Francesco Foscari | Leo Nucci |
Jacopo Foscari | Ivan Magrì |
Lucrezia Contarini | Guanqun Yu |
Jacopo Loredano | Miklós Sebestyén |
Barbarigo | István Horváth |
Pisana | Bernadette Fodor |
Fante | Moon Yung Oh |
Un servo | Matthias Ettmayr |
Direttore | Ivan Repušić |
Maestro del coro | Howard Arman |
Münchner Rundfunkorchester | |
Chor des Bayerischen Rundfunks | |
2 cd, edizione BR Klassik |
Il Mupa di Budapest, struttura polifunzionale con una concert hall da 1700 posti e un museo d’arte moderna, è internazionalmente conosciuto per un festival wagneriano che lì si volge da quasi vent'anni, il cui prestigio è paragonabile a quello di Bayreuth. Non ci si limita però al solo Wagner, vengono regolarmente allestiti anche titoli di altri autori. Nel novembre del 2018 vi sono approdati I Due Foscari, con un’esecuzione in forma di concerto preceduta da due uguali recite al Prinzregentheater di Monaco, che ha trovato la strada del disco grazie all’etichetta della Bayerischen Rundfunks, partner del Mupa per questa produzione. Registrazione effettuata in studio con la perizia tecnica che da sempre contraddistingue la Radio Bavarese, praticamente perfetta nella gestione dei piani sonori, e che schiera un cast che ha nel protagonista Leo Nucci il nome di richiamo, anche se a conti fatti l’elemento di maggior interesse è quello del direttore croato Ivan Repušić. Il cupo preludio che si apre allo squarcio melodico del tema centrale si salda con estrema naturalezza all’evocativo coro Silenzio, mistero segnando la cifra stilistica dell’intera esecuzione: un’estrema attenzione alla chiarezza degli impasti orchestrali e un suono ovunque levigato e nitido, di notevole bellezza sonora grazie all’indiscutibile prestigio dell’Orchestra della Radio di Monaco. Grande merito di Repušić quello di mettere in luce le finezze che Verdi sparge a piene mani in una partitura fin troppo identificata come eccessivamente uniforme nella sua tinta drammatica (a detta anche dello stesso autore). Ne beneficiano soprattutto i personaggi degli amorosi Jacopo e Lucrezia, il cui sostegno musicale alle rispettive arie e duetti è non meno che esemplare. Proprio a cercare il pelo nell’uovo, si può dire che la pur lodevole intenzione di bandire programmaticamente ogni effetto di zumpappà primoverdiano fa emergere una sensazione di eccessiva uniformità negli stacchi fra arie e cabalette, che senza scadere nel bandistico pure necessiterebbero di un diverso impeto.
A 77 anni e con cinquant’anni di carriera alle spalle, Leo Nucci può ancora vantare fermezza vocale, estensione e una perfetta intonazione frutti di una tecnica solidissima, con un registro acuto tuttora invidiabile che gli consente di emettere il previsto fa diesis alla fine della perorazione Questa è dunque l’iniqua mercede che ancora oggi teme ben pochi confronti. Sempre giusto è anche l’accento, a disegnare un personaggio perennemente in bilico fra il padre sofferente nei più profondi affetti e il Doge umiliato; la sala d’incisione, tuttavia, rende in modo più evidente della realtà teatrale vezzi e difetti ben conosciuti, dall’eccesso di portamenti e nasalità che inquinano la linea di O vecchio cor, che batti agli scatti fin troppo parossistici che rischiano di scantonare nel parlato di Questa è dunque l’iniqua mercede, in aggiunta a un timbro alquanto prosciugato di armonici. Ivan Magrì regge benissimo la scomoda tessitura di Jacopo Foscari, mostrando estrema sicurezza tanto nelle perentorie fiondate verso l’acuto quanto nei declamati in zona centrale, modellando benissimo col fraseggio tanto gli empiti del delirio nel carcere (notevolissima la riuscita di questa ostica scena che apre il secondo atto) che quelli di amor filiale e carnale. L’interprete poi non sembra da meno, con la capacità di differenziare la ripresa della cabaletta Odio solo, ed odio atroce senza variazioni di scrittura ma con una diversa articolazione delle parole (fa fede a proposito la frase Ma sei Foscari, una voce va tuonandomi nel core). Lodevole per l’impegno espressivo la prestazione di Guanqun Yu, che si sforza di ammorbidire e sfumare i suoni nelle pagine di più accentuato lirismo (Tu al cui sguardo onnipossente in primis) riuscendo tutto sommato a tenere un’apprezzabile linea nonostante la voce non sempre mantenga compattezza timbrica. Buona la tecnica di coloratura, che le permette di passare sostanzialmente indenne le ostiche cabalette delle due arie; le sembra però mancare, almeno in parte, la capacità di differenziare adeguatamente il fraseggio tale che scena dopo scena subentra una sensazione di piattezza sempre più accentuata, soprattutto nel secondo e terzo atto.
Scuro e fosco come si conviene il Loredano di Miklós Sebestyén, che fornisce il necessario apporto timbrico agli assiemi; discreto il Barbarigo di István Horváth, mentre dimenticabili appaiono la Pisana di Bernadette Fodor, il Fante di Moon Yung Oh e il Servo di Matthias Ettmayr. Il Coro della Radio Bavarese offre una prestazione assolutamente d’eccellenza, coprendosi di gloria nella Barcarola che apre il terzo atto.
Domenico Ciccone