Norma | Maria Callas |
Pollione | Franco Corelli |
Adalgisa | Elena Nicolai |
Oroveso | Boris Christoff |
Clotilde | Bruna Ronchini |
Flavio | Raimondo Betteghelli |
Direttore | Antonino Votto |
Orchestra e Coro |
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del |
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Teatro "G. Verdi" di Trieste |
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Edizione | Idis 6390/91 (2 Cd) |
Registrazione Live del 19/11/1953 |
Di edizioni della Norma con la Callas se ne contano di diverse, oltre alle 2 registrate in studio. Del resto il ruolo della Sacerdotessa Druidica resta non solo uno dei personaggi tipici della grande cantante greca, ma una delle prove più alte del suo magistero tecnico-artistico. Si dice che la Callas è stata una grandissima musicista ed ha rappresentato una svolta nel gusto e nell'interpretazione. È vero e si portano vasi a Samo se si prosegue con il dire che certi suoi personaggi sono un unicum nella storia interpretativa. Diciamo che la Callas è stata a buon diritto un esempio di musicologia applicata e se, dopo di lei, sono venute Sutherland, Berganza ed Horne (con le loro diversità e specializzazioni) è a lei ad aver aperto loro la strada. Non è soltanto questione di gusti: piaccia o non piaccia, parlando della Callas si deve riconoscere che è stata un'autorità. Spesso nell'ascoltarla, faccio questa equazione tra filosofia-teologia e musica operistica: se la Sutherland è come S. Tommaso nella sua capacità di flettere tutti i suoni (così come l'Aquinate è riuscito ad orchestrare tutto il pensiero di Aristotele con il Cristianesimo e ciò nelle sue varie Summæ) e di portarli su registri di vero prodigio, la Callas si avvicina singolarmente a S. Agostino (per l'interpretazione profonda ed esistenziale, per il senso della frase, per lo scavo interiore non molto diverso da quello che è possibile leggere nelle sue Confessioni). Questo la rende grande anche in quelle incisioni che non appartengono - come invece questa - al suo periodo fulgido, ma alla decadenza. Fatto questo preambolo che cosa possiamo dire di questo 'live' ? Cosa ascoltiamo ? Si tratta di una serata incandescente al Verdi di Trieste in un anno - il '53 - che fa parte ancora del periodo aureo della Callas (dello stesso anno è la folgorante Medea a Firenze). Il pubblico applaude e saluta i suoi beniamini (specie Corelli e la Callas nei loro ingressi, specie la seconda) e ne ha ragione visti i nomi della locandina. Iniziamo allora dalla resa audio che è una delle più infelici che ci sia dato di ascoltare. Si tratta probabilmente di una ripresa radiofonica con quello che comporta in termini di suono in cui, seppur per brevissimi frammenti, presenta delle interferenze sebbene modestissime. Inoltre compaiono buchi in cui si salta da un brano all'altro: ad esempio non abbiamo la replica di Adalgisa al "Ah si fa core abbracciami" (I atto) ed è un peccato data la prestazione della Nicolai, oppure le battute di Oroveso dopo il Coro "Ah del Tebro il giogo indegno", ma per questo non ci si può avere a male per le ragioni che poi dirò. La direzione di Votto presenta i consueti tagli anni '50, ma anche a volte con improprietà. Ma poi si caratterizza per la pesantezza, sicché alcuni brani risultano davvero macignosi. A ciò si aggiunge certa lentezza (cf., ad esempio, l'entrata di Norma). Il confronto con il Gui del 'live' londinese di 2 anni prima (Callas, Stignani Picchi, Vaghi, Sutherland), vede Votto abbastanza al di sotto. I cantanti della locandina - Callas a parte - rappresentano il culmine ed il fior fiore del tempo. Ciò che colpisce è che sono tutti "iperdotati" con il pericolo, per qualcuno, di strafare. È il caso della Nicolai che era una cantante con un'enorme volume di voce tanto da affrontare parti sopranili (Fedora, e addirittura Brunhilde, ecc.), oppure - restando nel suo registro - ruoli decisamente ardui (l'anno successivo otterrà a Napoli un personale trionfo in Lohengrin come demoniaca Ortrud accanto alla soavissima Tebaldi) oppure particolarmente volitivi o sensuali. La spaurita e, tutto sommato, mite Adalgisa esce qui con i connotati… non poco differenti. La Nicolai sale, scende lavora con la sua voce facendo ciò che vuole, ma di dolcezza se ne sente poca anche se, a volte (cf. Duetto con Pollione del I atto), cerca di simularla. Ma forse la vicinanza della Callas la spinge a non farsi sopraffare e a premere il pedale. Lo fa bene, però, ed un personaggio comunque viene fuori, anche perché la voce non si smaglia mai e non ha momenti di stanchezza. Corelli si esprime in termini, potremmo dire atletici con una voce spavalda ed una dizione scanditissima e con il registro acuto che sappiamo. La sua sortita non lo trova mai in un momento d'incertezza, anzi in alcuni momenti si compiace di restare su alcune note mettendone in rilievo la forza di percussione. Il finale del I atto è da ascoltare per il volume impressionante che - assieme alla Callas - sfoggia. Ma questo è solo una faccia della medaglia: Corelli conosce i piani e i pianissimi e certi tratti del Duetto del I atto con Adalgisa sono davvero spettacolari per la loro facilità. Un grandissimo Pollione ! Inoltre quello che avverto da questa esecuzione è un affiatamento perfetto con la Callas che, con altri tenori, a volte non mi sembra scattare (mi viene in mente ad esempio un Del Monaco che all'epoca fu partner della Callas in quest'opera). Se la EMI avesse dato a Corelli sin dal '54 la prima incisione di Norma in studio con la Callas (invece di propinarci Filippeschi) avremmo avuto un'accoppiata perfetta soprano-tenore (peraltro in condizioni vocali pressoché integre, specie per la Callas) ed un'immagine a tutto tondo delle potenzialità di questo tenore che, già in quegli anni, incideva una Aida in studio (con la Curtis Verna e la Pirazzini, sotto la direzione di Questa). Poco o per nulla mi convince, invece, Christoff. Voce imponente, senz'altro, ma uguale nell'espressione in tutte le sue frasi ed inoltre con quel suo accento slavo che non riusciva a scordare nemmeno in personaggi italiani. Più che Oroveso è un Boris in libera uscita che dice "E fino a quando oppressi ne vorrai tu…" con un tono talmente altisonante e stile S. Basilio (Incoronazione) che scade nell'incongruo. E non solo questo: tra la Callas davvero commovente ed un Corelli quanto mai accorato del Finale, Christoff resta lì come una roccia basaltica anche dopo la perorazione di Norma nonostante dica "Oppresso è il core", viene spontanea la domanda: ma è da crederci ? Dei personaggi minori la Ronchino è un'ottima Clotilde ed ugualmente Botteghelli come Flavio. Resta la Callas e riprendo il discorso introduttivo, perché tutto sommato è per lei che questa esecuzione resta storica ed è giusto anche nell'economia di un articolo come questo lasciare a Maria la prima e l'ultima parola. Norma è un personaggio estremamente variegato e pieno di sentimenti contrastanti in cui sostanzialmente vengono a confluire due linee: la vita pubblica-sacerdotale e la vita privata-di segregazione e di ripiegamento sulle sue particolari condizioni. Da entrambe le linee si originano i momenti di furore e di ira contro le circostanze avverse che le si presentano. Ebbene se nei momenti di furore la Callas resta in vetta alle cantanti che si sono succedute in questo personaggio (e non è una scoperta !), non sono questi - almeno in questa edizione - a colpire l'ascoltatore, ma proprio le zone più liriche e dolorosamente riflessive dell'opera. Ecco allora il senso di grande comprensione verso Adalgisa nei due duetti, oppure l'umanità materna e ferita di "Teneri figli" (credo superiore a quello inciso nel '54, grazie anche alla situazione scenica) in cui la voce, così rotta dal pianto, fa capire non solo le ragioni di questo personaggio fantastico, ma quelle del personaggio Callas. È qui che il miracolo avviene: voce rotta dal pianto, dicevo, ma sempre controllata in modo ferreo. Ma umana è anche nel furore con il quale affronta Pollione ("In mia mano…" II atto) soprattutto nel rievocare come è stata ad un punto dall'uccidere i figli. Le frasi "Non ferii, ma tosto adesso consumar potrei l'eccesso" e soprattutto "Un istante e d'esser madre mi potrei dimenticar" ti inchiodano sulla sedia perché il lavoro sulle parola (e, per giunta, in una tessitura non certo agevole) è qui unico e sensazionale. Da ultimo vorrei spendere solo due parole sul versante belcantistico con un 'sogno': chissà quale Norma avrebbe potuto offrirci la Callas avendo un altro direttore che le consentisse l'esecuzione integrale (un Bonynge, per esempio). Non possiamo dir nulla di ciò: ci è dato solo immaginare quali variazioni potevano sortire da un "Ah bello a me ritorna" con da capo. Ciò che in questa versione ci è dato di ascoltare è una pienezza a tutte le altezze e con tutte le difficoltà risolte senza mai tirarsi indietro, anche se - rispetto al citato 'live' di Londra di 2 anni prima - abbiamo un lievissimo, quasi impercettibile, calo vocale, ma non certo interpretativo. Maria-Norma: un icona che per i melomani deve rappresentare non tanto un mito (che ha sempre il suo coefficiente di fantasia), ma la realtà concreta di una persona che ha studiato e si è sacrificata come l'eroina belliniana e, come a lei, pochi hanno riconosciuto la vera profondità umana, oltre che artistica. Non voglio far polemica, ma la statura dell'artista vive in simbiosi con quella della Callas, intesa come creatura fondamentalmente sventurata e non poche registrazioni della Greca ci dicono qualcosa di più di altre artiste (anche somme: ed il paragone mi fa dire Sutherland) in quanto non solo fanno capire il personaggio, ma sanno trasfondervi il carattere personale, a volte, condizionato dagli eventi autobiografici. E questo è Teatro con la T maiuscola. Accompagna i 2 CD un piccolo opuscolo (in italiano e inglese) a firma di Sergio Mora interessante per il profilo che traccia della Callas ma che, tuttavia riservando lodi al trio Callas-Corelli-Christoff, ignora la Nicolai.
Luca Di Girolamo