Autore | Romana Petri |
Titolo | Le serenate del Ciclone |
Editore | Neri Pozza |
Prezzo | euro 15.30, disponibile in formato eBook a euro 9.99 |
Negli ultimi mesi sono usciti in Italia due libri - due romanzi - accostabili per tematica. Il romanzo della Nazione di Maurizio Maggiani e Le serenate del Ciclone di Romana Petri. Esistono i libri inutili e quelli utili o necessari e questi due rientrano nella seconda categoria, andrebbero letti entrambi, magari uno dopo l’altro e nell’ordine, com’è accaduto a chi qui scrive. In entrambi i casi, l’universo-Italia, la “Nazione” nasce dal privato, da una cronaca famigliare. Ma è probabile che - fra i due – il vero “romanzo della Nazione” , comprensivo dei due termini, “romanzo” e “nazione” sia sortito dalla Petri. Per almeno tre buone ragioni: è giornalista, non è influenzata da fattori politico-ideologici, e, infine e soprattutto, è “narratrice”. E ad un romanzo si chiede prima di tutto di “narrare”, poi, e non necessariamente, di “commentare”. Molta narrativa italiana lascia per strada il primo aspetto. Purtroppo anche molti film: la Petri ne è appassionata, e non per niente e per fortuna, il riferimento cinematografico del suo libro è il più grande regista-narratore di sempre dei cinema italiano, Sergio Leone.
Le serenate del Ciclone è un capolavoro di stratificazioni e livelli, ai quali può esser letto senza che se ne perda il senso. È una storia bellissima, e come tale può esser letta e goduta. È la storia di un personaggio vero e vissuto, il basso-baritono Mario Petri, padre della scrittrice, ed è l’occasione per gli appassionati di musica e di opera di riaccostare, e magari di riascoltare, una voce un po’ dimenticata eppur straordinaria. Petri ha un po’ subito, nel tempo, la nomea di cantante “che si era dato alle canzonette”. Niente di più fuorviante. Basta aprire youtube, cliccare “Mario Petri, Don Giovanni”, appaiono lui, il Don, e la Sciutti, Zerlina, e quel “La Ci Darem la Mano” è il prodigio del suono di una voce perfettamente levigata e tornita in qualunque registro e di una sensualità nel “porgere” il personaggio che lascia intendere perché il più “estetico” direttore del XX secolo, il Maestro del Suono e cultore della Bellezza, Herbert Von Karajan, abbia prescelto Mario Petri per la parte di Don Giovanni. Probabilmente, il Don di Mozart e Da Ponte non è mai stato così “bello”, in ogni senso: all’occhio ma anche all’orecchio.
Il personaggio Mario Petri, così come viene dipinto dalla figlia, è vero ma anche romanzesco. Ed ecco già due piani di lettura. La figlia lo rivive, con enorme affetto ma senza indulgenze sulla virulenza del carattere da umbro di ferro e fuoco (alla fin fine, il libro e la storia si compongono più di scazzottate che di musica…). La giornalista-romanziera disegna un grande personaggio fra aristocratico (nella fondamentale onestà, nobiltà e rettitudine, pur nel carattere) e popolare (per nascita, per abitudini di vita: il culto delle automobili vistose, per cui Mario era famoso anche presso i vicini di casa, a Roma, è tipico di chi, inizialmente, non poteva permettersele). E, partendo dalla singola fisionomia, approda dal ritratto di due città - Perugia e Roma – a quello di tutta una Nazione, l’Italia cruciale dei 63 anni di vita di Mario Petri: dal 1922 al 1985. Narrazione, cronaca e psicologia si intrecciano in un miracoloso equilibrio di piani. La Petri è di funambolica abilità nel reperimento e nell’uso di una lingua particolare e di tipologie letterarie attinenti alla massima tradizione del romanzo italiano. Il bozzetto, ad esempio. E un bozzetto italiano. Il suo Mario è – sotto molti aspetti – un Renzo Tramaglino. Simbolo d’una letteratura quanto, alla fin fine, lo è di una Nazione. E memorabili sono i “caratteri” di tutti i famigliari, fra i quali, forse, il capolavoro è il ritratto della madre di Mario, enigmatica donna di cui sappiamo che piange spesso per farsi compatire, ma della quale, fino in fondo, non conosceremo tutta la psicologia. Personaggio fondamentale nell’economia della storia e della vita stessa di Mario, tale da render pienamente comprensibile il ruolo di figlia-madre assunto nel tempo dalla stessa Romana nei confronti del genitore.
C’è la storia bellissima, particolare e generale, ci sono le psicologie. C’è il cinema, con il maestoso Leone, ritratto con autentica passione ed ammirazione in se stesso e nelle straordinarie “visuali” descrizioni dei suoi film. E c’è la musica, con i suoi personaggi, tre in particolare, focali per la vita di Mario Petri: Giulietta Simionato, Herbert Von Karajan e Riccardo Muti. E in tutti e tre i casi la mano di Romana Petri è quella di una pittrice-psicologa di impressionante efficacia “fotografica”. Par di vederli. Vi facciamo grazia (per non rovinarvi la lettura) della esilarante somiglianza scovata (dalla fidanzata, poi moglie di Mario) nel volto della pur divina Giulietta (i cultori perdoneranno) allo svelamento della relazione dell’amato con la cantante di lui più anziana d’una dozzina di anni. Ma, soprattutto, nelle immagini di Karajan e Muti si compie il capolavoro. Il glamour di Karajan è fotografico. Ma, ancor più, par di vedere, di toccare, Riccardo e Cristina che arrivano in casa Petri. Tali quali. Par di vederli, loro, i volti, gli abiti, i modi, di ascoltarne le voci. Romana, qui, è grandiosa e anche spietata. Non fa sconti al padre e neppure ai due grandi interlocutori artistici (e umani): riconosce tutta la grandezza dell’uno e l’abilità dell’altro. Ma è dura con i due uomini, pur riuscendo a mantenere - e il capolavoro psicologico si compie – un distacco che non esclude l’affetto: Mario è suo padre ed è il personaggio del libro. Il carico di sofferenza accumulato in rapporti con tre personaggi difficili (Giulietta la prima) c’è, è esistito, lo ha portato a morte precoce per crepacuore, è narrato e rivissuto dalla figlia e dalla scrittrice: e Romana riesce, miracolosamente, a restare entrambe le cose, per noi sulla pagina.
Proprio in questi giorni, la realtà di fatto dell’intervista di un’altra grande giornalista, Giuseppina Manin, a Riccardo Muti, è parsa specchio di quanto un libro e una storia del passato ci avevano appena narrato, coincidenza stupefacente, o forse non tanto. E anche Muti è, sicuramente, “romanzo della Nazione”, specchio dell’Italia o di una Italia, personaggio vero e immensamente “romanzesco”. Ci volevano la sensibilità di una gran donna e la mano di una grande scrittrice per darci, di personaggi e di una Nazione, un’immagine di tale presenza e vivezza.
Marco Vizzardelli