Ulisse | Furio Zanasi |
Penelope | Lucile Richardot |
Telemaco | Krystian Adam |
Tempo/Nettuno/Antinoo | Gianluca Buratto |
Pisandro | Michal Czerniawski |
Anfinomo | Gareth Treseder |
Eurimaco | Zachary Wilder |
Melanto | Anna Dennis |
Giove | John Taylor Ward |
Giunone | Francesca Boncompagni |
Iro | Robert Burt |
Eumete | Francisco Fernández-Rueda |
Umana Fragilità | Carlo Vistoli |
Amore | Silvia Frigato |
Ericlea | Francesca Biliotti |
Monteverdi Choir | |
English Baroque Soloists | |
Direttore Eliot Gardiner | |
1 Dvd Opus Arte | |
Ducale Distribuzione |
Nel 2017, in occasione dei 450 anni dalla nascita di Claudio Monteverdi, John Eliot Gardiner con il Monteverdi Choir e gli English Baroque Solists intraprese un lungo viaggio attraverso l’Europa e gli Stati Uniti portando in tournée la trilogia monteverdiana. Partì da Venezia nel mese di giugno e, dopo essere passato per Salisburgo, Edimburgo, Lucerna, Berlino, Parigi e Chicago concluse il suo tour a New York nel mese di ottobre. Non era nuovo a iniziative di questo tipo, nel 1999-2000 aveva già fatto un mezzo giro del mondo rappresentando l’intero corpus delle cantate di Johan Sebastian Bach seguendo l’anno liturgico, in chiese sparse ovunque. Un progetto grandioso documentato in una raccolta di compact disc uscita per la sua casa discografica SDG-Soli Deo Gloria. Se nel pellegrinaggio bachiano era fortemente presente l’idea di associare la musica al tempo e ai luoghi, il lungo viaggio monteverdiano ha avuto il merito di dispiegare tutto in una volta uno dei massimi vertici raggiunti dalla civiltà musicale. Opus Arte ha documentato questa impresa in tre Dvd che riproducono le tre recite tenute al Teatro La Fenice di Venezia.
Il ritorno di Ulisse in patria è il secondo dei tre grandi lavori teatrali giunto a noi nella loro interezza. Definita “tragedia di lieto fine”, fu rappresentata a Venezia al teatro di San Cassiano per il carnevale del 1640 su libretto di Iacopo Badoaro, ispirato all’ultima parte dell’Odissea.
Nasce per un teatro pubblico e per questo deve tenere vivi gli spettatori. In più di tre ore di musica Monteverdi, sul bel libretto di Badoero, crea un monumento possente e delicato: possente per la forza drammatica che esprime con maestria e fantasia ineguagliate, delicato perché si basa su un numero consistente di interpreti di cui nessuno può accontentarsi della routine e men che meno dell’approssimazione, dovendo possedere insieme il dono del canto e il talento della recitazione. Il cast di questa recita veneziana, al cui proposito alleghiamo la recensione di Vittorio Mascherpa, è pressoché ideale, autore di una impresa collettiva sostenuta e guidata dalla mano sicura di John Eliot Gardiner che da più di cinquant’anni lavora su Monteverdi con energie sempre nuove. Dal primo all’ultimo possono reggere alla grande il recitar cantando andando verso le melodie con naturalezza. Così l’Ulisse di Furio Zanasi, maestro del canto sulla parola, si muove come un attore che canta benissimo, o forse come un cantante che recita come un attore shakesperiano, dalla forte presenza scenica e dal volto intenso, evidenziato dai numerosi primi piani. Sua degna controparte, la Penelope di Lucile Richardot regge con dignità regale un personaggio tormentato, arricchito da innumerevoli intenzioni interpretative che dimostrano profonda introspezione e intelligenza umana. Memorabile il grande lamento iniziale “Di misera regina”, sostenuto con forza, senza querimonie. Gianluca Buratto, vocalmente impressionante, si divide in tre ruoli: il Tempo, Nettuno e il riprovevole procio Antinoo trovando in ogni occasione il giusto accento.
Gli dei sono tutti sorprendenti. Hana Blaźìková, Minerva, ha la saggezza e la perspicacia di chi sa muovere le sue carte senza fallire. Memorabile il suo duetto con Ulisse, in cui Monteverdi dispiega un profluvio di invenzioni, e quello ("Lieto cammino") con Telemaco, un eccellente Krystian Adam, spettacolare. Quest’ultimo, benché polacco, snocciola un italiano da manuale e conferma di essere uno dei migliori tenori barocchi in attività per sicurezza della linea vocale, fraseggio e sensibilità.
Giove, il giovane basso-baritono statunitense John Taylor Ward, è per una volta bello ed elegante, autorevole e clemente, molto efficace nella perorazione con cui convince Nettuno a smettere di tormentare Ulisse. La sua Giunone è Francesca Boncompagni, incantevole e stilisticamente ineccepibile, insieme formano una insolita coppia divina lontana dagli stereotipi. Altra coppia ben riuscita è quella formata da Anna Dennis e Zachary Wilder. Sono la cameriera di Penelope e un procio stranamente brillante, vivono senza problemi una storia basata sulla pura attrazione fisica. Sono l’espressione più esplicita di un erotismo che, più o meno latente, attraversa tutta l’opera. Anna Dennis è vivace e convincente, nonostante la pronuncia un po’ aspra, mentre Wilder non sbaglia un accento e un’intenzione. Francisco Fernández-Rueda è Eumete, il povero pastore già servitore di Ulisse con cui intreccia un magnifico duetto, "Verdi piagge al lieto giorno". Robert Burt è Iro, l’accattone che vive per mangiare. Monteverdi gli destina un lamento grottesco e straziante, una grande scena di pazzia ante litteram. Burt lo interpreta con efficacia, sgangherato ma senza eccessi, in equilibrio tra la giustezza del canto e l’esasperazione del carattere. Sorprende anche Francesca Bilotti, sulla carta vecchia nutrice di Penelope, nei fatti giovane donna capace di esprimere il dubbio che la tormenta, se tradire un giuramento o salvare la regina. Carlo Vistoli e Silvia Frigato compaiono per primi nel prologo, rispettivamente come Umana Fragilità e Amore. Inutile dire che il loro contributo, benché breve, lasci un’impronta di eccellenza che non verrà tradita per tutto il resto della rappresentazione. Michal Czerniawski (Pisandro) e Gareth Treseder (Anfinomo) completano degnamente il gruppo dei laidi proci.
John Eliot Gardiner sostiene il cast con sollecitudine e cura, al centro della scena, tra i continui movimenti dei cantanti con cui intreccia una stretta relazione interpretativa. Come sempre fa esplodere i cori, splendenti come Balliamo che l’onde o struggenti come Gran Giove nel sontuoso sottofinale dell’opera. La registrazione spinge le voci a scapito dell’orchestra, che dal vivo era ben equilibrata mentre qui appare un po’ sacrificata.
La regia video valorizza lo spettacolo con un buon uso dei piani ravvicinati. Il libretto allegato è del tutto insufficiente, riporta solo un breve riassunto e la lunga lista dei credits.
Daniela Goldoni