Titon | Reinoud van Mechelen |
L'Aurore | Gwendoline Blondeel |
Palès | Emmanuelle de Negri |
Éole | Marc Maullion |
Amour | Julie Roset |
Prométhée | Renato Dolcini |
Regia, scene e burattini | Basil Twist |
Les Arts Florissants | |
Direttore William Christie | |
Ripresa all'Opera Comique 18 e 19 gennaio 2021 | |
1 Dvd NAXOS 2.110693 | |
Distribuzione Ducale |
Nel derby Italia-Francia, quella Querelle des Bouffons che vide contrapposti melodramma italiano e opera francese, Titon et l’Aurore fu prescelta, per volontà di Madame de Pompadour, come difensore della scuola d’oltralpe. Si dice direttamente contro La Serva Padrona di Giambattista Pergolesi, ma mi sembra una semplificazione eccessiva di questo dibattito che durò per anni.
Jean Philippe Rameu si era ritirato dalle scene, per cui la scelta cadde su Jean-Joseph Cassanéa de Mondonville, valido rappresentante dello stile teatrale del tempo. Tecnicamente Titon et l’Aurore è una Pastorale-Lyrique e, in un periodo in cui le definizioni erano sostanza, non si può negare che rientri appieno nel genere.
Il protagonista, Titon, è un bellissimo pastore figlio di Priamo, per cui un umano, che ama riamato la dea Aurora. Palès, dea delle greggi già impegnata con Éole, re dei venti, preferirebbe però farsi una storia con il bel Titon e le prova tutte. Non manca un prologo in cui Prométhée dona la vita alle sue statue di creta alla presenza di Amour, con cui va d’accordo. Certo Amour, che gli riconosce il merito di dare vita alle sue creature, gli fa notare quanto il suo metodo sia grezzo e quanto sia più gradevole mettere un po’ di divertimento in tutta la faccenda, campo in cui per altro si impegna parecchio. Sarà proprio Amour, ex-machina in finale, a sistemare le cose, rendendo tutti felici.
L’opera è deliziosa, una sequenza di arie freschissime alternate a danze e a air strumentali. Nulla è veramente preoccupante, né le furie tempestose di Éole, e neppure le trame di Palès o le disperazioni di Titon, c’è sempre una contraddanza o una gavotta per cancellare i cattivi pensieri. È un’opera in ritardo sul suo tempo, in un’epoca che nel frattempo andava avanti di gran fretta, è però gradevole e ben aiutata dall’allestimento geniale di Basil Twist, un burattinaio di New York che inventa uno spettacolo delicato e ironico, divertente e garbato. Twist prende tutto alla lettera con la verosimiglianza e il rispetto che si deve ad un gioco che funziona. Prométhée, uno che sta all’origine delle origini, non ha un abito ma una coperta sghemba né tagliata né cucita. Le sue statue di creta, bei pupazzi animati opera dello stesso Twist, prendono vita con movimenti adatti alla fatica di un materiale inerte che inizia a muoversi. Amour, tutto d’argento in marsina e jabot, esce direttamente da una commedia di Marivaux. Il bel Titon è vestito da pastore con il bastone, il gilè e i pantaloni al ginocchio, secondo i canoni, e sarà bello solo alla fine quando si toglierà il cappello, che non gli dona. Palès ha un abito sontuoso con balze di lana di pecora, molto soffice, però il bustino è di raso e ha le corna da ariete. Éole si veste con i lenzuoli azzurri gonfi di vento, le Ninfe di alghe con alzate di fiori sulla testa mentre Aurora è in oro totale con una triplice corona di raggi sulla testa. Ma le regine della scena sono le pecore, tante, morbide, espressive, danzanti. Sono le pecore finte più pecorose mai viste, più vere del vero, educate, allineate, partecipi, sollecite, anche messe una sopra l’altra in due enormi spiedi in cui però sono al sicuro, non rischiano la griglia. Anche il gregge è opera di Twist che ha disegnato gli animali in modo ammirevole e li fa muovere come parte sostanziale della scena.
Questa regia ingenua solo in apparenza è ben assecondata dal cast. Reinoud van Mechelen, Titon, è l’innamorato assoluto, riamato. Tenore elegante, dal timbro morbido, ci accompagna con pacatezza fino al gran finale in cui balla un valzer lento con il suo grande amore su una sequenza di rondò-ciaccona in cui Mondonville dà il meglio. Gwendoline Blondeel, Aurore, è un soprano giovane, quasi in esordio di carriera. Ha un timbro luminoso e liquido, l’emissione è fluida, la dizione è chiara e tiene la scena con grazia e disinvoltura. Anche Julie Roset, Amour, è un giovane soprano adatto al personaggio di un dio ragazzino, qui in versione particolarmente magnanima. Roset è garbata e maliziosa come deve essere un Amour francese di mezzo Settecento, maestro di intrecci che gestisce a suo piacimento. Emmanuelle de Negri non solo canta benissimo, ma si conferma grande attrice, assertiva come una dea che intende ottenere a tutti costi quello che vuole, ovvero il bel Titon. Il basso Marc Maullion, nel ruolo del dio dei venti, è invece poco convincente, incerto e poco aiutato da una voce piatta e povera di armonici. Il basso Renato Dolcini è ben calato nel ruolo di Prometeo, così come le ninfe protagoniste del secondo atto, Virginie Thomas, Maud Gnidzaz e Juliette Perret, tutte provenienti dal coro de Les Arts Florissants.
William Christie dirige con quella leggerezza divertita che dà il tono all’opera. Impagabile nelle danze, numerose e variate, e sempre perfetto nel sostegno ai cantanti, tiene ferma l’attenzione evidenziando al massimo la sapiente scrittura orchestrale.
Il Dvd Naxos riprende una produzione dell’Opéra Comique del marzo 2021. La regia del video è lineare ed efficace e la presa del suono molto buona. Le note di accompagnamento sono essenziali ma esaurienti.
Daniela Goldoni