rappresentato nel ricostruito teatro diciotto anni dopo il rogo. Edizione ripresa nel 2016, ultima finora rappresentazione al Petruzzelli.
E ora è invece andata in scena, come quinto titolo della Stagione d’Opera 2023, la nuova produzione della stessa Fondazione barese (sold out tutte le recite), che ha costruito lo spettacolo attorno ai costumi disegnati da Roberto Capucci, uno dei nomi più celebri dell’Alta Moda italiana nel mondo. Per il 93enne “scultore della seta”, i cui preziosi abiti hanno fatto innamorare le star di Hollywood e le signore più raffinate del jet set internazionale, è stato l’esordio come costumista nel mondo dell’opera. Debutto che non poteva rivelarsi più felice per la bellezza, lo splendore e la straordinaria varietà cromatica degli abiti ispirati a un Oriente favolistico, arricchiti da sete pregiate, piume, diademi e preziosi ricami. In perfetta sintonia con le scelte dello stilista le scene di Gary McCann, dei grandi ed eleganti origami bianchi a forma di cigno che davano l’effetto di un prisma colorato grazie al magnifico disegno luci di Fabio Barettin. Ad arricchire la scena anche una serie di proiezioni video a cura di Driscoll Otto e alcuni momenti di danza della Compagnia Daniele Cipriani con le coreografie di Kyle Lang. Senza particolari approfondimenti psicologici sui personaggi l’essenziale regia di Paul Curran, efficace comunque nel rimarcare gli aspetti favolistici di una vicenda che d’altronde affonda le proprie radici nella fiaba teatrale che Carlo Gozzi scrisse nel 1762, ispirandosi ad una raccolta di fiabe persiane tradotte in francese in quegli stessi anni.
Sul podio dell’inappuntabile Orchestra del Teatro l’attenta e scrupolosa direzione di Renato Palumbo ha reso perfettamente la modernità della ricchissima partitura di Puccini, cogliendone ogni sottigliezza timbrica con un mirabile equilibrio di volumi sonori anche nei momenti di maggiore enfasi.
Nella temibile parte del titolo si è cimentata, con ottimi esiti, il soprano Rebeka Lokar, che si è fatta valere per la potenza della voce e la nitidezza del suono, gli acuti impeccabili e la perfetta aderenza al personaggio, di cui ha mostrato anche un aspetto meno algido e più “umano” grazie a un fraseggio vario e particolarmente accurato.
Accanto a lei il tenore spagnolo Jorge de Léon che ha affrontato Calaf con una voce robusta e dal ragguardevole volume, anche se all’inizio è risultata leggermente ingolata e meno squillante. Non particolarmente sfumato nel fraseggio, è stato comunque un interprete baldanzoso e ha cantato molto bene l’attesissima l’aria “Nessun dorma”.
Commossa e delicatissima la Liù del soprano Francesca Sassu, che si è imposta per la purezza della linea vocale, il legato esemplare, le mezzevoci dolcissime e l’intensa partecipazione emotiva.
Perfettamente nella parte, e ben coordinati tra di loro, i tre ministri Ping, Pang e Pong, rispettivamente il baritono Jungmin Kim e i tenori Blagoj Nacoski e Massimiliano Chiarolla: per voce e interpretazione si sono fatti apprezzare sia nei momenti più brillanti che in quelli più nostalgici, ovvero l’intero primo quadro del secondo atto.
Timur, re tartaro spodestato a cui Puccini non dedica un’aria, è stato ben interpretato dal basso Ramaz Chickviladze.
Efficaci e puntuali sono poi stati il tenore Bruno Lazzaretti nella parte di Altoum, il baritono Giovanni Guagliardo in quella del Mandarino, il tenore Raffaele Pastore come Principe di Persia, e i soprani Maria Meerovich e Annamaria Bellocchio, rispettivamente Prima e Seconda ancella.
Ottime le prove del Coro del Teatro preparato da Fabrizio Cassi e del Coro di voci bianche “Vox Juvenes” diretto da Emanuela Aymone.
Tantissimi gli applausi alla fine per tutti i protagonisti, particolarmente calorosi quelli indirizzati a Francesca Sassu e a Roberto Capucci, seduto in platea.
La recensione si riferisce alla serata del 13 settembre 2023
Eraldo Martucci